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“Spiace ammetterlo, ma la presunzione di Peter era una delle sue doti più affascinanti. Per dirla tutta, non esisteva un bambino più presuntuoso di Peter.”

Harry strusciò I piedi contro il pavimento in legno e si lasciò cadere sul letto morbido, girando con noncuranza le dita contro il cuscino in lattice, respirando falsità, la stessa che il suo corpo rilasciava fra i vestiti creando disagio e odio.
Dannato odio.
Prende spazio nel nostro essere lacerando ogni animo puro, incutedo timore e creando insicurezze; insicurezze che il nostro Harry rivive tra gli attimi flebili del suo respiro, impedendosi di essere felice tagliandosi le ali e frantumado le piume tra le proprie dita.
Il riccio si posizionò a pancia in su e scrutò con timore il cielo scuro limpido dalla finestra, godendo dei raggi caldi che gli inebriavano il viso candido come la neve, bramano ciò che non aveva mai avuto.
Lasciò scivolare tra le dita il vetro, girandolo e rigirandolo segnando I polpastrelli roseei e osservando impregnato il suo riflesso, lasciando che ricordasse il volteggiare della gonna e lo sperma bagnarla.
Harry peccò nuovamente.
Si lasciò condizionare e ammaliare da quella stoffa, lasciando che si adagiasse sul suo corpo candido nuovamente. Harry rise felice volteggiando scorrettamente tra le mura della sua camera, volando sopra ogni nuvola, afferrandole, giocando con l'acqua più limpida osservando le I pesci saltare nell'acqua e le navi salpare per mille viaggi. Rise, rise e rise combattendo contro i pirati e saltando sulle stelle, osservando come Campanellino lo guardasse vivido, quasi inerme, lasciando che il sua ombra scomparisse allo scoccare della serratura della porta.
Harry scappò dall'isola che-non-c'è e bloccò in fretta e furia la porta in legno, impedendo a suo fratello Louis di entrare.
Il suo cuore batteva frenetico, lasciando che le gambe tremassero al sol pensiero di essere scoperto, cacciando quella stupida fatina dai suoi pensieri

"Harry? Fammi entrare" chiese inizialmente confuso, Louis, spingendo con più forza la maniglia in ferro. Harry lasciò ricadere sul suo volto delle lacrime calde, portando i ricci ribelli a coprirli il volto rossastro

"io-... No! Sono nudo!" esclamò lui. Louis corrucciò lo sguardo e socchiuse gli occhi cielo con sconsideratezza

"Haz ti ho visto nudo fino all'altro ieri, non credo che le cose lì sotto possano cambiare più di tanto, insomma mica ti chiami David Bruce Banner" scherzò il maggiore con noncuranza, ridacchiando da dietro la porta.

"comunque non fa niente. Ti velevo ricordare solo che tra pochi minuti dobbiamo andare dalla psicologa" lo avvertì con un docile sorriso. Harry riprese a respirare e con molta difficoltà proclamò una risposta legittima

"si, grazie. Mi vesto" pronunciò con nervosismo il riccio, lasciando udire suoni frastagliosi all'interno della stanza. Louis ridacchiò e alzò le spalle arreso.
Harry si tolse, scosso, la gonna dai lembi sottili e la coricò nell'armadio, vestendosi comodamente, ignorando come i colori in torno a se si fossero scoloriti completamente.
Il ricciò sospirò per l'ennesima volta davanti alla porta dello studio, lasciando che Louis gli recasse uno sguardo compatito, colpevole delle sue sofferenze e questo Harry lo sapeva.

"ehi" lo chiamò Harry con un groppo in gola. Louis gli sorrise cautamente e si morse il labbro inferiore

"questo non è colpa tua e mai lo sarà" lo rassicurò con occhi limpidi, segnati da del leggero rossore. Louis stentò a credere a quell'atteggiamento buonista nei suoi confronti, sorridendo nel vedere una piccola fessura, un cenno di apertura nei suoi confronti, un frammento del vecchio Harry.
Il riccio sospirò è si lasciò condurre dentro l'ufficio della sua psicolaga, profumatamente pagata avendo come clienti tutta la famiglia Tomlison.

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