Capitolo 28

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"Bravate dei ragazzi?" Aveva risposto l'altro.
"Ma sì, sai, la fase della ribellione, quella dove si vuole essere soli e indipendenti e si scappa di casa."
"Può darsi" rispose l'uomo, con la faccia di uno che stava prendendo seriamente in considerazione ciò che gli era appena stato detto.
"L'avevo fatto anch'io, da giovane, ero scappato con una ragazza. Eravamo così spensierati..." disse, poi fece una breve pausa di silenzio, quasi come se con la mente stesse tornando a quei tempi.
"Eravamo spensierati sì, ma non ti dico quante sberle ho preso al mio ritorno."
Tom abbassò lo sguardo. Cercò di tranquillizzarsi pensando che se erano lì vicino e non gli avevano prestato la minima attenzione significava che non lo avevano riconosciuto, ma non era abbastanza. Più tendeva l'orecchio e li ascoltava, più si convinceva che stavano parlando di lui e che la notizia della sua scomparsa era già saltata fuori.
"Si sarà stancato e se ne sarà andato via per qualche giorno, tornerà tra neanche una settimana."
Zack pareva irrequieto. Non poteva essere che stessero parlando di Tom, sarebbe stata troppo una coincidenza. Era anche vero però, che non si erano spostati di molto e che era possibile incontrare dei colleghi di lavoro del padre di Tom in un villaggio vicino.
Più ci pensava, e più gli sembrava una coincidenza meno assurda.
I due uomini fecero una pausa.
"Sarà andato via anche lui con una ragazza"
"Sicuro, era troppo tranquillo per non avere niente da nascondere."
Quella fu l'ultima frase che ascoltarono, perché Zack si alzò all'istante, rifiutandosi di sentire altro, e Tom lo seguí. Pagarono, Zack salutò con un cenno della mano l'uomo con cui aveva parlato prima, che se ne stava comodamente seduto al bancone sorseggiando qualcosa da un bicchiere, e uscirono dal locale.
Zack si calmò subito. Erano fuori, lontano da quei due sconosciuti, e questo bastava per renderlo più tranquillo. La stessa cosa purtroppo non valeva per Tom, che stava già cominciando a farsi prendere dal panico. Si stava sforzando di mantenere una posizione composta e controllata, come stava facendo Zack, ma il cuore gli martellava nel petto e se fosse stato possibile era sicuro che gli sarebbe saltato addirittura fuori dal corpo.
"Li hai sentiti?" chiese, più per parlare e avere qualcosa da fare per non pensarci, che per curiosità, anche perché la risposta era già abbastanza ovvia.
"Certo Tom, erano di fianco a noi."
"Che cosa facciamo?" disse, ma Zack aveva già cominciato a camminare lungo la strada.
"Mio padre si è già accorto che non ci sono, e l'ha già detto ai suoi colleghi."
Zack continuava a guardare avanti.
"Probabilmente è di questo che stavano parlando. Non è andato con loro perché è rimasto a casa cercando di capire dove io possa essere."
"Tom rilassati." gli rispose Zack dopo una breve pausa.
"Ci stanno già cercando, non posso rilassarmi."
"Stanno cercando solo te per ora."
"Forse... forse è perché non si sono ancora accorti che pure tu non sei più al tuo villaggio, ma prima o poi anche la tua assenza si farà sentire e qualcuno potrebbe semplicemente collegare le due cose."
Aveva la voce che tremava. Il fatto che Zack fosse così rilassato lo irritava. Avevano già cominciato a cercarli, e sicuramente prima o poi qualcuno avrebbe capito che le loro assenze non potevano essere casuali. Se non si inventavano qualcosa sarebbero stati riportati ai rispettivi villaggi al più presto, e le conseguenze sarebbero state ben più disastrose. Come poteva Zack restare calmo, quando c'era anche solo la minima possibilità che una cosa del genere potesse accadere?
Era vero che al momento stavano cercando soltanto Tom, ma non era un buon motivo per non cogliere seriamente il pericolo.
D'altra parte però, anche Zack per un momento si sentì irritato. Il fatto che il padre di Tom si fosse già accorto della scomparsa del figlio e lo avesse già accennato ai suoi colleghi, lo faceva sentire tremendamente solo. I suoi genitori probabilmente non erano entrati ancora nella sua stanza neanche per un controllo, o se l'avevano fatto e avevano trovato il letto vuoto, avevano pensato che si fosse trattato di una piccola uscita improvvisata dalla finestra alla loro insaputa. Che era così in un certo senso, perché non li aveva certo avvisati che sarebbe andato via per sempre, ma sicuramente l'avevano interpretato come un'assenza momentanea e non se ne erano preoccupati molto.
"Dobbiamo allontanarci e andare lontano dai nostri villaggi, se rimaniamo qui..."
Zack non rispose.
"Potrebbero trovarci anche ora."
"Stai zitto" disse spazientito, e Tom obbedì. Si sentiva in colpa. Forse aveva parlato troppo.
Zack si fermò e fece un respiro profondo. Non voleva davvero rispondergli in quel modo, ma era una situazione difficile per entrambi. Neanche lui sapeva che cosa si doveva fare in quelle circostanze, ma qualcosa si sarebbero inventati.
Non voleva tornare indietro.
Guardò Tom.
Aveva gli occhi grandi e accesi. Il petto che si alzava e si abbassava a velocità costante, e il naso rosso per il freddo. Sapeva che stava aspettando una sua risposta, e questo lo fece sentire importante.
Tom era l'unico rimasto, disposto ad ascoltarlo davvero.
"Facciamo così" disse infine, e prendendo Tom per il polso lo condusse al margine della strada così da non bloccare il passaggio.
"Hai ragione, siamo ancora troppo vicini ai nostri villaggi" ammise "ma dobbiamo dormire da qualche parte prima di ripartire sul serio."
Tom annuì, attento.
"Andiamo nel posto di cui ti parlavo prima, e restiamoci fino a domattina, poi all'alba ce ne andiamo."
Fece una pausa in modo tale che Tom potesse assimilare quanto gli era appena stato detto, e in risposta annuì una seconda volta.
"Non penso che si possa fare diversamente" confessò, con una nota di sconforto nella voce. Forse restare chiusi in una stanza e riprendere il viaggio all'alba quando la gente dormiva ancora, era la cosa più sensata da fare.
Si avviarono seguendo le istruzioni date dallo sconosciuto, a passo svelto.
Sentire quei due uomini parlare lì aveva reso entrambi agitati, anche perché era la prima volta che si allontanavano dai villaggi con l'intenzione di non tornarci mai più.
Anzi, per essere ancora più precisi, non che Zack non ci avesse mai pensato.
Qualche anno prima aveva organizzato con Oliver una fuga. Oliver diceva che sua madre era sempre impegnata a fare qualcosa, e quando litigava con i suoi fratelli non gli dava mai retta. Diceva che stava crescendo e che aveva bisogno pure lui dei suoi spazi, voleva una stanza tutta per sè e magari anche un po' di tranquillità a casa, senza sentire i pianti della sorella più piccola nel bel mezzo della notte o aiutare Teodor a fare i compiti. L'atmosfera era diventata poco piacevole. D'altra parte, anche Zack aveva motivi per cui lamentarsi. I suoi genitori litigavano ogni sera, perché arrivavano lamentele dagli altri adulti per il comportamento di Zack a scuola. Dicevano che dava troppo fastidio in classe, che si alzava e passeggiava fra i banchi quando non aveva voglia di fare lezione, ed era per questo motivo che gli altri bambini non riuscivano ad imparare mai nulla. Dicevano che era troppo vivace, e che forse gli schiaffi non erano abbastanza.
Questo faceva innervosire suo padre, che aveva cominciato a dire che Zack non doveva più andare a scuola.
"Non fa mai niente di buono, io non vado a lavorare per mantenere un fallimento. Domani mattina viene al lavoro con me" diceva in tono severo e autoritario, ma sua madre era contraria perché secondo lei era ancora piccolo per lavorare. E finivano ad urlare.
Così entrambi decisero di uscire di nascosto la notte. Zack ricordava ancora il cuore che batteva forte nel petto, e l'eccitazione di chi sa che sta facendo qualcosa di assolutamente assurdo e straordinario. Qualcosa che nessuno degli altri bambini avrebbe mai avuto il coraggio di fare.
Era uscito dalla finestra senza far rumore. Quel gesto era così abitudinario che lo affrontò con estrema facilità, e con il fagotto di stoffa contenente qualche pezzo di pane avanzato dalla cena, aveva attraversato la strada principale e si era incontrato con Oliver ai piedi di un albero. Camminarono per poco, ma alla fine trascorsero la notte comodamente seduti sulla neve a mangiare quel poco di cibo che erano riusciti a portarsi dietro e tornarono a casa all'alba.
"Perché sorridi?" Domandò Tom notando l'espressione contenta che Zack stava accennando.
"Ho ricordato una cosa" rispose Zack ritrovando un po' della sua solita allegria, cosa che allietò parecchio l'animo tormentato di Tom.
"Che cosa?" chiese, sperando che l'amico gli rispondesse senza fare tanto il misterioso.
"Quando ero piccolo ho provato a scappare di casa con un mio amico. Volevamo allontanarci dal villaggio e non tornare indietro mai più, ma naturalmente erano solo le fantasie di due bambini vivaci e troppo ingenui"
"Dici? Perché volevi andartene via?" chiese Tom sorpreso. Lui non aveva mai neanche lontanamente immaginato di scappare di casa. A parte che suo padre era sempre via per viaggi di lavoro, quindi in un certo senso era come vivere già da soli, però l'idea di scappare di casa gli era semplicemente parsa come un qualcosa lontano anni luce da lui, come un qualcosa che apparteneva agli altri e che solo persone che non erano lui potevano fare. Non aveva mai pensato seriamente di abbandonare la sua casa, il suo villaggio, e non tornarci mai più. Cioè, in quel momento sì, ma perché era cresciuto e il desiderio di vivere a pieno la propria vita si era fatto più forte. E gli sembrava assurdo che Zack già da bambino avesse avuto questi pensieri, e avesse adirittura provato a realizzarli.
"I miei litigavano sempre in quel periodo. A scuola dicevano che ero un bambino troppo vivace e che davo troppo fastidio, secondo alcuni genitori i loro figli non imparavano niente perché c'ero io in classe e mio padre si innervosiva. Voleva portarmi a lavorare con lui così avrei fatto qualcosa di utile, ma mia madre non era d'accordo e diceva che ero troppo piccolo."
Tom rimase per un attimo senza parole. Era bastato quel breve discorso per fargli realizzare quanto poco sapesse della vita di Zack. Non che non gli fosse mai venuto in mente di fargli qualche domanda per conoscerlo meglio, ma ogni volta aveva paura di risultare maleducato o troppo curioso, quindi ogni volta teneva la bocca chiusa e conservava i suoi dubbi.
In un certo senso, sentirlo raccontare spontaneamente quel piccolo dettaglio della sua infanzia lo aveva reso felice.
"Non che ora sia così sensibile eh" continuò Zack per interrompere il silenzio dell'amico "adesso sono molto più forte di così, non bastano mica due litigate messe in croce per mandarmi fuori di casa. È solo che voglio staccarmi da tutto ciò che ho passato, e cominciare qualcosa di nuovo. Tutto qui."
"Non sapevo di questa cosa."
"Non me l'hai mai chiesta."
"Volevo... chiederti di raccontarmi qualcosa, ma alla fine ho preferito aspettare che lo facessi tu spontaneamente."
Zack accennò un sorriso.
"Come vuoi."
"Però già che ne stiamo parlando ho una domanda."
"Chiedi."
"Mi avevi detto che avevi scelto tu di andare a lavorare, a quindici anni."
"Quando?"
"Quando ci siamo conosciuti."
Zack ci pensò un attimo. Il loro primo incontro nel bosco gli apparve come un ricordo limpido e chiaro. Era vero, gli aveva detto proprio così.
"Hai ragione, probabilmente te l'ho detto perché era la prima volta che parlavamo, e non sapevo ancora se fidarmi completamente o meno. Non volevo che sapessi questi lati della mia vita sin da subito."
Tom capí. Probabilmente, anche lui avrebbe fatto la stessa cosa al suo posto.
"E volevi andare a lavorare con tuo padre?"
Zack ci pensò ancora, per un momento.
"Ero piccolo per sapere cosa volevo. Sarei andato a lavorare con mio padre più che altro per non doverlo sentire più urlare, e poi dato che a scuola non ci volevo stare pensavo che fosse la cosa migliore."
"Ho capito."
"Ma non mi sono pentito, dopotutto alla falegnameria c'era anche Oliver."
Tom avrebbe voluto abbracciarlo, ma non lo fece.
Attraversarono un vicolo.
Tutt'intorno non c'era anima viva, e Tom si chiese se fosse davvero quella la strada che dovevano seguire, tuttavia non fece domande e si limitò a camminare dietro Zack. Giunsero davanti ad un edificio interamente dipinto di rosso.
Non si poteva dire che fosse in ottime condizioni, ma c'era anche di peggio.
All'esterno c'era semplicemente la facciata principale con il portone e tante piccole finestre, qualche tavolino fuori dove non c'era seduto nessuno e neanche un cartello.
La strada che gli aveva indicato il signore era quella e Zack era certo di aver seguito correttamente le sue indicazioni, ed essendo comunque un luogo che affittava illegalmente stanze anche a ragazzi che non erano ancora degli adulti, era normale che fosse un edificio così anonimo. Nascosto dalla strada principale e privo di cartelli.
Era uno di quei posti frequentati da gente che conosce il territorio, e basta.
Entrarono, e ancora un po' esitanti si avvicinarono al bancone.
Sul retro c'erano due gemelli, una donna e un giovane uomo, che sembravano la stessa persona in due versioni differenti. Se avessero cominciato anche a dire le stesse cose e fare gli stessi movimenti, Tom non si sarebbe stupito.
Zack parlò con la donna e disse semplicemente che volevano una stanza per quella notte. I prezzi non erano per niente alti, e sebbene Zack volesse pagare direttamente il mattino successivo lei insistette per ricevere i soldi sin da subito. In quel modo, l'affare era già concluso, e non ci fu nemmeno il bisogno di firmare qualche foglio.
Tom non era tranquillo.
Il posto non sembrava poi così brutto, ma lui non poteva fare a meno di sentirsi irrequieto e agitato.
Era letteralmente scappato di casa, e quando aveva sentito due uomini parlare della sua scomparsa era fuggito e con un altro ragazzo, che suo padre gli aveva espressamente detto di non frequentare più, stava cercando di trovare rifugio in un edificio al limite della legalità. Non c'erano fogli, non c'erano persone, non c'era niente di scritto. Tutte le prove erano assenti. Il che da un lato era positivo, perché così sarebbero passati inosservati e nessuno avrebbe potuto capire che erano là, ma se gli fosse capitato qualcosa di brutto? Se avessero avuto bisogno di aiuto?
Questa consapevolezza gli faceva venire una spiacevole sensazione di nausea allo stomaco, tanto da non riuscire nemmeno a reggersi in piedi.
"Tom, tutto bene?" domandò Zack, e Tom annuì con un cenno della testa.
I due andarono nella stanza che gli era stata assegnata, e dopo aver chiuso la porta a chiave Tom fece una breve ispezione della stanza.
Per aver avuto un prezzo così basso, era molto accogliente.
C'era un grande letto al centro, che avrebbe potuto ospitare almeno tre persone, e delle coperte che sembravano parecchio calde. Poi c'era un comodino, proprio sotto alla finestra, e un grande armadio contenente solo due vestaglie da notte.
Zack era sfinito, e si era sdraiato subito sul letto incurante dell'ambiente intorno.
Tom rimase seduto per un po' sul bordo del letto, con le gambe unite quasi come se avesse paura di essere troppo ingombrante e la sciarpa ancora avvolta attorno al collo. Guardava fuori dalla finestra, anche se avrebbe voluto sdraiarsi anche lui.
"Sei stanco?" chiese Zack, sicuro che Tom restasse seduto semplicemente perché troppo imbarazzato per dormire accanto a lui.
"Un po' " rispose. Era certo che anche se ci avesse provato, non sarebbe riuscito a dormire. Al che Zack lo invitò a stendersi proprio lì accanto, e ad appoggiare la testa nell'incavo tra la sua spalla e il suo collo. Erano rimasti così quella sera a casa sua, poco prima di partire. Tom gli era rimasto abbracciato e lui lo aveva dolcemente calmato con qualche carezza.
Gli era piaciuto sentirlo. Sentire il calore del suo corpo. I sentimenti sinceri di una persona limpida e spontanea. In un certo senso, averlo vicino era servito per calmare anche lui, quindi in fondo al suo cuore sperava che Tom acconsentisse. Invece, arrossì lievemente sulle guance e disse che gli sarebbe bastato mettersi sotto le coperte e aspettare un po'. Prima o poi il sonno sarebbe venuto a trovarlo.
Zack era deluso, ma non lo diede a vedere.
Era troppo stanco per contestare, e si addormentò quasi subito.
Tom invece accanto a lui, ebbe voglia di piangere.
Si sentiva terribilmente triste.
Tutte quelle preoccupazioni... sentiva di non riuscire a sostenerle.
Era come se avesse passato tutta la sua vita chiuso dentro ad una stanza composta da sole quattro mura, più il soffitto e il pavimento. Ogni qualvolta che aveva bisogno di qualcosa, era già lì.
Se voleva qualcuno con cui parlare c'era il vicino di casa, o la sua migliore amica. Se voleva leggere c'erano i libri sulle sue mensole. Se voleva disegnare o scrivere c'era il suo quaderno. Se voleva imparare cose nuove c'era la scuola, nella quale trascorreva intere giornate ad ascoltare le spiegazioni dei suoi professori.
Però tutto quello non era sufficiente.
Suo padre viaggiava, esplorava il mondo, aveva conosciuto tante persone e vissuto nuove tradizioni e culture. Aveva visto il mare, le campagne, tutte quelle creature che Tom aveva visto soltanto in qualche immagine piazzata fra le pagine dei suoi libri. Era pericoloso, certo, ma voleva vedere anche lui con i suoi occhi tutte queste scene meravigliose.
Era curioso, e il mondo racchiuso in quella stanza aveva cominciato a rimpicciolirsi, fino a risultare terribilmente stretto e inadatto. Lo spazio dentro quelle quattro mura non era più abbastanza, e finalmente aveva trovato il coraggio di uscire.
Si era buttato fuori, era andato all'esterno, aveva preso tutto ed era fuggito, e in quel momento si ritrovava a camminare in territorio sconosciuto.
Era ciò che voleva, ciò che aveva sempre desiderato.
E allora perché quell'orribile senso di colpa non sembrava aver alcuna intenzione di lasciarlo in pace?
Perché continuava a sentirsi così tormentato?
Era stanco, esausto.
I ricordi della sua vita passata stavano prosciugando tutte le sue energie. Gli pareva quasi di sentire il pianto di Rose, o la voce di suo padre che gli diceva che era stato una delusione e che nè lui nè sua madre si erano meritati un figlio del genere.
Si alzò. Avrebbe pianto, sì, ma non lì dove Zack poteva sentirlo.
Aprí la porta senza far rumore, ma Zack dormiva profondamente. Quasi lo invidiava. Uscì e andò nei bagni. Erano in comune per tutti, in quanto non erano presenti nelle varie camere. Arrivò in fondo al corridoio e lasciò scorrere qualche lacrima. Poi fece qualche respiro profondo e si lavó la faccia con l'acqua gelata.
Si sarebbe calmato, prima o poi.
Era pronto a tornare nella stanza. Se avesse continuato ad essere così agitato si sarebbe avvicinato a Zack, e sperando di trovare conforto nella sua vicinanza, avrebbe chiuso gli occhi per qualche ora.
Quando si voltò però, la presenza di un uomo aveva bloccato l'uscita.

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