Capitolo 21

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"Scusami?" chiese, spalancando gli occhi incredulo. Non era certo di aver sentito bene, o magari aveva soltanto frainteso.
"Dobbiamo andarcene" ripetè Zack. Tom in un primo momento pensò che stesse scherzando e che di lì a poco sarebbe spuntato sul suo viso un sorriso divertito. Più che un pensiero però, era una speranza. Sperava di vederlo scoppiare a ridere da un attimo all'altro, e scompigliargli i capelli come faceva di solito quando era di buon umore. Eppure Zack continuava a guardarlo, con la faccia di chi stava dicendo la cosa più ovvia del mondo. Come se si stesse trattando di una richiesta del tutto normale.
"Andare via?" domandó confuso.
"Andare via, da qualche altra parte"
Tom restò in silenzio.
Andare via.
Da qualche altra parte.
Quella richiesta suonava assurda da ogni punto di vista, era impensabile.
Che Zack avesse bevuto qualcosa prima di venire da lui, e adesso stava dando di matto?
"Tom"
Insomma non poteva davvero andare via con Zack da qualche altra parte, così di punto in bianco. Non avevano una meta e sebbene quei giorni in casa cominciassero a risultare assai difficili, Tom aveva comunque suo padre. Non poteva lasciarlo solo. E Zack la sua famiglia, il suo amico Oliver.
"Tom"
Forse, aveva avuto una giornata così triste da pensare di andarsene. Scappare da tutto e da tutti, ritirarsi in un luogo tranquillo dove poter restare in pace con i propri pensieri e ritrovare la calma. Magari Zack si riferiva a quello.
"TOM" gridò Zack, e Tom sussultò.
"Sì... sì" rispose, arrossendo lievemente sulle guance.
"Rispondimi qualcosa"
"Non ho capito" disse imbarazzato. Strinse le gambe e mise le mani sulle sue ginocchia tenendo lo sguardo basso. Continuava ad avere la sensazione che stesse fraintendendo tutto.
Zack sospirò.
"Lo immaginavo" disse.
"Ovviamente me lo aspettavo, la mia non è una richiesta che si fa tutti i giorni"
"Zack io..."
Tom esitò un attimo.
"Niente"
"Dimmelo"
"Non era niente di importante"
Zack mise due dita sotto al mento di Tom, e gli alzò delicatamente il viso costringendolo a guardarlo. Era l'unico modo, per far parlare Tom quando non voleva.
"La mai pazienza non è infinita" gli disse.
"Quello che ti ho detto è assurdo, me ne rendo conto, ma siamo qui apposta per parlarne perciò se hai qualcosa da dire io ti ascolto."
Tom sentí il cuore battergli forte nel petto, e respiro farsi affannato. Zack lo faceva apposta. Si avvicinava a lui per metterlo sottopressione e costringerlo a farsi dire ciò che voleva ascoltare.
"Ti è successo qualcosa?" chiese Tom esitante.
"Se... se ti è successo qualcosa, posso... possiamo risolverlo"
Zack restò spiazzato per un attimo, incerto sul cosa rispondere. Ovviamente gli era successo qualcosa, ma non si sentiva ancora pronto per raccontarlo. La partenza di Oliver gli faceva ancora male, ogni volta che ci pensava.
"L'unico modo per risolverlo è andare via."
Non era quella la risposta che Tom voleva ricevere. Anzi, continuava a farlo sentire confuso.
"Quindi ti è successo qualcosa"
"Sì."
"Ma non... non sono pronto per dirtelo" aggiunse.
"Va bene" rispose Tom, e Zack gli permise di distogliere lo sguardo.
"Zack... io non so che cosa sia successo, ma andare via da qualche altra parte come hai detto te mi sembra eccessivo"
"Non vorresti andartene via anche tu?"
Chiese Zack alzandosi in piedi.
"Non ti senti male a stare tutto il giorno in casa e uscire solo per andare a scuola?"
"Forse... un po' "
"E non vorresti andartene altrove?"
Tom continuava a chiedersi che cosa intendesse Zack con "altrove" o "da qualche altra parte". Non avevano un posto dove andare, e per di piu Zack non voleva spiegargli neanche il motivo per cui era venuto a fargli quella richiesta. Si comportava in modo strano, e Tom non riusciva a comprenderlo. Non sapeva nemmeno perché fosse venuto a dirlo a lui, e non magari a Oliver che conosceva da più tempo. Che cosa c'entrava Tom in quella storia? Che ruolo aveva?
Le risposte vaghe di Zack non facevano altro che fargli nascere ancora più domande in testa, dubbi, perplessità e incertezze. Lo confondevano. Sentiva che anche se Zack avesse continuato a ripeterglielo, lui non avrebbe capito.
"Zack io non capisco, altrove dove?"
Zack fece un respiro profondo, spazientito. Era normale che Tom non lo stesse assecondando, perché non capiva. Ovviamente la sua richiesta era assurda, ma non poteva spiegargli tutta la storia di Oliver in quel momento,sarebbe stato un racconto troppo lungo e lui avrebbe sofferto ad ogni singola parola. Doveva aspettare un po', avere pazienza, e un giorno magari avrebbe svelato a Tom ogni singolo dettaglio. Lui meritava di sapere, meritava di conoscere, ma non ora.
"Vedi Tom, ultimamente sono stai dei giorni difficili per me ed è successa una cosa che mi ha reso molto triste" spiegó Zack nel tono di voce più neutro che riusciva a fare.
"Un giorno forse te lo dirò, ma adesso non me la sento."
Tom restò in silenzio ad ascoltarlo. Aveva occhi grandi e curiosi, le gambe penzoloni dal letto.
"So già che non riuscirò più a vivere una vita felice nel mio villaggio, quindi voglio andare da qualche altra parte"
"Dove?"
"Non lo so."
Zack si appoggiò ad un comodino. Sembrava stesse riflettendo attentamente su qualcosa, ma non disse niente.
"Non lo so, va bene qualsiasi posto lontano da qui."
"Non voglio che tu vada via da solo" disse Tom.
"È per questo che sono venuto, devi venire con me"
"Zack... io posso provare ad aiutarti, anche se non mi vuoi dire perché hai preso questa decisione, ma venire con te... questo non posso farlo" disse gentilmente, sperando che Zack potesse capire.
"Perché non puoi?"
"Mio padre-"
"Tuo padre di qua, tuo padre di lá!" sbraitò Zack più violentemente di quanto avesse voluto.
"Tom con tutto il rispetto, non è questa la vita che vuoi vivere te. Anche se insisti e mi dici il contrario, te lo si legge in faccia."
Tom non disse niente perché Zack aveva già detto tutto e non c'era nient'altro da aggiungere. Non provó neanche a negare perché sapeva, nel profondo del suo cuore, che era tutto vero. Stare in casa accompagnato costantemente da un senso di solitudine stava diventando estenuante, e immerso nel silenzio i suoi pensieri sembravano diventare sempre più soffocanti. Man mano che i giorni passavano, lui si rendeva conto che la vita che stava vivendo non era la sua, ma era quella che altre persone avevano deciso per lui. E questa nuova consapevolezza faceva male. Ovviamente non aveva alcun dubbio sul fatto che suo padre lo stesse facendo per il suo bene, ma in questo modo non faceva altro che uccidere lentamente lo spirito libero e felice che taceva dentro Tom.
Viveva nel tormento e nella paura.
Ma paura di cosa?
"Voglio solo fare una vita felice" disse Zack "e voglio che sia felice anche tu."
"Quello che mi stai chiedendo è impossibile" rispose a malincuore.
Zack poteva urlare, poteva prendere a pugni la porta. Poteva fare quello che voleva, ma Tom non sarebbe mai riuscito ad andare via con lui e questo Zack doveva saperlo per farsene una ragione.
"Tu sei impossibile. Per quanto io ci provi non riesco a capirti"
Tom alzò lo sguardo e lo guardò in viso.
"Seriamente, tu qui hai qualcosa per cui valga la pena vivere? Io al mio villaggio non ce l'ho più, e a quanto pare nemmeno tu hai una situazione tanto diversa dalla mia"
"Zack-"
"Niente Zack. Ascoltami. Stai vivendo una vita che altre persone hanno deciso per te, ma io sono sicuro che tu sia infelice"
- Eccome se lo sono - pensò Tom, ma non lo disse. Quello che Zack gli stava dicendo non era nulla di nuovo.
"Non è cambiato niente" borbottò dando una leggera botta con la mano al legno del comodino.
"Da cosa?" chiese Tom.
"Ti ricordi il nostro primo litigio?"
Tom ci pensò un attimo. In un primo momento non gli venne in mente nulla, poi si ricordò di quella volta alla falegnameria. Aveva conosciuto Zack in una fredda giornata d'inverno, mentre era seduto su una grande roccia nel bosco. Quel giorno aveva preferito andare a disegnare in un posto tranquillo piuttosto che stare a scuola, e lo fece dato dato che suo padre era in viaggio per lavoro. Poi divennero amici, e cominciarono ad incontrarsi più volte. Zack proveniva da un altro villaggio e Tom per la prima volta nella sua vita era venuto a contatto con una realtà opposta alla sua, forse per questo, per la paura di come il padre avesse potuto reagire alla loro amicizia, non gli disse niente e non gliene parlò mai. Doveva restare un segreto è non doveva scoprirlo, perciò Tom era andato al villaggio di Zack, alla falegnameria, per chiedergli di non incontrarsi più almeno per qualche tempo, dato che l'uomo sarebbe tornato a casa la settimana successiva. Ebbero una lunga discussione, e Zack si era arrabbiato molto.
Gli aveva detto che gli amici non si comportavano in quel modo, e che un'amicizia si portava avanti sempre anche a costo della vita. Gli aveva detto che potevano continuare a vedersi in segreto senza che lo venisse a sapere. Gli aveva detto che Tom in realtà non ci teneva abbastanza, ed era per quello che alla prima difficoltà voleva abbandonare.
- Se alla prima difficoltà che incontri ti allontani dalle persone, allora non andrai molto lontano -
- non mi sto allontanando -
- E invece sì. Dovresti tirare fuori le palle e sostenere quello che tu ritieni sia giusto, poi non importa degli altri -
Gli aveva detto.
Tom non aveva mai visto Zack arrabbiato come allora, e si era sentito spaventato. Tuttavia ricordando le sue parole, si rese conto che aveva avuto ragione. Alla prima difficoltà gli veniva spontaneo tirarsi indietro, chiudersi in se stesso e piangere fino a quando non tornava la calma. Permetteva alle sue insicurezze di prendere il sopravvento, di vivere la vita trascinato dalle circostanze, adattandosi sempre. Non c'era nulla che fosse successo perché lo voleva.
"Me lo ricordo" rispose, quasi in un sussurro.
"Anche allora avevi reagito così. Incapace di affrontare le difficoltà e sempre preoccupato di essere una delusione per gli altri"
Tom si sentí ferito.
"Non è vero"
"Non è vero dici? Allora perché se qui sei triste, non fai qualcosa per renderti felice?"
Tom non disse niente.
"Te lo dico io. Perché ci sono gli altri. Hai paura di fare le cose perché ci sono gli altri, ed è per questo che fai tutto quello che ti dicono anche se a te non sta bene, ma non vuoi ammetterlo"
- Smettila - avrebbe voluto dirgli. Avrebbe voluto che Zack chiudesse la bocca e non dicesse più niente. Quelle sue parole lo ferivano come lunghe lame di ferro, e non voleva più ascoltarle.
"Vuoi rendere tutti felici, ma anche tu fai parte di questi "tutti" ."
"Smettila" sussurrò mordendosi il labbro inferiore. Zack aveva ragione, non era cambiato niente. Era rimasto ancora il ragazzino incapace di affrontare le difficoltà, anche le più piccole ed insignificanti come sostenere una discussione senza crollare a piangere all'improvviso.
"Cosa?!"
"Smettila!" disse, con due lacrime che percorrevano lentamente il suo viso.
"Di fare cosa? Di sbatterti in faccia la verità?"
"Zack!"
"Zack cosa? Non riesci nemmeno a parlare senza balbettare!"
Tom si asciugò le lacrime con la manica del vestito, restando qualche attimo con il volto nascosto dietro al suo braccio per la vergogna. Pensava che qualcosa sarebbe cambiato. Ci sperava.
E invece si ritrovava nuovamente a trattenere il pianto come un bambino.
"Non è vero! Stai zitto!" gli disse urlando.
Zack lo guardava, restando appoggiato al comodino. Si domandava perché Tom fosse così ottuso.
"Però un pochetto ti sei smosso" disse avvicinandosi di qualche passo "quella volta non riuscivi nemmeno a rispondermi."
Tom alzò lo sguardo incrociando i suoi occhi.
"Stavi piangendo" gli ricordò Zack.
"Ti ricordi quando io ti avevo detto che a te non importava niente della nostra amicizia è tu mi avevi detto che non era vero?"
Tom annuí con un cenno della testa, ma la voce si bloccava in gola e le parole non gli uscivano.
"Anche in quel momento ti sei tirato indietro."
Ci fu un momento di silenzio assoluto nella camera, che parve durare in eterno. Tom tratteneva a stento le lacrime, e chiudendo i pugni ingoiava ogni frase che Zack pronunciava. Si sforzava di sopportarlo in modo maturo e consapevole, voleva dimostrarsi una persona degna di tenergli testa, anche se ogni parola lo feriva nel profondo.
"Anche in quel momento hai detto semplicemente che non era vero e che in realtà ci tenevi alla nostra amicizia, senza però dimostrare niente!"
"Che cosa vuoi dire?"
"Che le tue sono solo parole! Come faccio io a sapere se mi stai dicendo la verità?!" disse Zack agitando le braccia. Quel discorso stava andando troppo per le lunghe e lui cominciava a spazientirsi.
"Non posso dimostrartelo allora. Andare via da qualche parte così all'improvviso, partire senza aver organizzato niente... per me è impensabile"
"Anche per me lo era, ma se siamo in due... se siamo insieme qualcosa ne verrà fuori, e da qualche parte arriveremo per forza"
"È pericoloso"
"Tutto è pericoloso Tom. Una vita senza rischio non è una vita vissuta"
Tom restò nuovamente in silenzio.
Era assurdo partire all'improvviso? Sì.
Era meglio che restare chiuso in casa? Probabilmente sì.
Con Zack poi, riusciva a sentirsi più tranquillo? Sì.
Poteva allora seguirlo e partire? No.
Non poteva farlo, non sarebbe sopravvissuto un giorno. E poi, con che cosa si sarebbero spostati? Dove avrebbero passato le notti?
C'erano troppe domande, troppi punti interrogativi. Anche mettendoci tutta la buona volontà del mondo, era impossibile.
"Non posso farlo"
"CAZZO!" urló Zack in preda alla disperazione. Tirò un pugno al comodino e il rumore invase tutta la stanza. Un brivido percorse la schiena di Tom che abbassò il viso e strinse ancora le gambe.
"Non so più come minchia te lo devo dire!"
"Non dirmi niente allora!"
"Non capisci"
"Zack tu stai impazzendo!"
"Non sto impazzendo!"
"Forse... forse è meglio che tu vada a riposarti un po' "
"Non ho bisogno di riposo, io ho già preso la mia decisione. Te l'ho detto prima no? Io qua non ho più alcun motivo per essere felice, e voglio andarmene altrove per vedere qualcosa di nuovo"
"Non è la soluzione al problema"
"Tu reagisci stando chiuso in casa e vieni a dire a me che andare via non è la soluzione al problema? Ma ti ascolti quando parli?"
"Zack io-"
"Zack un corno!" Urló ancora.
"Tom io parto da solo se tu non vieni, è una cosa che devo fare per forza. Credevo che tu da amico mi avresti seguito dato che a quanto pare non hai niente da perdere, ma mi sbagliavo"
Tom era esausto. I suoi occhi si posarono sulle gambe di Zack. Erano ricoperte da tanti piccoli tagli, e un paio di lividi. Si chiese se anche tutto il resto del suo corpo fosse ridotto in quel modo.
"Non devi partire da solo" riuscí a stento a sussurrare.
"Quando non hai più amici è così che devi fare"
"Io sono tuo amico"
"E allora dimostramelo!" gridò, e quando fu pronto per sbattere nuovamente la mano contro il comodino di legno, la porta si aprì sbattendo.
"Di chi è questa voce?!" chiese qualcuno dal piano di sotto in modo nervoso. Era il tono di voce irritato che non accettava spiegazioni e qualunque cosa gli venisse detto non sarebbe stata ascoltata.
I due si zittirono, e la stanza piombò nel silenzio. Si udivano solo i loro respiri, e si scambiarono lo sguardo di chi sapeva già che di lì a poco sarebbe accaduto qualcosa di brutto. Quando il padre di Tom varcò la soglia della sua camera, Tom si sentí come se gli stesse crollando il mondo addosso.
"Chi è lui?!" chiese guardando il figlio con gli occhi fissi e spalancati, anche se la risposta la conosceva già.

Tom e ZackDove le storie prendono vita. Scoprilo ora