. 24 . La mano del gigante
La giornata era cominciata come la precedente e come quella prima ancora: lenta, sonnacchiosa, con la pigrizia nelle articolazioni, come quando, a inizio autunno, il tempo comincia a cambiare e ti sorprendono quelle fastidiose influenze.Aveva aperto gli occhi all'alba, quando il sole era ancora un accenno di luce aranciata dietro le tende finissime e bianche. Aveva partecipato alla funzione mattutina, preso la comunione e pregato davanti all'altarino della Madonna delle Nevi. Aveva fatto colazione: pane imburrato e marmellata di arance, sapore dolce amaro, come il proprio umore; poi, quando gli altri stavano per svegliarsi, aveva iniziato i lavori in giardino.
Aspettava la visita del dottor Elmisk, perché la rassicurasse di aver inviato un avvertimento a Eìos riguardo alle minacce di Miran, per rasserenarsi e sapere il proprio sposo al sicuro, almeno per il tempo necessario a che la sete di vendetta scemasse o, quantomeno, il raziocinio e nobiltà d'animo del cognato gli permettessero di affrontare le spine di quel rovo con maggiore distacco.
Quando però poche ore dopo, il dottor Elmisk si presentò alla sua porta, gli occhi appannati dalla stanchezza e il colorito pallido di chi non ha dormito, Ariela ebbe subito chiaro che le nuove che le portava, non sarebbero state buone.
- Sediamo, vi prego. - la invitò e, dopo aver atteso galantemente che ella si accomodasse, fece altrettanto, il bastone tra le gambe e le mani una sull'altra appoggiate sull'impugnatura.
Le raccontò ogni cosa con precisione chirurgica: dall'arrivo anticipato di Eìos, all'accusa di contrabbando; dall'arresto, al tentativo fallito di fargli visita in cella; dei suoi sospetti su Leria e Miran e infine della ricerca di un legale capace e incorruttibile, che non subisse l'influenza del nome e del danaro della loro casata.Ariela ascoltò ogni parola senza intervenire col fiato sempre più corto e il bisogno di riempirsi i polmoni, come un nuotatore che si spinge troppo a fondo in apnea e si sente costretto a risalire alla ricerca dell'ossigeno.
- Voglio vederlo! - disse sollevandosi, - Adesso, voglio vederlo adesso! - ripeté.
- E lo vedrete, non abbiate timore. Il comandante è stato chiaro: permetterà solo a voi o al suo legale di fargli visita. Ma vi prego, non vi ho detto ancora tutto. - la rassicurò, invitandola a sedere di nuovo. - Non intendo aspettare che venga istruito il processo, né di scovare le prove della sua innocenza: la cella di una prigione non è un luogo sicuro. Se qualcuno volesse, non la sua detenzione soltanto, ma anche la sua morte ... - continuò, con un nodo alla gola nel pronunciare l'ultima parola, - ... basterebbero la promessa di libertà ad un altro detenuto e pochi denari a una guardia per voltarsi dall'altra parte. -
Ariela trasalì: per un attimo aveva sperato che le sbarre della prigione lo mettessero al sicuro, quantomeno temporaneamente, dalla furia di Miran. Saperlo incarcerato ingiustamente e finanche in pericolo di vita, le gelava il sangue.
- Dottore ... - si affidò a lui, con la certezza che egli avesse già la soluzione a portata di dita.
- Non abbiate timore, Ariela, saprà guardarsi le spalle: egli è nato leone! - la rassicurò, un mezzo sorriso di chi la sa lunga. - E comunque, non rimarrà in prigione a lungo! -
La giovane lo guardò come si farebbe con uno straniero che parla una lingua incomprensibile e scosse il capo affinché le spiegasse tutto più chiaramente, come si fa con i bambini.
Elmisk sorrise ancora, di quel sorriso furbo che tante volte aveva visto in volto a Eìos, ed ella si stupì di come il più delle volte, i gesti, le espressioni siano figli della profonda conoscenza e dei legami tra due individui, più che dalle somiglianze somatiche.
- Lo faremo evadere! - spiegò, con un guizzo ovvio negli occhi vispi.
- Come? - chiese sempre più frastornata da tutte quelle informazioni dolorose e confuse che il suo cervello non riusciva a registrare.
Ariela non sapeva alcunché di reati, di prigioni, di trame oscure ordite con sapienza e dolo, tantomeno di rocambolesche evasioni e piani per metterle in pratica. Gli unici riferimenti le venivano dalle sue letture, il celebre tentativo di fuga del conte di Cagliostro dalla fortezza di San Leo, per esempio, o dai grandi romanzi, Il conte di Montecristo, prima di tutti. Ma quelle erano storie di carta, fantasiose e mirabolanti, lontane dalla realtà dell'uomo che amava e che doveva essere salvato.
Elmisk comprese la sua titubanza e le venne in soccorso, dicendo: - Egli sarà la chiave che restituirà la libertà a Eìos! - e, voltando il capo verso la vetrata sul giardino, aggiunse: - Entra. -
Un uomo che Ariela non aveva mai veduto prima, comparve sulla soglia.
Era alto, dal fisico imponente, la pelle scura come cioccolata, i capelli cortissimi e crespi e gli occhi neri, come olive taggiasche. Indossava una tunica al ginocchio, del colore della notte, strani calzoni larghi sulle cosce e arricciati alle caviglie, una sciarpa al collo e un mantello dello stesso colore.
- Yad al-Jawza, signora. - si presentò, avanzando, nella stanza, - Betelgeuse, nella vostra lingua. - precisò, per poi riverirla con uno strano saluto: la mano destra toccò, in successione, il torace, le labbra e la fronte ed infine il gesto si prolungò in avanti, accompagnato da un profondo inchino. Ariela rimase incantata dai movimenti armoniosi e delicati, dalle dita affusolate e dall'intensità del gesto, in contrasto con la saldezza del corpo dell'uomo. Continuò a fissarlo, confusa, fino a che egli aggiunse: - Potete chiamarmi Betel, come fanno gli amici! -
La donna chinò il capo in un cenno di saluto e lo invitò a sedere con loro.
- Si farà arrestare ... - spiegò il dottore, - ... E quando sarà all'interno della prigione, ci informerà puntualmente sui cambi di guardia, sulla posizione della cella in cui Eìos è detenuto, sul numero dei soldati, cosicché poteremo elaborare un piano efficace per consentirgli un'evasione sicura. - terminò, placido.
- E voi ... vi fareste arrestare? Per Eìos? - domandò incredula.
- Perché, signora, vi appare tanto strano? - replicò l'uomo, la voce salda e determinata, con una punta dolcissima e affabile, - A Eìos, io debbo la vita! - precisò e la mente, portata da un vento sottile e lieve, come quello che fa volteggiare armoniosamente le foglie prima che cadano al suolo, tornò al giorno in cui la propria esistenza si legò a quella dell'altro.