rialzarsi più forti

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I giorni al San Mungo passano lenti, Justine e Jack non sembrano migliorare, anzi il coma in cui li teniamo è irreversibile. Sono arrivati altri pazienti che, per fortuna, sono guariti e dimessi poco dopo, il gruppo di guaritori è formidabile e anche noi tirocinanti abbiamo legato in qualche modo tutti. Sabato abbiamo allargato l'invito per la cena a casa di Ced anche a Anna, Cho e Tyler che sembrano aver trovato una forte intesa. "Quindi Maecy ora vive da Fred e George?" sospira Dave mentre siamo al tavolino a goderci la pausa pranzo solo io e lui, "sì la sua famiglia è sotto protezione, ma non dovrebbero infastidirla e mio cugino ritiene più saggio che lei non stia sola, alla fine il laboratorio è grande per tutti e due i lavori" rispondo certa che la cosa dia un pochino fastidio a Dave. "Almeno Fred lo ascolta" sospira dopo un attimo, "Dave, non sarai geloso? Sei tu che hai definitivamente chiuso con lei, ti ricordi il voglio una persona per cui essere ciò che Ced è per Eli" lui mi guarda e sorride "si vero, ma tuo cugino le ha sempre ronzato intorno. E non credo la renderà felice." Guardo per un attimo di troppo la mia torta al cioccolato "non preoccuparti, so che non mi dirai nulla contro di lui e che per ora sono solo io ad averla fatta soffrire." Sorrido "Dave lo sai, fosse George mi fiderei al cento per cento, Fred è diverso, anche Ced sostiene che ci sia qualcosa tra i due, io non vorrei soffrisse. E poi lo sai a me piacevate tanto voi due" non faccio in tempo a sentire la risposta che arriva Cho di corsa a chiamarmi. "John ti cerca, mamma e figlio, corri" guardo Dave "vai tranquilla, faccio io e ci vediamo dopo". Corro verso il reparto, mi cambio velocemente e mi precipito nella stanza di Justine e Jack, dopo essermi protetta. "Sono qui!" esclamo entrando e vedo che la situazione è decisamente peggiorata. "Siamo alla fine, mi dispiace farti assistere a questo, ma, primo, voglio che tu possa imparare e, secondo, mi serve che tu metta sotto la lingua del bimbo quella pastella di Foglia di Re" eseguo correttamente l'ordine, e, quando il bimbo rallenta il ritmo respiratorio drasticamente, faccio una cosa che forse non avrei dovuto, lo prendo in braccio e lo cullo dolcemente fino a che non smette di respirare.

Una volta chiusi gli occhi dei nostri due malcapitati, fatto arrivare gli addetti dell'obitorio magico e del ministero per le pratiche di contagio, mi chiudo in laboratorio e sfogo la tensione mescolando ingredienti a caso nel calderone mentre calde lacrime scendono sul mio viso bollente. "Devi farti forza Elisabeth. Non puoi affezionarti così tanto, non qui in questo reparto" la voce di John mi costringe ad asciugarmi le lacrime e alzare lo sguardo verso di lui, "la tua empatia è un dono, ma ricorda cosa è successo poco più che un mese fa, l'amore ti stava bruciando. Sono sicuro che la tua temperatura corporea ora è alta rispetto al solito, perché l'amore che hai mostrato per quel bimbo è stato tanto. Ma devi proteggerti o non riuscirai a essere in grado di curare altri pazienti. Ora vai a casa, va bene così." La mia faccia deve essere delusa visto che, con maggiore dolcezza, continua "non ti sto cacciando e non hai deluso nessuno, solo hai chiesto troppe energie a te stessa. Devi cercare di dosare meglio il tuo sentire. Ora vai a casa, fai una doccia calda, mi raccomando, una doccia che lava via tutto. Poi ti fai portare in un posto sicuro e riparti. Domani siamo di riposo e poi abbiamo la notte insieme. Qui saremo io e te e basta, quindi ti voglio in forza", non è arrabbiato, ne deluso, lo percepisco, solo preoccupato per me. Recupero le mie cose e, anziché andare a casa, passo da papà, che stranamente non è in studio. "Chi sei?" sento alle mie spalle, "papà sono io Eli" sono perplessa, "mia figlia sta lavorando due piani sotto" punta la bacchetta senza esitare, ha lo sguardo serio e fatico a riconoscerlo, non fosse per le sue vibrazioni dubiterei "quindi chi sei?". Senza paura o indugio rispondo nella sua mente, "sono Eli papà, hai giocato con me alle ballerine da quando avevo tre anni e hai indossato sempre il tutù nero e io quello rosa. Mi hai detto, è il nostro tempo resta tra di noi" lui scoppia a ridere e mi abbraccia prima di guardarmi e chiedermi "cosa ci fai qui?  Scotti".

Mi siedo sulle sue gambe e racconto tutto quello che ho vissuto con i miei pazienti in questo giorni e soprattutto oggi, "papà, so che abbiamo fatto tutto il possibile, ma quel bimbo non aveva colpa, non doveva morire così. Io mi sento così inutile" Dico in un fiato, lui decide di condividere con me i suoi pensieri. "Vedi piccola mia, so come ti senti, perché in questi lunghi anni qui al San Mungo, non solo ho visto morire molte persone, innocenti e non, ma ne ho salvate molte, innocenti e non. Non sta a noi giudicare o capire il perché profondo qualcuno viva e qualcuno no. Devi cercare di mantenere la tua umanità senza però farti schiacciare dal peso del dolore, non farti colpe che non hai. Non siamo infallibili possiamo solo dare il nostro massimo sempre e, se non salveremo qualcuno, vuol dire che non potevamo salvarlo. Ora voglio raccontarti una storia, ero da poco diventato qualcuno come guaritore, avevo vinto già due premi e stavo per diventare padre per la seconda volta" mi sorride e mi accarezza il volto, penso voglia sentire se la temperatura sta tornando normale, "Alex aveva fatto la matta tutto il giorno, la mamma era stanca e io avevo il turno di notte. Lei mi aveva pregato di stare a casa, aveva delle strane sensazioni, ma io non potevo restare con lei, stavo accumulando successo su successo, stavo diventando il medico con il maggior numero di vite salvate. Non potevo stare a casa. Quella notte arrivarono due pazienti, io presi il giovane messo peggio all'apparenza e lasciai l'altro a Regend, poteva cavarsela era meno grave... mi impegnai al massimo e salvai quell'uomo, forse più per mio orgoglio che per vero senso del dovere. Il ragazzo morì." Lo guardo non capendo cosa voglia dirmi, "poco dopo la fine dell'intervento arrivò Moody per arrestare il colpevole di una strage. Erano morte quattro persone e due bambini piccoli, solo il fratello maggiore era sopravvissuto. Ma non superò la notte, perché Regend non lo salvò. Mentre il mangiamorte responsabile di tutto era stato salvato da me." Mi guarda, "io avevo solo fatto il mio dovere, eppure mi sentivo vuoto, se avessi scelto di stare a casa, se avessi scelto il ragazzo forse sarebbe stato meglio. Il colpevole sarebbe morto. Il nonno del ragazzo arrivato al San Mungo mi ha dato il colpo di grazia, piangeva e non si spiegava cosa di male avesse fatto sua figlia e la sua famiglia, la magia che anni prima era entrata nella sua vita l'aveva distrutta." Mi guarda e continua "ci ha accusato di aver scelto di non salvare suo nipote perché non era degno di essere un mago." "Ma non è così, non sapevi chi fossero quando sono arrivati al San Mungo." Rispondo di istinto "no, ma lui era disperato. È stato meglio così, non sapere. Perché imparerai a vedere pazienti non persone con una storia, dovrai fare il tuo meglio senza sapere se stai salvando il carnefice o la vittima. Sai chi era il mangiamorte che ho salvato?" "No papà" rispondo tranquillamente. "Rabastan Lestrange, colui che, qualche anno dopo, insieme al fratello, a Bellatrix Black e a Barty Crouch Jr, ha commesso una infinità di male, tra cui aver torturato i genitori a Neville solo per puro divertimento." "Non è colpa tua papà" lui sorride "ora lo so, non potevo neppure immaginare cosa sarebbe successo dopo allora, ma ancora oggi mi domando se non ho commesso un errore a salvarlo. Avrei cambiato il destino di molti, ma forse lo avrei peggiorato, non posso saperlo. All'epoca persi la testa, avevo salvato l'uomo sbagliato accecato dalla sola voglia di dimostrare quanto fossi bravo e meritassi il premio. Quel nonno e il suo dolore, miste alle accuse, mi avevamo ferito e fatto dubitare di me e dei miei ideali. Non tornai a casa quella notte, vagai come un pazzo, spaccando tutto quello che potevo... era la notte del 23 marzo Elisabeth." Lo guardo e sgrano gli occhi, "Andromeda portò tua mamma qui per farti nascere. Eravate gravi entrambe, ho rischiato di perdere la donna che amavo, che amo più della mia vita, e mia figlia senza essere presente, solo perché ero schiacciato dal peso di una scelta. Non commettere il mio errore, non lasciare che le vite dei tuoi pazienti ti coinvolgano al punto da rovinare la tua." Le lacrime scendono dal mio volto, "ho capito cosa vuoi dire papà." lui mi stringe forte poi serio parla "ora andiamo a casa, vieni con me al castello, ti fai una doccia e dormi lì da noi. Avviso io Alex e Cedric, non puoi vederli oggi in queste condizioni. Domani mattina poi con me e zia Penny farai un pochino di esercizi per ritrovare il tuo equilibrio. Quella mattina di tanti anni fa, la tua manina stretta al mio dito mi ha dato una ragione per andare avanti, ti ho amato da subito e ho promesso che ti avrei sempre aiutata e protetta quindi ora andiamo. Lascia che io mantenga la promessa fatta" mi prende per mano e mi trascina nel camino.

La vita è ... imprevedibileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora