Arrivo ad Honolulu

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-Ti ho detto di lasciar perdere. Fine. Mi devi contattare quando...- Per sbaglio picchiai la mano sulla porta semi-aperta e questa cominciò a cigolare, aprendosi lentamente. Adrian raddrizzò in fretta la schiena e si voltò. I suoi occhi si riabbuiarono e con un calcio chiuse la porta definitivamente, lasciandomi fuori dalla stanza. Imprecai dentro me stessa, mi ero fatta beccare mentre stavo origliando una sua telefonata. Ma quel viaggio improvviso per le Hawaii stava iniziando a preoccuparmi, lì per lì la sera prima ero talmente eccitata dall'idea da non pensare ad altro. Ma poi le continue telefonate di Adrian mi stavano iniziando ad insospettire, come se non fosse realmente libero di andarsene e prima dovesse "pareggiare" dei conti. Quella chiamata, alle otto in punto, lo aveva fatto innervosire più di tutte le altre durante la notte. Non ero riuscita a chiudere letteralmente occhio, quel maledetto aggeggio non faceva che suonare e squillare ad ogni minuto e la cosa strana era che Adrian non aveva fatto niente per risolvere quella situazione, anzi spesso rispondeva o si chiudeva in bagno per parlare, stando attento a tenere il volume della voce basso, così che io non lo potessi sentire.
La porta si spalancò improvvisamente ed io saltai in aria. Apparve in tutto il suo splendore con un paio di occhiaie che su di lui non sembravano altro che sexy. -Sai che odio che ascolti di nascosto le mie conversazioni.- Tuonò, portandosi indietro i capelli corvini. Sospirai. -È che...ho l'impressione tu mi stia nascondendo qualcosa.-
Lui si impettì immediatamente, scuotendo la testa. -Ma come ti viene in mente? Sono solo chiamate di lavoro. Tutto qui.-
Mi mordicchiai le labbra. -Tutto bene con New York, vero?-
Per un attimo mi sembrò di vederlo indugiare, ma poi si riprese. Mi sorpassò in fretta. -Sì. Tutto bene. Hai fatto colazione?-
Quel cambio repentino di discorso non fece che acuire i miei sospetti. Mi stava decisamente nascondendo qualcosa. Ma cosa? È perché non me lo diceva? Forse non si fidava di me? Oppure stava facendo qualcosa che sapeva mi avrebbe fatta imbestialire. Lo seguii, zampettandogli dietro. -Ma sei sicuro? Non mi sembri molto tranquillo.-
Lui soffiò fuori l'aria, iniziando a scendere gli scalini che ci avrebbero portato in cucina. -Melahel, ti ho detto che sto bene e che non c'è niente di strano. E no, non ti sto tenendo segreto proprio niente.- Saltò l'ultimo scalino e girò a sinistra, portandosi verso il frigorifero.
-Hai fatto colazione?- Ripeté.
Io mi schiarii la voce. -No, aspettavo te.-
Lui annuì. -Ordiniamo qualche donuts e due frappè al caramello?-
Mi stava comprando con i dolci. Ed io mi facevo comprare in maniera così maledettamente facile. -Mh, sì. Per me uno glassato al cioccolato e uno al burro di arachidi.-
Lui sghignazzò. -Sempre gli stessi da un mese, quindi.-
Sbuffai, prendendo posto su uno degli sgabelli di fronte all'isola della cucina. -Sono gli unici che mi piacciono da morire.-
Lui fece l'ordine dal cellulare e poi raccolse una bottiglia di succo di arancia, bevendone quasi mezza. Lo guardai ingurgitare tutto quel liquido, mentre il suo pomo di Adamo faceva su e giù. Era una goduria posare gli occhi su di lui, sempre perfetto e dall'aria cagnesca. Poggiai il mento su entrambi i palmi delle mani e sospirai, ammirandolo. Lui si asciugò la bocca con il dorso della mano e riposò la confezione dentro al frigorifero. -Faccio due orette di palestra prima di partire per l'aeroporto.-
-Quando abbiamo il Jet?-
-Alle tre.-
Annuii. -Quanto ci metteremo più o meno?-
Lui si mise a sedere davanti a me. Mi guardò le labbra. -Almeno dodici ore. Quelle sono le stesse labbra che hanno succhiato il mio cazzo ieri notte?-
Sgranai completamente gli occhi, il gomito scivolò dal tavolo e per poco non battei il mento sul duro marmo. Ero diventata paonazza. -Adrian!- Lo ammonii. Lui sorrise. -Che c'è? Ogni tanto mi piace metterti in imbarazzo, anche se, pensandoci bene, quando siamo a letto sei tutto tranne che imbarazzata.-
-Adrian!- Gridai, più stizzita che mai.
Lui si alzò in piedi e raggirò l'isola, per poi piantarsi accanto a me, in piedi. Si abbassò e mi lasciò un casto bacio sulla guancia. -Sei così carina quando diventi tutta rossa.- Cercai di scacciarlo per finta e lui iniziò a farmi il solletico, mi attorcigliai su me stessa e iniziai a ridere, picchiando il ginocchio sotto al bancone. Poi il suo telefono squillò per l'ennesima ed estenuante volta. Lo raccolse in fretta dalla tasca e diede una veloce occhiata. Era James. Rispose immediatamente e non si allontanò per fortuna. -Allora? Come mai mi chiami così presto?-
Riuscivo a sentire l'intera conversazione. -Madame e le sue socie hanno detto che vogliono interrompere qualsiasi rapporto con i Priest. Non si fidano del nuovo giro di scommesse...- Adrian con uno scatto saltò in avanti e non mi diede modo di ascoltare il resto della conversazione. Poi se ne andò fuori dalla cucina, intimandomi di restare dentro. Incrociai le braccia sul petto e sospirai. Perché James chiamava ancora il fratello per quelle cose? Adrian si era tolto da quei giri, da quel mondo. Mi aveva giurato di non avere più niente a che fare con quella gentaccia, che avremmo riniziato tutto da capo. Quel maledetto sospetto che scavava dentro alla mia mente, stava sempre più affiorando. E quella brutta sensazione che mi stesse mentendo da mesi si faceva sempre più concreta e dolorosa, le budella mi facevano male da quanto ero convinta avesse messe in atto una messinscena con me. Era stato troppo facile...William non lo avrebbe mai lasciato andare così in fretta e senza chiedere niente in cambio. E il cartello di Madame? Figurarsi se si lasciavano sfuggire uno degli uomini più potenti al mondo, a conoscenza di ogni loro segreto.
Ingoiai la saliva con forza e mi alzai. Camminai quatta quatta verso la porta-finestra della cucina e mi misi, per l'ennesima volta quella mattina, ad origliare la sua conversazione.
-Sì, alle Hawaii. C'è Elèna, lo sai...no, non le ho detto...sì, va bene.-
Non capivo niente se non qualche stralcio di parola. -Massimo una settimana e torniamo.-
Poi silenzio. -Non posso venire là, lo sai. Lo faccio per lei, lo sai.-
Ancora silenzio. Percepivo comunque il suo nervosismo da come si muoveva in su e in giù. -Se lo sa...ecco, già te lo puoi immaginare. Papà?-
Ero sicura che mi stesse nascondendo qualcosa. Adesso lo ero al cento per cento. Ma riflettei sul fatto se lo volessi sapere o meno. Alla fine avevamo passato tre mesi tranquilli, felici e sempre insieme. Volevo interrompere quella favola? E poi per cosa? Probabilmente era solo una cavolata. Tornai a sedere e sentii suonare il campanello. Era arrivata la colazione.

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