Capitolo 13

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Il giorno seguente Zack si era svegliato all'alba per andare alla falegnameria. Quella sera suo padre non era tornato e la madre dormiva ancora, perciò decise di uscire senza svegliarla. Mentre rifiniva la gamba di un tavolino di legno, avvertí un crampo allo stomaco. In quel periodo non aveva mangiato molto e quella mattina non aveva pensato nemmeno di fermarsi un attimo alla panetteria a prendere un pezzo di pane per qualche spicciolo, e aveva fame.

La prima cosa che gli venne in mente fu la crostata che Tom aveva preparato e diviso con lui, era una delle cose più dolci e buone che avesse mai assaggiato, nonché anche la prima volta che qualcuno cucinasse qualcosa pensando a lui senza che fosse costretto a farlo. Averne una fetta sarebbe stato l'ideale per proseguire con il lavoro, ma Tom non lo vedeva già da parecchi giorni e sua madre non si sarebbe mai neanche lontanamente sognata di cucinargli una crostata e portargliela alla falegnameria, perciò fece un sospiro e decise che avrebbe preso qualcosa quando avrebbe terminato il tavolo.
Ad interrompere il suo flusso di pensieri, fu Oliver. Aveva detto che usciva un momento e Zack glielo aveva concesso dato che non c'era molto da fare quel pomeriggio, ed era tornato dieci minuti dopo.
"Che cosa sei andato a fare?" gli chiese, senza alzare nemmeno lo sguardo e continuando ad intagliare.
"Cos'hai mangiato oggi a pranzo?" gli domandó l'amico all'improvviso. A quel punto Zack alzò la testa e gli rivolse un'occhiata, incuriosito da quella domanda.
"un po' di insalata" rispose grattandosi il retro del collo e chiedendosi il motivo di quella domanda.
"immaginavo, tieni" disse Oliver lanciandogli un sacchetto unto. Zack lo prese al volo e lo aprí, notando che dentro c'era un pezzo di focaccia.
"È solo metà, il resto l'ho mangiato io strada facendo"
"Grazie"
"Fai una pausa, continuo io"
"Non serve, ho quasi finito"
"Rilassati, lo finisco io"
"Grazie Ol"
Oliver gli rivolse un sorriso gentile, e mentre Zack si dirigeva dietro al bancone per mangiare il suo pezzo di focaccia, lui prese il suo posto e continuò ad intagliare l'ultima gamba del tavolo.
"Senti Zack, a casa tua è tutto a posto?" gli chiese poi.
"Mh? Come al solito credo"
"Ho capito"
"Perché me lo chiedi?"
"In questi giorni stai troppo per i fatti tuoi, c'è qualcosa a cui continui a pensare e che non mi hai detto"
Zack restò in silenzio a guardarlo. Si stava portando un pezzo di focaccia alla bocca ma il suo braccio si era fermato, quasi come se Oliver con quella frase gli avesse lanciato un incantesimo capace di pietrificarlo.
Oliver da parte sua, sapeva di aver detto la verità.
Lui e Zack erano amici sin dall'infanzia ed erano diventati grandi insieme, la loro era una di quelle amicizie dove basta un solo sguardo per capire tutto ciò che uno nasconde dentro di sè e non è capace di dire a parole. Zack aveva dimostrato sempre una certa abilità nel mostrarsi allegro e spontaneo davanti agli altri ma Oliver lo conosceva da abbastanza tempo per poter annullare l'incantesimo e spogliarlo di ogni sua maschera.
"È vero" rispose poi, dopo una breve pausa in silenzio. Nascondergli la sua preoccupazione sarebbe stato inutile, e poi desiderava avere un confronto con qualcuno riguardo quella faccenda che tanto lo tormentava.
"Lo so" rispose Oliver. Non gli chiese il motivo per il quale sembrava giù di morale perché sapeva che di lì a poco Zack glielo avrebbe detto di sua iniziativa. Doveva solo attendere che l'amico facesse ordine nella sua testa trovando le parole giuste per potersi esprimere.
"C'è una cosa a cui sto pensando, ma è un po' difficile da spiegare"
"Me lo dici con calma quando abbiamo finito il tavolo, d'accordo?"
Zack annuí con un cenno della testa.
"Ne parliamo... davanti ad un bicchiere di birra" gli propose, sorridendo maliziosamente. Zack sgranò gli occhi e ricambiò il sorriso, consapevole di ciò che di lì a poco avrebbero fatto. Era come se si trattasse di un rito fatto ogni qualvolta che si presentava un problema da affrontare ed entrambi ormai, ne conoscevano i passaggi a memoria.
Quando ebbero finito il tavolo che il giorno seguente sarebbe stato ritirato dal proprietario, presero un sasso e chiusero la falegnameria.
Camminarono per una decina di minuti lungo la strada principale del loro villaggio. C'erano dei bambini che giocavano in strada e le persone che tornavano nelle loro case sotto la luce del sole al tramonto. Entrambi si guardarono attorno con attenzione fino a quando non comparve un gruppo di ragazzi poco più grandi di loro che stavano fumando dei sigari e ridendo animatamente di qualcosa. Erano ammassati in un vicolo sul retro di un bar, da cui proveniva un forte odore di alcool e tabacco. Zack e Oliver si scambiarono uno sguardo complice, si strinsero la mano e si separarono. Zack, che tra i due era il più grosso, proseguí inosservato nel vicolo alla sinistra del bar, quello opposto rispetto al gruppo di ragazzi, e si nascose sul retro accanto a delle casse in legno. L'odore era nauseante, ma si sforzò di restare fermo raggomitolato su se stesso con le ginocchia al petto e le braccia attorno alle gambe. All'angolo di sentivano le voci dei ragazzi, troppo impegnati a ridere e a discutere di qualcosa che Zack non riuscì a comprendere per accorgersi che appena qualche passo più avanti c'era qualcuno nascosto, e cominció a contare mentalmente. Oliver invece entrò nel bar. Magro e basso com'era rispetto al resto delle persone lì presenti, riuscì a passare inosservato. Parevano tutti coinvolti in una conversazione o in una bevuta abbondante di birra per accorgersi che un ragazzo con i pantaloni corti era entrato. Coloro che non avevano raggiunto la maggior età secondo regolamento non potevano usufruire dei bar, tuttavia nessuno ci aveva mai prestato troppa attenzione ed erano tanti i ragazzi che si fermavano a bere la sera o gli adulti che portavano i propri bambini ad assaggiare un po' di vino.
Si avvicinò al bancone, dove il titolare sembrava completamente immerso in una conversazione con una donna che gli sorrideva maliziosamente. Meglio per lui, pensò. Dato che era già distratto non avrebbe dovuto inventarsi qualcosa al momento, e per di più non lo aveva notato.
Il posto a quell'ora era molto affollato e ciò preoccupò leggermente Oliver.
A quel punto Zack aveva già finito di contare, quindi con un gesto rapido e senza esitazione tirò fuori dalla tasca il sasso e lo lanciò violentemente contro la finestra del bar, che si ruppe in tante piccole forme spigolose spargendo schegge ovunque.
Dall'interno si udirono delle urla e dei lamenti, e Oliver vide un uomo sulla cinquantina piuttosto robusto, con la camicia sporca che a stento rimaneva allacciata, alzarsi spaventato. Il sasso aveva colpito in pieno il tavolo in cui era seduto, ed era caduto rompendo sul pavimento tutti i bicchieri che vi erano posati sopra.
In un primo momento tutto si erano allontanati dalla finestra, poi però la gente aveva cominciato ad affacciarsi per vedere colui che aveva osato scagliare quel sasso e rovinare il prezioso momento delle ubriacate di gruppo, Zack però era già corso via.
Oliver restò per un attimo immobile a osservare le persone rimaste ferite dalle schegge. Avevano braccia e gambe coperte di piccoli tagli profondi che non cessavano di sanguinare, e urlavano al proprietario che se una cosa del genere era successa la colpa era soltanto sua, e doveva restituire loro il denaro per risarcirli. L'uomo intanto, parve non ascoltarli. Sembrava troppo impegnato a realizzare quanto era appena accaduto al suo locale per prestare attenzione a quella massa di persone urlanti.
In preda alla rabbia, afferrò una scopa e scansando violentemente i clienti infuriati con le spalle uscì. Oliver capí che sarebbe andato a cercare colui che aveva causato un danno così grave al suo bar e probabilmente i primi sospettati sarebbero stati i ragazzi nel vicolo accanto. La gente sembrava ancora sconvolta anche se eventi di quel tipo non erano di certo rari. Comunque, approfittando della situazione, Oliver afferrò una piccola bottiglia di alcool posta nello scaffale sotto al bancone e velocemente la nascose nella sua giacca. Poi vide le prime persone che cominciavano ad uscire per tornare a casa borbottandosi qualcosa a vicenda e lamentandosi del fatto che non erano riusciti a godersi una tranquilla serata tra amici, e si unì a loro. A breve quella confusione e indignazione generale sarebbe finita e ciascuno sarebbe tornato a casa, il giorno seguente quella vetrina sarebbe già stata riparata arrangiando qualche asse di legno attaccata con dei chiodi e sarebbe successo qualcosa di nuovo che avrebbe catturato l'attenzione di tutti dimenticando quella storia. Era sempre andata così.
Zack era già all'inizio del bosco con la schiena appoggiata al grosso tronco di un albero e le mani nelle tasche, quindi Oliver lo raggiunse.
"È tanto che aspetti?" gli chiese.
"No. Lo hai preso?" rispose lui osservando la giacca dell'amico con attenzione per vedere se ci fosse qualche rilievo che somigliava vagamente alla forma di una bottiglia.
"Sì, è stato facilissimo ma hai creato un casino assurdo" lo informò poi, sorridendo.
"Immaginavo"
Oliver tirò fuori la bottiglia ed entrambi si incamminarono nel cuore del bosco, poi, non appena videro un albero dai rami sufficientemente robusti si arrampicarono.
Era un po' scomodo muoversi in quelle condizioni perché il legno era ricoperto da soffice neve bianca che raffreddava le mani, ma si trattava semplicemente del prezzo da pagare in cambio di una piacevole chiacchierata in un posto tranquillo lontano dal villaggio. Decisero di fermarsi più in basso del solito e non arrivare neanche a metà del tronco, perché il sole era quasi tramontato del tutto e senza luce avrebbero avuto difficoltà a scendere. Si sedettero uno di fronte all'altro su rami opposti, gettando un po' di neve a terra per farsi spazio, poi bevvero un po' di birra dalla bottiglia a turno soddisfatti di aver ottenuto ciò che volevano. Si guardarono con quella complicità di chi non ha bisogno di parole per capire cosa l'altro stesse pensando, perché entrambi erano felici di trovarsi a bere qualcosa comodamente seduti sui rami di un albero in buona compagnia, e lo sapevano. Si stavano godendo uno dei momenti più intimi della loro amicizia.
"Ho colpito qualcuno?" chiese Zack all'amico.
"Mh?"
"Con il sasso intendo. Ho fatto del male a qualcuno?"
"Per fortuna no. Hai colpito in pieno un tavolo che è caduto a terra rompendo tutti i bicchieri, poi alcune persone si sono tagliate con il vetro della finestra però non è successo niente di grave"
"Menomale. Qualcuno si è arrabbiato?"
"Tutti" rispose Oliver sorridendo "erano tutti incazzati, soprattutto il proprietario che é uscito con in mano una scopa"
"Mi avrebbe preso a bastonate"
"Nessuno ti ha visto"
"Nessuno?"
"Nessuno. E poi te eri già corso qui"
"Meglio così" rispose soddisfatto, bevendo un sorso.
"Mh... Oliver" lo chiamò poi Zack ancora, quasi come se si fosse ricordato in quel momento di qualcosa.
"Che cosa c'è?"
"Ti ricordi di Tom?"
"Il ragazzo che è venuto alla falegnameria?"
"Sì quello"
"Me lo ricordo"
"Non ci parliamo più, dall'ultima volta che l'hai visto"
Oliver restò in silenzio. Aveva capito che qualcosa preoccupava il suo amico, ma mai avrebbe immaginato che la causa fosse Tom. Quando lo aveva visto gli era sembrato un ragazzo benestante ma anche timido, obbediente, umile e sicuramente non uno di quelli in grado di poter far stare male una persona forte nello spirito come Zack.
"Perché?" gli domandó infine, colto alla sprovvista e non sapendo cos'altro rispondere. Zack esitò un po' prima di ricominciare a parlare, pensando vagamente che Oliver non sarebbe riuscito a comprendere bene la situazione ma decise di continuare ugualmente il discorso.
"Quando è venuto a parlarmi, mi ha chiesto di non vederci più per un po' di tempo dato che suo padre sarebbe tornato"
"E quindi?"
"Lui non ha parlato a suo padre della nostra amicizia e voleva tenerglielo nascosto. Forse è una di quelle persone che devono sapere tutto dei propri figli"
"E Tom non puó raccontargli qualche bugia? Uscire a sua insaputa? Che ne so... inventarsi qualcosa?"
"Gliel'ho detto, ma ha rifiutato. È troppo sincero"
"Suo padre quindi è stato via?"
"Sí, da quel che ho capito viaggia spesso però il figlio lo tiene sempre qui"
"E con chi sta?"
"Da solo credo. Sa cucinare, lavarsi i vestiti, insomma cose così"
Oliver parve rifletterci un attimo.
"Da questo punto di vista però non siete tanto diversi"
"Mh?"
"Lui sta da solo. Tu i genitori li hai ma è come se fossi solo comunque. L'unica differenza è che te sei capace di gestire la tua vita e viverla, Tom forse è più insicuro"
Zack pensò che Oliver avesse ragione. Da quel punto di vista erano molto simili, entrambi soli, con la sola differenza che Tom non era capace di sfruttare la situazione e viveva stando sotto le regole del padre come se fosse chiuso in una gabbia che non poteva aprire.
"hai ragione" gli rispose.
"Comunque" andó avanti l'amico "dopo che ti ha detto questo, te che cosa gli hai risposto?"
A quella domanda, Zack sgranó gli occhi quasi come se si fosse ricordato di qualcosa di molto importante dopo parecchio tempo. In quel momento, un'idea vagamente sensata gli balenò in testa: Tom gli aveva detto in modo indiretto che voleva continuare la loro amicizia ma era semplicemente troppo spaventato per farlo e che alla prima difficoltà era tentato ad allontanarsi seppur a malincuore. Che fosse una persona cresciuta da sola senza nessuno a dargli anche solo un po' di supporto Zack lo sapeva, ma non ci aveva pensato. Tom aveva bisogno di qualcuno che lo incoraggiasse a vivere la vita secondo i suoi pensieri, le sue curiosità, i suoi sentimenti e secondo ciò che riteneva più giusto e meglio per lui fare, ma l'unica cosa che Zack era stato in grado di fare fu accusarlo di non tenere alla loro amicizia e urlargli che le persone come lui erano quelle peggiori. Lui non era abituato a sentire qualcuno parlare in quel modo ne tantomeno rivolgersi così violentemente e Zack si sentí improvvisamente in colpa per averlo fatto. Era normale che Tom non fosse più venuto alla falegnameria, perché oltre ad essere ostacolato dal padre era anche troppo spaventato per farlo.
"Zack? Ci sei?" chiese Oliver notando che l'altro non rispondeva. Zack sussultò.
"Gli ho risposto male. Gli ho anche urlato contro"
"Forse lo hai spaventato un po' "
"Penso di sì, però inizialmente quelle cose le pensavo davvero. Gli ho detto che non poteva allontanarsi alla minima difficoltà e che non doveva comportarsi così"
"però non hai tenuto conto del fatto che lui viene da una realtà diversa dalla nostra e che magari aveva una ragione per farlo"
"Non ne ho tenuto conto" confessó.
Entrambi non dissero nulla per qualche minuto e rimasero ciascuno immerso nel proprio flusso di pensieri fondendosi con il silenzio del bosco. Bevvero a turno ancora qualche sorso dalla bottiglia e con la testa alta e le gambe a penzoloni guardarono il cielo scuro sopra di loro. Non era neanche arrivata l'ora di cena, però era già buio.
"Tom ti vuole bene, mi ha detto che gli piace molto stare con te"
"quando te lo ha detto?" chiese Zack.
"l'ultima volta che ci siamo visti, prima che tu finissi la discussione con tuo padre. Te lo ricordi?"
"Sì"
"Ti fa piacere saperlo, vero?"
"Un po' " ammise.
"Il primo passo lo devi fare tu però"
"Che cosa devo fare?"
"Vai al villaggio di Tom e se può, parlagli"
"Davanti a suo padre?"
"No, assicurati che sia da solo. Non ti rimanderà indietro, anzi, secondo me sarà felice di rivederti"
"E che cosa gli devo dire?"
"Non lo so, vedi tu"
"Pensi che sia una buona idea?"
"Ne hai una migliore?" rispose Oliver lanciandogli un'occhiata soddisfatta che Zack a causa del buio però non riuscì a vedere.
"No, penso che farò come hai detto te. Andrò a trovarlo al suo villaggio dall'altra parte del fiume."

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