Mario aveva preso a rigirarsi sul letto in maniera quasi fastidiosa. Le lenzuola erano ormai finite sul pavimento freddo, perciò il suo corpo era scosso da brividi che andavano però scemando. La mattinata si era fatta più calda, i raggi di sole entravano dalla finestra e andavano a posarsi sul letto dove il ragazzo giaceva. Si portò una mano tra i capelli, scompigliando i ciuffi chiari, prima di sospirare. Ancora con gli occhi chiusi si voltò verso la finestra, ascoltando i rumori che arrivavano dalla strada.
Il cigolare dei carri di passaggio, l'abbaiare di un cane, voci di donne e bambini. Mario aprì gli occhi con fatica, la stanchezza ancora gli impediva di mettere bene a fuoco la stanza. Non aveva mangiato, erano passati forse tre giorni dall'ultima volta in cui lo aveva fatto. Dapprima la fame lo aveva disturbato parecchio, provocandogli intensi dolori allo stomaco. Ma già quella mattina il suo corpo pareva essersi abituato, tranne la debolezza perenne. Gli pesava infatti fare anche solo il minimo movimento, tanto che quando finalmente decise di alzarsi la testa prese a girare pericolosamente. Si portò quindi una mano sulla fronte, aspettò per qualche secondo che la sensazione passasse.
Dalla cucina arrivavano i passi svelti di Antonia, Mario avrebbe potuto riconoscerli ovunque. Pareva quasi che la donna stesse aspettando il suo ritorno alla vita di tutti i giorni, perciò decise di accontentarla. Aprì piano la porta, e ancora con i cassetti addosso si recò in cucina.Antonia parve inizialmente troppo occupata per notare la sua presenza. Mario seguì con lo sguardo i suoi movimenti sicuri, sul capo portava un telo di cotone stretto sulla nuca. Le maniche della camicia erano state arrotolate fin sopra ai gomiti, mentre sul tavolo giacevano dei pomodori appena raccolti. Immaginò che si fosse recata al mercato di prima mattina, e si beccò a sorridere leggermente.
Quando finalmente la donna si accorse della sua presenza, i suoi occhi si fecero quasi lucidi per la sorpresa. "Mario!" disse, portandosi un mano sul petto coperto dal grembiule bianco, "non ti avevo sentito arrivare" mormorò. Il ragazzo la vide avvicinarsi, Antonia posò entrambe le mani sulle sue guance, tastando la barba incolta del figlio. Mario guardo dentro ai suoi occhi scuri, che parevano nascondere fin troppo, e per qualche secondo ebbe voglia di gettarsi tra le sue braccia. Come aveva sempre fatto da bambino, le braccia della madre erano sempre state il suo porto sicuro. Ma Antonia si spostò con la stessa velocità con la quale lo aveva raggiunto, e Mario potè sentire il profumo dei pomodori adesso sul suo viso.
"Vuoi mangiare qualcosa?" domandò cauta, tornando poi alle sue faccende. Mario la osservò sistemare la verdura sul tagliere, per poi afferrare un coltello di grandi dimensioni e iniziare ad affettarla a cubetti. Immaginò che stesse preparando la salsa da imbottigliare, perché poi i pomodori venivano lasciati cadere dentro ad un contenitore di latta. Sospirò e si rimboccò le maniche della maglia bianca, deciso ad aiutare la donna almeno per una volta. "No, non ho fame" rispose, recuperando un pomodoro rosso e maturo. La donna non si scompose, ma Mario potè leggere sul suo volto tutta la sua preoccupazione.
"È per quello che ha fatto Giovanni?" domandò, e Mario volle scomparire per qualche secondo. Certamente Antonia aveva immaginato che non si trattasse del fratello. Mario si era sentito certamente dispiaciuto e preoccupato anche per Lorenzo, nonostante tutto, ma ciò non aveva sovrastato il pensiero di Giovanni. Scosse leggermente la testa, "non credo sia necessario parlarne" disse, e la conversazione morì sul nascere.
Antonia dovette capire, perché passò qualche minuto di silenzio prima che parlasse nuovamente.
Adesso Mario aveva già affettato due pomodori, e la donna lo osservava di tanto in tanto seguendo i suoi movimenti. "Mi aiuti?" domandò improvvisamente, "è cosa da donne, Mario" disse.
Mario sollevò le spalle, non troppo sorpreso davanti a quelle parole. "Non importa" mormorò, lo avrebbe certamente aiutato a tenere a bada i pensieri. Antonia sospirò, prima di asciugarsi le mani velocemente sul grembiule bianco, lasciando sul tessuto una scia rossastra. Mario la osservò andare a recuperare delle vecchie bottiglie di vetro dalla dispensa fredda, sul retro della cucina. Le due stanze erano separate soltanto da una tenda dal tessuto piuttosto colorato, che certamente non si sposava per niente bene con il resto dell'abitazione, spoglia e fredda.
Soltanto un crocifisso di legno campeggiava sopra al camino, Antonia aveva sempre tenuto particolarmente a quell'oggetto sacro."Non vai a lavoro oggi?" domandò nuovamente Antonia, e Mario sospirò. Certamente non era in vena di chiacchiere, e si accorse soltanto allora di quanto fosse strano quel momento. Solitamente era lui a parlare, Antonia era abbastanza taciturna, ascoltava senza dare troppe risposte. A volte Mario temeva che questa volesse ignorare gli altri di proposito, se solo non l'avesse conosciuta bene, avrebbe potuto affermare che fosse la verità. "No" disse scuotendo la testa, "oggi ho la giornata libera" confessò.
Antonia annuì leggermente, prima di suggerire "perché non esci a fare una passeggiata" tentò, "ti farà bene". Mario sospirò nuovamente, portandosi il dorso della mano sugli occhi, dove una goccia di succo del pomodoro era andata a finire. Bruciò per qualche secondo, prima di lacrimare silenziosamente. "Forse più tardi" disse, e anche quella conversazione morì.
Lavorarono entrambi in silenzio, adesso Antonia aveva il compito di pestare per bene i pomodori e riempire le bottiglie di vetro. Mario doveva affettare e raccogliere tutto dentro il vecchio contenitore. Stringeva poi per bene i tappi delle bottiglie, così da non rischiare di perdere tutte le provviste. Una volta pronte le riportava dentro la piccola stanza, disponendole ordinatamente sopra alle mensole scavate direttamente sulla pietra. Era un lavoro non troppo faticoso, ma bastava comunque per tenere la sua mente alla larga dai pensieri. Antonia lavorava senza sosta, e appena ebbero imbottigliato tutto annunciò che si sarebbe recata alla fontana per lavare i panni. A Mario assegnò il compito di rassettare la cucina, così da ritrovarla abbastanza pulita per l'ora del pranzo.
Appena la donna lasciò la casa, Mario sospirò portandosi entrambe le mani tra i capelli chiari.
Serrò gli occhi e immediatamente prese a singhiozzare silenziosamente, le lacrime caddero sulla superficie ruvida del tavolo, mischiandosi con il pomodoro rimasto su di essa.Adesso grondava di succo di pomodoro e lacrime salate. Dovette posare entrambe le mani sul tavolo ancora sporco, per reggersi mentre si lasciava cadere sul pavimento freddo. Odiava sé stesso per essersi lasciato trascinare così a fondo, odiava Giovanni per averlo tradito in quel modo così becero. Ma più di loro stessi, detestava la guerra per aver messo entrambi in quella posizione. Così come non riusciva a sopportare il peso delle parole non dette, degli sguardi di Antonia che parevano voler celare fin troppi segreti. Delle parole rabbiose di Raimondo, sempre pronto a farlo soffrire. Del continuo evitarsi tra lui e Lorenzo, come due corpi completamente differenti sepolti sotto lo stesso terreno. Gettò il panno che stringeva tra le mani sul pavimento con forza, abbandonandolo sul pavimento. Si maledì per essersi nuovamente asciugato le lacrime con le mani sporche, prima di tirare su con il naso e tornare in piedi.
Non sarebbe stato certamente un bello spettacolo se Raimondo fosse rientrato in casa proprio in quel momento. Avrebbe donato al padre un altro motivo valido per vergognarsi di quel figlio minore, così debole. Lorenzo doveva essere già partito per Sinnai, o almeno così gli pareva di aver compreso, perché non lo aveva visto per niente negli ultimi giorni.
Si era allontanato anch'esso senza salutare, senza dargli un ultima possibilità di ricucire quel rapporto.Preso dalla immensa sconfitta, lasciò la cucina sporca, gettò via con forza la maglia che indossava una volta entrato nella sua stanza. Indossò con fatica i pantaloni scuri, la camicia bianca e i pesanti scarponi da lavoro. I piedi gli dolevano già, stretti dentro il cuoio duro e pesante, i tagli bruciavano continuamente. Sudò fin troppo mentre con un gesto veloce e stizzito infilava i bottoni dentro alle asole della camicia. Con un gesto fulmineo aprì nuovamente la porta della sua stanza, spalancandola fino a farla sbattere alla parete. Con gli occhi ancora carichi di lacrime abbandonò la sua stessa abitazione, in sella alla bicicletta ormai vecchia e arrugginita.
Non sapeva dove fosse diretto, soltanto che aveva bisogno di pedalare più veloce possibile. Forse fu la sua coscienza a tenerlo lontano dal caos del porto, oppure soltanto la paura. Non sapeva per che ora avrebbero lasciato la città, ma si disse brevemente che non fosse affare suo.
Per la prima volta nella sua vita si era sentito ferito nell'orgoglio, una parte di sé che aveva da sempre cercato di reprimere. Aveva cercato di nasconderla in tutti i modi, coprendola con cumuli di bontà e indifferenza.
A volte aveva persino pensato di non averlo, che in fondo non fosse in grado di provare quel tipo di rabbia. Perché era certo che Giovanni non lo avrebbe mai potuto ferire in quel modo, perché lo conosceva da anni, sapeva a memoria ogni punto debole, ogni scanalatura che era nell'animo del minore. Eppure questa sua conoscenza l'aveva utilizzata nel modo più becero che potesse, scagliandola contro l'interessato con forza, fino a fargli del male.Brevemente si disse che non lo avrebbe mai perdonato, avrebbe affrontato la vita da solo. In fondo non gli sarebbe pesata la sua assenza, si disse.
Mentire a sé stesso sarebbe comunque stato più facile di provare a ricostruire ciò che era stato oramai spezzato.
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Ignaro che ti sto facendo a pezzi | Vol. I #wattys2022
Historical FictionNel 1915 anche la Sardegna viene sconvolta dall'avvento del primo conflitto mondiale. Sembrava tutto così lontano, e invece anche le vite tranquille di due giovani ragazzi, Mario e Giovanni, cambieranno da un momento all'altro. Il legame che unisce...