Quel pomeriggio Zack e Oliver lavoravano nella falegnameria. Suo padre l'indomani avrebbe portato del legno nuovo per poter costruire un tavolo richiesto da un cliente, ed era stato necessario liberare un po' di spazio nella stanza sul retro con tutti gli attrezzi, che Oliver aveva cominciato a chiamare "officina".
Lui aveva spazzato per terra e accumulato in un angolo pezzi di legno troppo vecchi e inutilizzabili. Alcuni li avrebbe portati con sé per intagliarli, mentre gli altri li aveva aggiunti al cumulo di spazzatura che Zack si caricò in spalla e portò fuori. Mentre si affacciava sulla strada, il suo occhio cadde su una ragazza seduta su una panchina lì di fronte. Aveva i capelli neri corti, intensi occhi marroni e il naso ricoperto di lentiggini. Indossava un grazioso vestito rosa antico sbiadito, quasi come se qualcosa avesse risucchiato via tutto il suo colore, e aveva lo sguardo rivolto verso le ginocchia, dove sopra era appoggiato un mucchio di pagine ingiallite che sembravano formare un libro. Zack la conosceva perché quando andava ancora a scuola lei era nella sua stessa aula, fuori però era molto raro che la vedesse. Non aveva molte amiche con cui uscire dato che era un tipo piuttosto introverso che preferiva restarsene a casa a leggere un libro in totale tranquillità, mentre la maggior parte delle ragazze del villaggio se ne stava seduta sui marciapiedi a spettegolare o ad impicciarsi negli affari che riguardavano gli altri ragazzi. La salutò con un cenno della mano che lei ricambiò. A Zack stava simpatica, non sembrava invadente come le altre ed era sicuro che parlandoci sarebbero saltati fuori molti argomenti interessanti, ma lei si manteneva a debita distanza. Non la biasimava: da piccolo fra i banchi di scuola dava fastidio, preferiva andarsene in giro anziché studiare, aveva sempre lividi sul corpo ed era capitato che litigasse pericolosamente con i suoi coetanei. Era normale che non lo considerasse una buona compagnia. Zack però era sicuro che se fosse nato in un altro posto sarebbe stato una persona migliore. Quello era un comportamento che aveva sviluppato stando in quel villaggio, per poter andare avanti senza essere soffocato dagli altri. Con Tom questo non succedeva. Con lui non si sentiva obbligato a difendersi, a dimostrarsi più furbo, a calcolare la mossa successiva, a nascondere le proprie sensazioni e pensieri. Con Tom Zack ritrovava la tranquillità e la calma di cui aveva bisogno, e soprattutto un buon amico con cui passare il tempo.
Se Tom fosse stato una ragazza, sarebbe potuto essere lei. Entrambi timidi, amanti della lettura, con gli occhi grandi e intensi.
Avrebbe voluto chiederle che cosa ci facesse seduta lì da sola, ma non appena sistemata la spazzatura la vide alzarsi e andare via. Forse mentre pensava tra sè e sè, l'aveva guardata troppo e lei si era sentita a disagio.
Rientrò nella falegnameria e vide Oliver intento a sistemare tutti i pezzi di legno in un sacchetto. Lo faceva spesso, però quella volta sembrava diverso. Era come se le sue braccia si muovessero in totale autonomia mentre lui viaggiava con la mente altrove. Aveva gli occhi puntati sul bancone ma parevano fissare un punto indefinito nel vuoto, e anche se apparentemente si trattava di azioni quotidiane prive di significato, Zack lo conosceva da abbastanza tempo per capire che c'era un pensiero in particolare che lo tormentava e di cui non riusciva a liberarsi. Per il suo amico Oliver, che era sempre disponibile per fare una chiacchierata nella speranza che il tempo al lavoro scorresse più velocemente o che adorava intagliare gli scarti del legno quando non c'era molto da fare, quello era un comportamento insolito.
"Perché ti porti dietro tutti quei pezzi di legno?" gli chiese tanto per iniziare il discorso. In qualche modo sarebbe riuscito a capire il problema che tormentava l'amico e magari riuscire ad aiutarlo come aveva fatto lui giorni prima.
"Per intagliarli" rispose Oliver.
"Prendine qualcuno, gli altri puoi lasciarli in falegnameria. Non c'è bisogno che ti porti a casa un sacco intero"
Oliver si fermò.
"Questa volta c'è bisogno"
Zack percepì per un attimo il battito del suo cuore accelerare. Prima del previsto, era riuscito a trovare un punto cruciale della conversazione, lo sentiva.
"Che cosa intendi?"
"Zack, Non so come dirtelo" disse l'amico, poi restò in silenzio. Zack avvertì una sensazione spiacevole nel petto ed ebbe un brutto presentimento. Restò fermo a guardare Oliver che nel frattempo ignorava il suo sguardo. Capiva che ci stava pensando attentamente e gli parve quasi di vedere davanti a sè gli ingranaggi del suo cervello in movimento.
"Dimmelo e basta, ti aiuterò lo stesso"
"Non..." iniziò lui, ma prima di proseguire parve esitare un attimo "non mi serve aiuto, questa è una situazione diversa"
"Diversa in che senso?"
Oliver tacque.
Zack pensò che se fosse stato possibile, il suo cuore sarebbe esploso. Il fatto che l'amico ci stesse mettendo così tanto per esporgli ciò che lo tormentava, lo preoccupava e lo innervosiva allo stesso tempo.
"Non so come potresti reagire"
"Non potrai mai saperlo allora, se non mi dici che cos'hai"
"Non è una cosa che ho voluto io, però non posso evitarla per nessun motivo"
"Va bene" rispose cercando di mantenere un tono calmo, ma tirarla tanto per le lunghe gli stava facendo perdere la pazienza. In quel momento avrebbe tanto desiderato essere una persona calma come Tom, che non aveva mai sentito alzare la voce o innervosirsi. Lui era quel tipo di persona che piantava un fiore e prendendosene cura aspettava pazientemente che crescesse, mentre Zack preferiva raccoglierne uno già rigoglioso e colorato.
"Mi dispiace per quello che sto per dirti"
"Cazzo Oliver!" sbraitò Zack spazientito "datti una mossa!"
Pronunciata quella frase però, venne invaso da un improvviso senso di colpa. Sapeva che assumere quel comportamento nelle situazioni difficili non era una buona qualità, tuttavia non riusciva a fare a meno di essere così. Lasciava che le circostanze prendessero il sopravvento sulle sue emozioni e lo trascinassero contro la sua volontà, poi se ne rendeva conto dopo. Realizzava le parole dette, i modi di fare, i modi di esporsi, e si sentiva tremendamente inadeguato.
"Scusa"
"Non preoccuparti"
"Dimmi"
"Vado via" disse Oliver voltandosi nella sua direzione. Non aggiunse altro, per far sì che Zack comprendesse a pieno quanto aveva appena detto.
"Ripetilo"
"Vado via"
Zack Non capiva. -Oliver va via- pensò. Un pensiero semplice e rapido, ma per qualche sconosciuto motivo era come se per lui non avesse alcun senso.
"Spiegati meglio"
"Mi spiego meglio" ripetè Oliver. Dentro di lui si era formato un vortice di emozioni che lo avrebbe trascinato giù. Lo avrebbe fatto andare sempre più verso il fondo per una via di non ritorno, nonostante ciò cercò comunque di scegliere con cura le parole da usare.
"mi trasferirò con la mia famiglia in un altro villaggio"
Zack annuí. Oliver gli lasciò del tempo per realizzare la comunicazione, poiché immaginava che per il suo amico non doveva essere un qualcosa di facile da ascoltare ma prima o poi avrebbe dovuto saperlo.
"È sempre da questa parte del fiume, ci si mette un po' a piedi ma se... se riusciamo a evitare i controlli della strada..."
Zack aveva capito che cosa intendeva dire Oliver. Se due villaggi non erano particolarmente vicini tanto da poter passare attraverso un fiume o un bosco che fungevano da collegamenti, bisognava attraversare per forza le strade di confine, che avevano controlli e alcune volte pretendevano anche una piccola somma di denaro per consentire il passaggio. Questo si faceva tra un territorio e l'altro, tra villaggi era illegale ma era da anni ormai che nessuno diceva qualcosa in contrario perciò era diventata la normalità. Erano chiamati "i forestieri" e Zack e Oliver erano cresciuti ascoltando le storie delle loro gesta crudeli. Molte persone dicevano di aver perso dei loro cari perché questi non avevano avuto intenzione di lasciarli passare, o di brutali aggressioni, o peggio ancora di semplici contadini legati ad un albero e lasciati lì a marcire.
"Perché te ne devi andare?"
"Io e mia madre non siamo riusciti a pagare l'affitto per qualche mese e ci hanno sfrattati"
"Quando è successo?"
"Qualche giorno fa. Ci è arrivata una lettera a casa dove c'è scritto che dobbiamo lasciare la casa entro un mese"
"È pochissimo tempo!" esclamò Zack sorpreso.
"Lo sappiamo"
"Avete provato a contestare?"
"Mia madre ci è andata il giorno stesso dell'arrivo della lettera, ma non abbiamo ottenuto niente"
"Non vi hanno neanche ascoltato?"
"Sì lo hanno fatto, ovviamente"
"E?"
"Non c'è stato verso"
"Perché?"
Oliver restò in silenzio.
"Non hanno neanche provato ad aiutarvi? O che ne so, cercare un compromesso?"
"Zack" riprese lui alzando gli occhi "mia madre è sola. È una che non si lascia buttare fuori di casa con così poco preavviso, lei è una donna con le palle. Ma è comunque sola, non ha nessuno a cui rivolgersi e che possa aiutarla"
Zack lo sapeva. Sapeva che la madre di Oliver era rimasta vedova proprio dopo la nascita dell'ultima figlia. Il padre era morto per una malattia ai polmoni causata dal troppo fumo, e nonostante le raccomandazioni del dottore dove gli diceva esplicitamente di bere una medicina dopo pranzo e dopo cena, di non affaticarsi troppo e soprattutto rinunciare al fumo, Oliver gli aveva raccontato che era rimasto con la sigaretta in bocca fino alla fine. Aveva ignorato le istruzioni che avrebbero potuto allungargli la vita lasciando alle sue spalle tre figli e una moglie. Oliver era il più grande, poi c'era Teodor di dieci anni e Monika, di soli tre. La madre era una donna paziente ed energetica, che dopo la morte del marito non si era lasciata trasportare dalla disperazione e faceva del suo meglio per mandare avanti la casa, aiutando la proprietaria a gestire un negozio di vestiti. La paga non era molto alta, perciò anche Oliver contribuiva, ma la vita era difficile e non sempre si arrivava a fine mese.
"Ma hai idea di quanta gente là fuori vive di cose rubate? Di quanta gente vive manipolando gli altri, rubando i soldi, ostacolando i guadagni altrui?"
Oliver annuí rassegnato, sapendo già che cosa l'amico stava per dire. Ne era certo perché era lo stesso ragionamento che aveva fatto anche lui, chiuso nella sua stanza con gli occhi ricoperti di lacrime e la testa affondata nel cuscino. L'arrivo di quella lettera era stato devastante, e lui si era sentito quasi come se qualcuno gli avesse distrutto l'intera esistenza con un martello.
"E buttano fuori di casa voi, che non avete pagato l'affitto per qualche mese?"
"Sì"
"Che stronzata" disse Zack battendo il pugno sul bancone.
"Lo so" rispose Oliver assente. Era convinto che sentendo Zack urlargli contro sarebbe riuscito a concentrarsi nella conversazione e a distrarsi per un po' dai suoi pensieri bui, ma il ricordo di quando la lettera aveva attraversato la porta di casa sua si era fatto vivido in un momento.
Era stato durante un freddo pomeriggio e tutti e quattro erano in casa. Teodor era sdraiato sul divano a fissare il soffitto e aspettando passivamente l'ora di cena, mentre Oliver era nella sua stanza con Monika. Stava finendo di intagliare una statuetta a forma di pesce, mentre la bambina era sdraiata sul suo letto a pancia in giù e lo guardava curiosa. La madre era in cucina indaffarata a preparare la minestra di verdure, quando all'improvviso aveva sentito bussare alla porta. Era stata una discussione durata appena qualche attimo, e la persona che aveva bussato se n'era già andata lasciando in mano alla donna una lettera. Comunicò immediatamente la notizia ai figli e disse a Oliver di badare ai suoi fratelli per poi uscire.
Se quella donna fosse stata un elemento della terra, sarebbe stata sicuramente il fuoco. Era sempre stata passionale e traboccante di energia, mai una che si lasciava trasportare dal panico o dalla paura di finire sotto ad un ponte. Aveva dato il massimo in continuazione, anche dopo la morte del marito, e avrebbe protetto i suoi figli fino alla fine anche a costo della sua stessa vita. Subire un'ingiustizia del genere era stato un colpo duro per lei, ma non abbastanza da impedirle di andare a contestare.
Lui, rimasto solo con Teodor e Monika, si era precipitato nella sua stanza chiudendosi la porta alle spalle ed era crollato a piangere. Non era una cosa che faceva spesso, soprattutto da quando suo padre era morto aveva imparato ad ingoiare la saliva, fare un respiro profondo e trattenersi fino a quando le lacrime non premevano più per uscire e si placavano. Quel giorno però, l'istinto aveva preso il sopravvento e lo aveva lasciato annegare nella tristezza.
Con tante famiglie che si guadagnavano da vivere fra le strade dell'illegalità, quella sfrattata era stata la sua.
"Avete già trovato una sistemazione?" gli chiese Zack dopo interminabili minuti di silenzio e tensione quasi tastabile.
"Solo temporanea, in una grande casa dove ci sono per lo più donne vittime di violenza domestica con i loro figli, ma anche per la nostra situazione va bene"
"E sai già quanto tempo starete lì?"
"No... mia mamma al momento è solo molto stanca, vuole stare là per un po' "
"Dio mio Oliver" disse Zack, con un tono di voce in bilico tra la preoccupazione e lo sconforto. Oliver Non lo aveva mai visto in quel modo, ma evidentemente anche la persona più brava del mondo a nascondere i propri sentimenti mostrava il vero volto della disperazione, quando anche l'ultimo pezzo di maschera finta non reggeva più.
"È a questo che ti servono tutti quei pezzi di legno?" chiese poi, e l'amico annuí con un cenno della testa.
"Non avró niente da fare probabilmente. Almeno mi metto ad intagliare questi".
Zack non se lo immaginava.
Non si immaginava una vita dove sarebbe entrato in falegnameria e Oliver non sarebbe stato più lì.
Non si immaginava una vita in cui avrebbe dovuto aspettare i suoi giorni liberi per poter incontrare il suo migliore amico in un posto diverso dal loro villaggio.
Non si immaginava una vita in cui Oliver non gli sarebbe più stato vicino a guardarlo, a ridere a crepapelle, ad ascoltarlo, a osservare il cielo stellato seduti sui rami di qualche albero robusto, a parlare del futuro e a infrangere qualche regola insieme.
Nonostante gli sforzi, non riusciva ad immaginarsi una vita senza di lui e davanti a sè appariva soltanto un grande vuoto.
"Zack" lo richiamò Oliver notando che l'amico non rispondeva. Zack sussultò, riportato alla realtà. Si sentí quasi sollevato nel realizzare che Oliver era ancora di fronte a lui nella falegnameria, in una normale e tranquilla giornata di lavoro.
"Sí, ho capito" rispose soltanto "non ci vedremo più"
"Non per forza"
"Oliver, Se ci vediamo in strada quelli ci ammazzano, io e te non abbiamo soldi da dargli e non ci sono boschi che ci nascono e che possiamo sfruttare"
Oliver lo sapeva. Si immaginava già i forestieri che li legavano attorno al tronco di un albero e poi se ne andavano, lasciandoli a marcire. Brividi lungo la schiena al solo pensiero. Senza tener conto che poi, sarebbe stato ancora più difficile allontanarsi per un pomeriggio intero dal rifugio, lasciando sua madre e i suoi fratellini da soli.
"non so cos'altro dirti" rispose timidamente dopo, incerto.
"Non devi dirmi nient'altro"
"Non ci sono state altre alternative"
"La situazione è questa e voi avete fatto tutto il possibile, non preoccuparti"
"Grazie Zack, sei il migliore amico del mondo"
Zack gli accennò un sorriso che serví solo a non far sentire Oliver troppo teso, perché in realtà quella notizia lo aveva sconvolto.
La giornata fu piuttosto tranquilla, anche se poco piacevole. Oliver aveva continuato ad intagliare un pezzo di legno a forma di pesce mentre Zack aveva provato a distrarsi sistemando l'officina quanto più poteva. Era rimasto in silenzio perché temeva che se avesse parlato, avrebbe potuto addirittura mettersi a piangere e al solo pensiero le sue guance diventavano rosse per l'imbarazzo. Alla fine Oliver si stava semplicemente trasferendo in un altro villaggio, e sentirsi così triste per una faccenda come quella lo faceva sentire debole e vulnerabile come un bambino.
Rientrò a casa accompagnato da una nauseante sensazione allo stomaco. Ignorò se in quella piccola abitazione ci fosse qualcuno. L'unica cosa che desiderava era sdraiarsi nel letto, addormentarsi sotto le coperte e dimenticare quel pesante pomeriggio, ma non appena fece qualche passo udí una voce roca chiamare il suo nome. Si voltò, e vide che suo padre era seduto al tavolo della cucina.
"Zack" aveva ripetuto, e lui, consapevole del fatto che non avrebbe potuto ignorarlo, gli si avvicinò. Ogni volta che rientrava lui non c'era, mentre quel giorno che era così giù di morale da non voler vedere nessuno era là. Questa coincidenza lo innervosì, ma fece un respiro profondo e provó a contenersi.
"Sei qui" rispose privo di emozione "dov'è la mamma?"
"È uscita, se vuoi qualcosa da mangiare cucinatelo da solo che sei grande abbastanza"
Zack non rispose. Se lo aspettava, ma nelle condizioni in cui si trovava quel suo commento lo fece sentire abbandonato.
"Oliver se ne va" annunciò l'uomo senza troppi preamboli. Zack lo sapeva già e la notizia lo aveva parecchio demoralizzato, suo padre però pareva non aver tenuto in considerazione neanche per un secondo come potesse sentirsi il figlio e non si era fatto scrupoli a comunicarglielo.
"Per questo oggi ho dovuto fare un paio di cambiamenti per gestire la falegnameria senza di lui" comunicò infine.
"Va bene" si sforzò di rispondere Zack. Avrebbe dovuto chiedere spiegazioni in più riguardo quel nuovo programma di lavoro, ma anche se suo padre gliele avesse spiegate, lui avrebbe avuto la testa altrove e non sarebbe stato capace di prestare attenzione.
In quel momento, si rese conto che avrebbe tanto voluto ricevere un abbraccio. Di solito cose di questo tipo le rifiutava, anche perché l'unica persona a cui poteva chiederlo era sua madre che non si dimostrava mai particolarmente contenta e anzi, sembrava quasi vergognarsene. Ricevere un abbraccio significava non essere abbastanza forti e aver bisogno di una consolazione. Quando era piccolo, suo padre aveva finito per picchiarlo diverse volte dandogli qualche colpo con la sua cintura, stando ben attento a marcare solo punti che si potessero coprire sotto i vestiti. Zack lo ricordava ancora molto bene, quasi come se la scena si ripetesse davanti ai suoi stessi occhi, e il dolore si ripercuotesse su quello stesso corpo. Gli ripeteva che era un maschio e che doveva comportarsi da tale, essere forte, non piangere, affrontare tutte le difficoltà a testa alta. E se il prezzo da pagare per un semplice abbraccio era quello, Zack aveva finito per odiarli.
Ma in quel momento però, era fragile e un abbraccio lo avrebbe accolto volentieri.
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Tom e Zack
FantasyEra una fredda mattinata d'inverno, e Tom se ne stava seduto su una sedia accanto al camino. Fuori nevicava, e i versanti delle montagne erano ricoperti da un manto bianco uniforme. Il calore del fuoco che ardeva sulla legna, era un sollievo per lui...