Seguì attentamente con lo sguardo la traiettoria dell'involucro di stracci, scagliato con forza verso il cielo limpido.
Piazza Carlo Alberto quella mattina era completamente invasa da bambini e donne. La melodia delle campane, che segnava la fine delle celebrazioni religiose, accompagnarono i fedeli verso l'uscita. Nel Palazzo di città le porte e le finestre erano completamente serrate per il fine settimana, ma le sue gradinate si erano riempite di ragazzini e ragazzine appena adolescenti. Mario gli osservò confabulare tra di loro per qualche secondo, notando gli abiti colorati delle ragazze, probabilmente quelli buoni per la domenica. Tornò a concentrarsi sulla plazuela* soltanto quando udì il maggiore chiamare il suo nome.
Giovanni se ne stava al centro con le mani nei fianchi sottili, aveva lasciato andare il groviglio di stracci sul pavimento e lo teneva fermo con un piede. Mario dovette sorridere leggermente, nel vederlo spazientito, lo riconobbe nell'espressione corrucciata. "Che cosa?" domandò, e lo osservò scuotere leggermente il capo prima di lasciar andare le braccia tese. "Certo che sei proprio un pelandrone" disse il maggiore, "con il tempo che c'è oggi, poi!" puntualizzò, sollevando il viso verso il cielo limpido. Mario dovette concordare sul fatto che la giornata pareva star andando per il verso giusto, almeno per quanto riguardava il meteo. Il sole illuminava la pizza, e l'ambiente circostante ad essa. I panni stesi erano spinti dal leggero vento fresco, il loro profumo si propagava nell'aria, battendo quello che arrivava dal porto. Il vociare delle persone attorno non era fastidioso, anzi pareva aggiungere colore a quella mattinata altrimenti sprecata. Mario annuì, "lo sai che non sono bravo io con il pallone" disse, spostando la testa tutta di lato.
Giovanni ridacchiò leggermente, "non ti ho chiesto di giocare seriamente" disse, piegandosi poi per raccogliere il groviglio di stracci. Mario lo vide avanzare nella sua direzione, i capelli scompigliati e la maglia bianca zuppa di sudore. "Ti prenderai una bel colpo d'aria, se non ti metti qualcosa sopra quella maglia" disse, osservandolo occupare il posto alla sua destra nella vecchia panchina di legno. Giovanni era arrivato con addosso soltanto una camicia bianca stropicciata, ed un pantalone scuro. Mario aveva certamente apprezzato lo sforzo dell'altro di indossare qualcosa di nuovo, almeno per la domenica. Mario aveva avuto almeno la prontezza di portarsi dietro una giacca.
Il maggiore si voltò nella sua direzione, un sopracciglio scuro sollevato nel suo sorriso solito. Mario non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, ma quella precisa espressione lo rendeva ancora più affascinante di quanto già lo fosse. Per quanto potesse essere a volte uno scalmanato, Giovanni non si poteva dire certamente un brutto ragazzo. Mario osservò velocemente la leggera barba scura dell'altro, che contornava le labbra fini. I capelli scuri ricadevano sulla sua fronte sudata a ciuffi, mentre il resto era stato spinto all'improvviso spinto all'indietro, con un gesto della mano. Il leggero rossore sulle sue guance lo faceva sembrare più piccolo di quanto in realtà fosse, così come il leggero ghigno che adornava il suo volto. A trovarsi una ragazza, lui, non aveva mai avuto problemi."Mi guardi?" lo sentì domandare o meglio, lo vide domandare. Perché aveva perso leggermente il contatto con il mondo esterno, le guance di Mario si colorarono immediatamente di rosso. "Ti guardo" dovette ammettere, perché non avrebbe potuto certamente nasconderlo ormai. Lo vide distogliere lo sguardo per primo, posarlo nuovamente sul terreno sotto ai loro piedi. Ho vinto io stavolta, pensò Mario vittorioso e fiero.
"Dai smettila" mormorò il maggiore, e prima che Mario potesse rispondere gli sferrò una pacca sulla schiena. Il minore sollevò lo sguardo verso il cielo, fingendosi stizzito. "D'accordo" rispose, ma Giovanni parve non aver ancora terminato. Il rivolo di stracci giaceva giaceva ancora ai loro piedi, Mario lo calciò distrattamente, costringendolo a rotolare leggermente in avanti. "Che fine ha fatto Serafino?" domandò improvvisamente il maggiore. Mario sollevò un sopracciglio.
Serafino era un ragazzetto abitante del quartiere castello, che spesso si ritrovava a giocare insieme a loro, quando i genitori non lo mandavano a lavorare. Aveva la sua età, quindi qualche anno in meno di Giovanni, i denti storti e le gambe altrettanto messe male. Le ginocchia perennemente sbucciate contribuivano a farlo sembrare ancora più magro, mentre i capelli erano sempre corti per evitare i pidocchi. Aveva una famiglia piuttosto numerosa, tre sorelle e altri due fratelli maggiori. I genitori lavoravano come braccianti al porto, la madre incontrava spesso Antonia alla fontana, quando si recava per fare il bucato.
Mario sollevò le spalle, pensò che effettivamente era passato tanto tempo dall'ultima volta in cui lo aveva visto. "Non ne ho idea" rispose, e Giovanni dovette scuotere la testa leggermente, "che tipo quello" disse. Mario ridacchiò, ripensando a tutte le volte in cue i due erano finiti a litigare per via del groviglio di stracci ai loro piedi. "Sei tu che non sai perdere" lo canzonò immediatamente Mario, suscitando l'indignazione nell'altro.
Giovanni si voltò immediatamente nella sua direzione, come punto da una vespa. I suoi occhi si fecero larghi come piatti, e Mario potè scorgere una scintilla all'interno di essi.
"Non è assolutamente vero!" esclamò, regalandogli una leggera spinta, che aumentò soltanto le risate del minore. "Sono perfettamente in grado di accettare una sconfitta!" continuò, puzzecchiandolo.
"Certo" dovette concedere Mario, prima di rincarare la dose. "Ricordi quella volta in cui Rossana ti rifiutò?" disse. Giovanni dovette pensarci qualche secondo, prima di ricordare l'accaduto.
Rossana era stata sua vicina di casa per qualche anno, una ragazza dalle buone maniere, di ottima famiglia. Mario ricordava i suoi capelli scuri e lunghi, sempre stretti dentro due trecce morbide. Gli occhi chiari tendenti al verde, luminosi e limpidi. Così come le guance dalla pelle candida, cosparse di leggere lentiggini che alla luce del sole si facevano più scure. Indossava sempre delle gonne abbinate alle camice, così come le scarpe sempre pulite. Mario si era ritrovato spesso ad invidiarla, non per altre ragioni, soltanto perché poteva permettersi un certo tipo di abbigliamento sempre nuovo.
Era certo che provasse interesse verso l'amico, almeno stando ai racconti dello stesso Giovanni. Forse si vergognava di essere veramente preso da qualcuna, cosa che non gli capitava spesso. Aveva provato ad avvicinarla in tutti i modi, persino andando in chiesa la domenica. Mario ricordava di averlo preso in giro per mesi, per quest'ultimo dettaglio. All'uscita la aspettava soltanto per scambiare poche parole, spesso lei rispondeva a monosillabi. Ma Giovanni era talmente innamorato da non rendersi conto del suo totale disinteresse.
Soltanto fino a quando non si presentò a casa sua, con un po' di coraggio, a domandarle di uscire. La ragazza aprì la porta soltanto per cacciarlo via, intimandogli di non presentarsi mai più. Fu quasi come se lo avesse preso per un fanfarone, un tipo poco serio.
Giovanni ci rimase male, si domandò per mesi se quella non fosse stata una mossa troppo azzardata. Soltanto quando la famiglia cambiò definitivamente quartiere si rese conto dello sbaglio. Era stato uno stupido, inoltre era certo che anche gli altri vicini avessero assistito alla scena. Dentro al quartiere poi, le voci correvano di bocca in bocca senza potersi fermare. Presto anche la famiglia del ragazzo lo scoprì, canzonandolo ancora di più e facendolo sentire umiliato. Mario ricordava di averlo sentito davvero esprimere rimorso nei confronti delle sue azioni per giorni, ancora una volta era tornato da lui. Avrebbe voluto dirgli che già lo sapeva, che Rossana non era altro che spocchiosa."Non tirare fuori quella storia, adesso!" lo sentì rispondere, interrompendo i suoi pensieri. Mario non lo avrebbe mai fatto, se avesse saputo che avrebbe potuto provare anche il minimo dolore all'altro. Ma era ormai acqua passata, poteva scherzarci su quanto voleva, per smontare un po' l'orgoglio del maggiore. "Oh la tiro fuori, eccome" rispose allora, "era soltanto una come tante, una stronza qualunque" ponderò l'altro a voce alta.
Mario avrebbe potuto concordare, "è stata proprio una stronza" disse, "ma ciò non toglie il fatto che ti abbia rifiutato" disse.
Giovanni sbuffò sonoramente, cadendo nuovamente sulla panchina e posando la schiena su di essa. Sollevò poi le braccia in alto, sconfitto dovette annuire, "va bene, si, hai ragione" disse. "Che altro ti dovrei dire?" continuò, "avresti dovuto aprirmi gli occhi, cazzo" disse poi.
Mario scattò immediatamente, nel vedere il sorriso furbo del maggiore, e quasi per scoppiare a ridere rispose "quindi adesso sarebbe colpa mia?". Lo vide annuire convinto, "sei impossibile!" commentò poi, spingendolo con una manata sulla spalla.
"Certamente non aveva niente a che fare con me" commentò, deciso a stabilire la sua posizione. Con quella storia, lui, non voleva averne niente a che fare.
Giovanni si voltò leggermente nella sua direzione, massaggiandosi il braccio colpito con una mano. "Tutto ha a che fare con te" rispose soltanto.*Plazuela: il nome di origine spagnola con il quale i cagliaritani indicavano piazza Carlo Alberto. Oggi non viene chiamata più così, ma al suo interno esiste un locale che porta questo nome.
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Ignaro che ti sto facendo a pezzi | Vol. I #wattys2022
Historische fictieNel 1915 anche la Sardegna viene sconvolta dall'avvento del primo conflitto mondiale. Sembrava tutto così lontano, e invece anche le vite tranquille di due giovani ragazzi, Mario e Giovanni, cambieranno da un momento all'altro. Il legame che unisce...