Capitolo 39

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Tom rimase per un attimo ai margini della folla. Aveva intravisto qualcosa al di là delle persone, ma sperava che fosse soltanto una conseguenza della stanchezza o della troppa confusione che impediva una visione chiara delle cose.
Zack invece, spinto dalla curiosità era riuscito a passare avanti assieme ad Anne, ma si bloccò appena vide il corpo morto di un uomo giacere sul ponte, circondato da una pozza nera di sangue che usciva a fiotti da dietro la testa. Era veramente agghiacciante, ma c'era in realtà qualcos'altro che aveva catturato l'attenzione di tutti e inquietato le loro anime addolorate: l'uomo era senza dubbio morto, ma il suo petto era lacerato e lasciava intravedere un cuore ancora vivo e palpitante, che si contraeva a battiti irregolari certo, ma vivi.
Com'era possibile una cosa del genere?
Com'era possibile che il corpo di una persona venisse ridotto a brandelli in quel modo, tanto da diventare quasi irriconoscibile?
Ma soprattutto, come poteva qualcuno esser morto, ma allo stesso tempo avere un cuore che batteva ancora restando sempre più attaccato alla vita?
"È una disgrazia! È una disgrazia!" aveva urlato ancora qualcuno.
Tom in mezzo a tutte quelle persone in preda al panico, tremava. Era sicuro che quell'uomo fosse stato ucciso da qualche creatura che lui probabilmente ancora non conosceva, non c'erano altre spiegazioni possibili, ma proprio il fatto che la causa fosse ancora sconosciuta lo preoccupava molto. Il prossimo sarebbe potuto essere chiunque.
Avrebbe voluto tornare a casa.
Lui e Zack avevano fatto tutta quella strada per arrivare fin lì alla ricerca di qualcosa che avesse potuto riempire i loro vuoti e regalargli un po' di gioia di vivere, eppure in quel momento Tom non poteva fare a meno di pensare che tutto sarebbe stato meglio della morte. Anche restare rinchiuso nella sua stanza a leggere e scrivere, guardando fuori dalla finestra e limitandosi ad immaginare, se questo fosse servito a tenerlo al sicuro.
Non sopportava tutta quella pressione.
Alzò gli occhi al cielo per trovare conforto, ma l'unica cosa che vide furono delle macchie nere a confondergli la vista.
"È una disgrazia! È una disgrazia!" continuavano a ripetere.
"È una disgrazia!"
Ma ormai erano voci lontane, ovattate.
Erano parole che si disperdevano nell'aria delle cose, per poi scomparire trasportate dal vento.
Anche lui stava seguendo quelle parole.
I suoni ormai rimbombavano nella sua testa, provenivano soltanto dai cassetti più remoti della sua mente e piano piano lo trascinavano verso quel vento che l'avrebbe trasportato via fuori dal mondo.
L'immagine di quel cuore ancora pulsante gli appariva davanti agli occhi quasi come se avesse potuto toccarlo allungando semplicemente il dito di una mano, ma non riusciva a vederla chiaramente.
E mentre cercava di ignorare questa visione insistente che pareva non aver alcuna intenzione di lasciargli un po' di pace, cadde tra le braccia di Zack.

Quando riaprí gli occhi, si trovava sdraiato sul letto, a casa di Anne.
Non riconobbe immediatamente la camera, e gli ci volle un po' di tempo per riprendersi del tutto. Zack era lì accanto a lui, e non appena si accorse che il suo amico stava bene, gli andò incontro.
"Come ti senti?" gli chiese sedendosi accanto a lui. Avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli che era contento che finalmente aveva deciso di aprire gli occhi anche se si era trattato di neanche un'ora, e che gli aveva fatto prendere un bello spavento.
Senza di lui Zack si sarebbe sentito perso, come in una selva oscura priva di qualsiasi barlume di luce e speranza.
"Meglio, credo."
"Ti ricordi di aver quasi perso i sensi?"
Tom lo guardò un attimo. Non se lo ricordava, ma a rigor di logica doveva essere andata così.
"Avevi la faccia pallida e le gambe deboli."
"Non credo di ricordarmelo."
"Stavi per cadere a terra."
"Non sento male da nessuna parte."
"Ti ho preso io. Ti ho messo sdraiato e ti ho alzato le gambe per agevolare l'arrivo del sangue al cervello. Anche Anne era molto preoccupata e mi ha urlato di fare così, mentre lei allontanava le altre persone per darti un po' di spazio."
Tom si sentí un po' imbarazzato. Pensava a tutta la gente sconvolta che doveva subirsi pure i deliri di una persona che stava svenendo, ma ancora di più il fatto di non esser riuscito a sostenere la visione di un morto gli fece diventare le guance paonazze.
Zack poi, che con tutti i problemi che aveva in quel momento si era dovuto improvvisare dottore, per aiutare un amico incapace di avere cura di se stesso... chissà che cosa doveva aver pensato in quel momento.
"Mi dispiace di avervi fatto preoccupare così" disse infine Tom, quasi in un sussurro. Era l'unica cosa che si sentiva di dire.
Zack accennò un sorriso, e scompigliò i capelli di Tom con la sua mano.
"Ti sei ripreso ed è questo l'importante. Senza di te non sarei andato via comunque."
Tom affondò la testa nel cuscino arrossendo.
Ormai si era fatta quasi ora di cena, e i due andarono verso la cucina, dove la tavola era già apparecchiata e Anne gli voltava le spalle, intenta a preparare qualcosa ai fornelli.
"Ti sei ripreso!" esclamò con gioia quando vide Tom immobile sulla soglia della porta, poi li invitò ad accomodarsi al tavolo con un movimento rapido del braccio.
Anche quella sera aveva cucinato il polipo.
Tom e Zack non ne avevano mai visto uno, ne tantomeno mangiato, ma da quando lei gliel'aveva fatto assaggiare la prima volta era rientrato senza dubbio nella classifica dei cibi migliori di entrambi. Non che Zack ne avesse mai mangiati di altrettanto buoni quando era ancora al suo villaggio.
Mangiarono in silenzio, e anche se Anne aveva cercato di riempire un po' il vuoto che si era creato tra loro, capivano tutti che si trattava semplicemente di una maschera con un sorriso ritagliato male. L'immagine dell'uomo steso per terra era ancora impressa nelle loro giovani menti, con quella pozza di sangue nero che continuava ad allargarsi man mano che ne usciva dell'altro dal retro della sua testa spappolata, il corpo lacerato e il cuore ancora pulsante che si rifiutava di abbandonare definitivamente il mondo dei vivi.
A volte le persone tendono a dare spiegazioni alle cose, ma semplicemente perché fa comodo a loro. La consapevolezza della propria ignoranza è come un pugnale che uccide l'orgoglio, e quindi si preferisce abbozzare una qualche teoria perché si ha paura dello sconosciuto, del vuoto, dell'anonimato. E alcuni avevano fatto così, avevano azzardato a dare spiegazioni su come l'uomo fosse caduto, avesse avuto un incidente improvviso, un malore, come avesse incontrato qualche ostacolo durante il suo ritorno a casa e fosse stato troppo imprudente per affrontarlo nel modo corretto, trovando soltanto la morte.
Ma non era possibile, ovviamente.
Era soltanto un modo per coccolarsi con il pensiero che la causa della sua morte si trovasse lontano da loro, fuori dal villaggio, in un angolo del mondo che non li riguardava assolutamente e che mai nella vita avrebbero esplorato.
Ma era tutta una bugia.
Non c'era una spiegazione razionale che spiegasse quella morte improvvisa e il cuore ancora vivo. Tutti lo sapevano, e tutti dietro quelle maschere dai sorrisi ritagliati male, lo sapevano.
Tom raccolse i piatti e li mise dentro al lavandino, mentre Zack fece per andarsene. Sarebbero rimasti a casa di Anne ancora per qualche giorno dato il turbamento subito in quelle ultime ore, dunque per non darle ulteriori fastidì decisero di recarsi nella loro stanza e lasciarla svolgere le sue quotidiane mansioni come se loro due non ci fossero, ma lei li interruppe.
"Potete restare qui ancora un po' se volete" disse cominciando a lavare le posate.
"Non vuoi che andiamo di sopra? Tra poco non verranno i tuoi clienti?" chiese Zack.
"Non verrà nessuno oggi. La morte di quell'uomo ha causato troppe paure. Penso che per un po' di tempo le persone se ne staranno tranquille a casa loro, almeno fino a quando non sarà nota la causa del delitto."
Tom e Zack si scambiarono un'occhiata.
Era una morte atroce e misteriosa certo, ma possibile che causasse così tanta agitazione tanto da non uscire neanche di casa?
"Come mai?" si azzardó a chiedere Tom, pentendomene subito dopo.
"Scusami, non avrei dovuto fare questa domanda" si corresse, arrossendo sulle guance.
"È del tutto lecita la tua domanda, non preoccuparti Tom" rispose Anne sorridendo, poi una volta asciugato l'ultimo piatto si accomodò nuovamente. Notò che il ragazzo era un po' pallido in viso, e gli posò una mano sulla spalla. Riusciva a percepire la sua preoccupazione anche a qualche centimetro di distanza da lui, ma lo comprendeva. Erano entrambi lontani da casa, accolti da una prostituita che sí certo, si era dimostrata gentile nei loro confronti ma che tuttavia non conoscevano veramente, e soprattutto in un villaggio dove un uomo era morto misteriosamente. Zack pareva tranquillo, e se anche era tormentato non lo dava a vedere, Tom invece emanava una tensione che se avessero potuto l'avrebbero tagliata via con le forbici. Ma non potevano biasimarlo. Chiunque al suo posto si sarebbe sentito così.
"Il fatto è che in questo villaggio non succedono mai cose di questo tipo. Se ne sentono tante dai nostri viaggiatori, ma sono tutti eventi al di fuori della nostra realtà, lontani dalle nostre case, e quindi sì okay ci dispiace, ma è difficile che qualcuno provi una comprensione e una preoccupazione sincera. Sono tutti troppi attaccati al qui, ora, vicino a me, per aggiudicarsi anche il peso di quello che succede fuori."
"Per questo tutti erano così sconvolti?"
"Esatto. Semplicemente, vivendo in un luogo raccolto, protetto, dove non succedono mai cose brutte e dove non ci sono mai dei disguidi, si perde il contatto con la realtà, e quindi quando hanno portato quel signore morto in mezzo al ponte nessuno riusciva a crederci. È come se si fossero tutti risvegliati da un sogno meraviglioso, aprendo gli occhi sul mondo che realmente è."

Tom e ZackDove le storie prendono vita. Scoprilo ora