Il rapimento

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Uscii dalla stanza, abbastanza confusa. Non sapevo se essere arrabbiata con Adrian per aver provato a "mettermi i bastoni tra le ruote" oppure contenta che abbia fatto qualcosa per evitare che finissimo in doccia insieme, anche se sapevo che fino in fondo non ci sarei mai andata.
Scesi velocemente le scale e mi ritrovai faccia a faccia con Megan, che stava masticando una caramella gommosa lunga e rossa. Il suo alito odorava di fragola. -Dove corri?- Disse, sbiascicando. La guardai leggermente schifata. -Ho lasciato...il telefono in cucina.-
Lei alzò un sopracciglio. -Tu e Patrick state insieme?-
-Cosa? No!- Alzai la voce. Lei rimase male della mia risposta, facendosi più sospetta. -Così la santarellina va a letto con chiunque?-
Ingurgitai la saliva e insieme anche le brutte parole. -Non ci sono andata a letto.- Avrei voluto dirle che ero finita sotto le lenzuola del suo fidanzato, l'unico con cui ero stata negli ultimi tre anni in effetti. -Mh, che noia che sei. Patrick è un bel ragazzo, anzi uomo. Dovresti divertirti con lui.-
-Ma se mi hai appena offesa dicendomi che vado a letto con chiunque.-
Lei sbatté le ciglia, come se avessi appena detto qualcosa di ovvio. -E sarebbe un'offesa?-
Alzai un sopracciglio. -Megan, spostati.-
Lei sollevò entrambe le mani, mettendosi di lato. -Che palle.-

Andai velocemente verso la cucina, che era immersa nella penombra. Socchiusi le palpebre per riuscire a scrutare nell'oscurità e vidi un paio di spalle ampie e muscolose. Mi feci avanti e riconobbi i tatuaggi. Cosa diavolo ci faceva senza maglietta? -Adrian?-
Vidi le sue vene espandersi insieme al suo respiro profondo. -Adrian?- Gracchiai ancora.
Lui aveva aperto l'acqua del rubinetto. Allora i tubi avevano ricominciato a funzionare. -Vedo che l'acqua scorre bene.- Commentai. Lui non rispose. Sospirai. -Perché l'hai tolta prima?-
Lo vidi voltarsi lentamente, poggiò le mani all'indietro sul lavabo, tendendo i suoi addominali. Alzò il mento, vidi i suoi zigomi spigolosi e la sua mascella ben definita. Stava sicuramente stringendo i denti, come faceva ogni qualvolta si sentisse nervoso. -Non sono stato io.-
Sbuffai, incrociando le braccia sul petto. -Non mentirmi.-
Non rispose. -Adrian, per favore. Perché mi tratti così?-
Lui si schiarì la voce. Il suo petto si sollevò e poi ritornò al suo posto. -Non qui.- Si diede un veloce slancio in avanti e camminò in fretta verso di me, mi prese per i fianchi e mi fece scivolare dietro ad una porticina, nascosta chissà dove in quella cucina tecnologica. Mi mancò il respiro per un attimo, ma poi mi ritrovai dentro ad uno sgabuzzino insieme a lui.
Potevo respirare la sua aria, i miei occhi erano puntati proprio sulla sua pelle nuda. Deglutii con forza. -Era necessario sbattermi qui dentro?-
-Sbatterti?- Disse con voce roca.
Roteai gli occhi verso il cielo. -Hai capito.-
Eravamo così vicini che i nostri respiri potevano fondersi e le sue mani carezzarmi, se solo avesse voluto. Il mio cuore era letteralmente impazzito, batteva a più non posso. -Mi vuoi dire cosa ti passa per la mente?-
Lui buttò fuori l'aria. -Non lo so.-
Imprecai. -Oddio! Non un'altra volta, non altre tue fottute indecisioni!-
A lui scappò una risata. Lo spinsi leggermente. -Non devi ridere.-
-Sono in trappola, Mela.-
Distolsi lo sguardo. -Parli del matrimonio?-
-Non solo.-
Incrociai le braccia sul petto, nonostante quello volesse dire sfiorare con i miei gomiti i suoi pettorali gonfi. -Allora cosa?-
Il suo pomo di Adamo fece su e giù. Era davvero nervoso. Non ero abituata a vederlo così, già nel pomeriggio mi ero accorta quanto la sua faccia fosse stanca e scavata dalle poche ore di sonno. -Mio padre vuole cambiare rotta. Dobbiamo...devo trasferirmi con Megan.-
In un batti baleno il mondo mi cadde addosso. Le sue parole fluttuarono nell'aria sospesa tra di noi, ma le mie orecchie si rifiutavano di carpirle ed il mio cervello di elaborarle. I muscoli mi erano diventati mattoni duri e la lingua un pezzo di carne flaccido e secco. -C-cosa significa?- Balbettai.
Lui sospirò. -Questa famiglia ha bisogno di espandersi. Non possiamo restare a New York e avere influenza in poche città e basta. Vogliamo di più.-
Provai ad indietreggiare, ma le ginocchia erano come budini. -Con questa storia del cartello della fottuta droga avete in mente di continuare ancora a giocare ai criminali?-
-Non è un gioco. È la nostra vita.-
Sbuffai. -Lo vuoi tu o lo vuole tuo padre?-
-Lo vogliamo tutti.-
Mi grattai la nuca. Il mio umore era virato in fretta dalla tristezza alla rabbia. Gli avrei spaccato volentieri qualcosa in testa. Non stava ragionando, da quando voleva aspirare ad essere il gangster più temuto del mondo?
-Mi stai raccontando soltanto bugie. E perché proprio con Megan devi andarci allora? E poi perché parli di trappola, se lo vuoi anche tu?-
Quella piccola lampadina in basso stava proiettando una luce strana sui suoi occhi scuri. -Perché lei sa cosa vuol dire vivere come noi.-
Mi scappò una risata sarcastica. -Però ti è piaciuto infilarti tra le mie gambe ieri sera! A quale gioco stai giocando? Volevi vedere se fossi ancora innamorata di te? Se fossi in grado di venire a letto con te? Come un trofeo, no?-
Lui si spinse contro di me. -Cosa cazzo dici? Non è così.- Con pollice ed indice prese il mio mento, sollevandolo verso di lui. -Toglitelo dalla testa.- Mi intimò.
Mi scossi, facendo sfuggire la sua presa. -Impossibile.-
-Non ho cercato di portarti a letto per orgoglio personale, Melahel. Te lo devi proprio togliere dalla testa.-
Lo spinsi ancora indietro. -Ma è così!- Urlai.
Lui strizzò gli occhi. -Abbassa la voce.-
-Sennò ci sente tua moglie?- Risposi di tutto punto.
Ero così arrabbiata, anzi infuriata, che la minima possibilità che Megan o qualsiasi altra persona potesse sentirci non me ne importava niente. Lui non mi meritava. Dopo avermi lasciata da sola per tre anni, avermi riportata a letto dopo avergli confessato quello che provavo ancora, aveva avuto il coraggio di lasciarmi ancora. Ed io che ci ero pure cascata. Io che credevo di avere almeno una speranza. Ma cosa credevo? Di poter avere una vita serena con un criminale e la sua famiglia di loschi? Forse allontanarmi era la cosa giusta.
-Melahel, datti una calmata. Non sei fatta per questo mondo e mai lo sarai, lo faccio per te.-
Spalancai gli occhi, furiosa. -E chi ci è mai voluto entrare?! Siete sempre stati voi a trascinarmici dentro! Prima con mia madre, adesso con le minacce di un fottuto clan sanguinario della droga. Non l'ho mai chiesto!-
Le lacrime salirono fino all'apice. Sapevo che era un pianto nervoso. Ogni volta che dovevo litigare a voce alta con qualcuno, quelle stramaledette lacrime spuntavano a ricordarmi quanto fossi stupida e debole. E allora la voce mi si spezzava e la rabbia cresceva ancora di più. Se solo non fossi stata così emotiva dentro e fredda fuori...
-Lo so. Lo so.- Cercò di tranquillizzarmi, provando a prendermi le spalle. Ma io lo cacciai via. -Perché allora mi hai illusa ieri? Cosa volevi da me?-
Lui imprecò. -Sai bene che non provo niente per nessuno.-
Un'altra coltellata dritta al cuore. Aveva ribadito di non sentire niente per me. Eppure io ardevo al suo solo sguardo, le farfalle nello stomaco facevano a pugni per farsi sentire ogni qual volta incrociassi i suoi occhi penetranti. -Lo so bene. Fin troppo bene.-
-Devi promettermi una cosa allora.- Disse, prendendomi contro piede. Tirai su con il naso, ricacciando indietro quei fiumi salati. -Appena tutto questo sarà finito, non proverai a cercarmi e non avrai più a che fare né con Jack né con Patrick.-
Quello sì che aveva fatto male. -Non ti cercherei nemmeno se fossi l'ultimo uomo rimasto sulla terra.- Tutto l'odio per quelle parole trasudò dalla mia bocca.
Lui distolse un attimo lo sguardo. -Anche Jack e Patrick devono sparire dalla tua vita.-
Lo guardai schifata. -Io non voglio più avere a che fare con nessuno di voi.- Indietreggiai fino a toccare una mensola con la schiena. -E tu devi crescere, caro Adrian. Tutti abbiamo delle corazze, tutti abbiamo sofferto. Chi meno, chi di più. Ma questo non ti permette di prendere in giro una ragazza sincera come me, una persona che ti voleva bene...un tempo.-
Mi accorsi che quelle parole lo avevano ferito, forse. La vena del suo collo aveva pulsato. -Non ti azzardare mai più a sfiorarmi o a rivolgermi la parola. Spero che con Megan ti troverai bene e che gli affari ti vadano a gonfie vele. Magari tra qualche anno avrai una figlia a cui insegnerai l'arte dell'inganno e la vita da criminale.-
Mi spostai in avanti, dandogli una spallata. Aprii la porticina e me la richiusi alle spalle, imprecando. Attraversai in fretta la cucina e mi diressi verso la porta principale. Avevo bisogno di aria, quell'attico mi stava opprimendo insieme ai miei pensieri. Raggiunsi l'ascensore e mi ci fiondai dentro. Poggiai la schiena contro lo specchio e il mio corpo cedette alla gravità. Mi portai le mani al viso e lasciai cadere quelle lacrime che tanto avevo trattenuto poco prima. Non era possibile, la mia vita era un continuo disastro. Non riuscivo a capire come fossi ancora innamorata del mio carnefice. La psiche umana giocava davvero brutti scherzi. Le porte dell'ascensore si aprirono e misi un piede nella hall. Era tutto buio, se non per la reception ben illuminata. Dietro al bancone, però, non c'era nessuno. Mi asciugai le guance bagnate e mi dissi che due passi all'aperto non mi avrebbero fatto male. Attraversai l'enorme salone e raggiunsi le porte scorrevoli. Arrivai sul marciapiede e gettai la testa verso il cielo. Finalmente potevo respirare aria nuova, certamente aria inquinata visto il tratto di strada abbastanza trafficato. Quel grattacielo era veramente molto alto, mi venivano i brividi a guardarlo. Qualcosa mi toccò la spalla. Mi voltai, sovrappensiero. -Sì?-
-Melahel?-
-Sì, lei chi è?- Un ragazzo giovane, forse più piccolo di me, mi sorrise. -Un tuo nuovo amico.-
Ben presto i miei piedi smisero di toccare terra e le mie braccia furono strette da un paio molto muscolose. Tentai di ribellarmi, scalciando e urlando, ma nessuno stava facendo caso ad un rapimento in piena regola. Gridai più forte, ma sentivo il mio corpo spostarsi insieme a loro. Vidi un furgoncino scuro e tutti i miei più grandi incubi presero vita in un istante. Fui lanciata sui sedili posteriori come un sacco di patate. Il mio cuore era come stretto in una morsa, stessa cosa per lo stomaco. Avrei vomitato se la bocca non mi fosse stata tappata da dello scotch incredibilmente appiccicoso e resistente. Piansi più forte che potevo, sentivo i capillari al loro limite di sopportazione, mi sarebbero scoppiati se avessi continuato. Ma il mio cervello era andato in pappa, pensavo soltanto a come salvarmi la vita e a cercare di fuggire. Tirai un calcio all'uomo che stava per chiudere la portiera scorrevole. Questo cadde in terra di schiena, ma si rialzò subito, completando l'opera. -Tosta la ragazza.- Commentò il ragazzino accanto a me. Allora gli tirai una spallata energica e lui picchiò la testa contro la lamiera del furgone. Mi lanciai in avanti con le ultime forze e guardai fuori dal finestrino oscurato. Adrian aveva tirato fuori una pistola e James, Eléna e Patrick erano appena arrivati all'ingresso, tutti con il fiatone. Cercai di urlare più forte che potevo, ma quel maledetto furgone sembrava insonorizzato e lo scotch mi stava strizzando le labbra. Adrian gridò il mio nome, freia si buttò sulle ginocchia e scoppiò a piangere. -Cazzo!- James si era buttato contro lo sportello, tirando calci e pugni. Adrian aveva fatto il giro del furgoncino, cercando di colpire il guidatore. Ma tutto era blindato e chiuso, nessuna via di scampo. Un lago di sangue si sparse sul marciapiede, mentre il mezzo si mise in moto. Era stato dato l'ordine di lasciare quell'uomo morto lì e fuggire. Sentii dei colpi di pistola bassi, probabilmente stavano puntando alle ruote. Trattenni il respiro e mi resi conto che non c'era più niente da fare. Ero appena stata rapita. Uno dei miei incubi più reconditi si era avverato. Sapevo che stare insieme ad una famiglia implicata continuamente in giri d'affari pericolosi, prima o poi mi avrebbe portato ancora guai. Cercai di non farmi prendere dal panico e osservai quello che avevo intorno. L'uomo accanto a me si stava ancora toccando la testa dolorante, poi c'erano corde, martelli e chiodi. Deglutii a fatica. Mi avrebbero impiccata? Strinsi gli occhi umidi e tentai di non pensarci. Dopo qualche metro, mi fu tolto lo scotch, strappandolo via insieme ai miei pelletti biondi intorno alla bocca. -Cosa volete da me?- Domandai subito, con la voce strozzata. Il ragazzo scosse la testa. -La futura moglie di Adrian Priest è un bel bottino, non credi?- Si era rivolto al guidatore, ignorando completamente la mia domanda. Le mani mi erano state legate alla rinfusa, ma erano così strette che a stento riusciva a circolare il sangue. -Moglie? Idioti, avete sbagliato persona!-
-Sì, come no.- Si accese una sigaretta, distendendo le gambe davanti a sé. -Non sono io quella che andrà all'altare.-
Una nuvola di fumo mi prese in pieno, cominciai a tossire. -Le intercettazioni ci hanno fatto capire altro...- Iniziò a tossire, spostando lo sguardo altrove. Intercettazioni? L'appartamento di Adrian era controllato da loro? -Chi siete?-
Il ragazzo aspirò dal mozzicone. -Ti è familiare il cognome Toy?-
Mi si gelò il sangue nelle vene. Tre anni prima mi avevano fatto passare un periodo orrendo, tra paura, fughe e ferite in tutto il corpo. Ma sapevo che adesso collaboravano con il famigerato cartello della droga, nemico giurato della famiglia Priest. Ero nella merda. Questo era sicuro. E se Adrian non si fosse subito messo in moto per salvarmi, probabilmente non avrei più rivisto la luce del sole.

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