IX

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Antonia non aveva bisogno di vedere il suo riflesso allo specchio per sistemare il fazzoletto scuro attorno alla testa. Con movimenti che ripeteva ormai ogni giorno, nell'oscurità della camera da letto, recuperò due spille che andarono a fissare i capelli fini stretti dentro una treccia. Successivamente, con movimenti lenti e cadenzati, andò a posizionare la stoffa scura sopra il capo coprendo così lo chignon alto e fermo per poi annodare le due estremità sotto al mento. Durante le prime ore del mattino, si ritrovava spesso da sola dentro la casa silenziosa, Lorenzo e Raimondo dovevano avere già raggiunto le campagne fuori dalla città, mentre Mario certamente era uscito per comprare il pane fresco. Antonia a volte stentava a credere al fatto che potesse ora permettersi di comperare il pane ogni mattina, liberatasi finalmente del fardello di doverlo impastare ogni settimana per tutta la famiglia. Avrebbe voluto liberarsi anche di altri momenti del suo passato che ancora tormentavano il presente, ma si era detta che per quello avrebbe ancora avuto bisogno di tempo. Non sembrava essere ancora troppo pronta per lasciare andare ciò che la teneva bloccata da anni, o meglio ciò che teneva in stallo l'intera famiglia; Antonia era certa che qualcosa di molto grande sarebbe cambiato, se soltanto avesse avuto il coraggio di sciogliere quel nodo. Ma Antonia era una donna dotata di grande intelletto, per quanto la amareggiasse doverlo nascondere al resto del mondo, sapeva che ogni passo sbagliato avrebbe potuto trascinare nel baratro ciò che più amava. Lorenzo e Mario erano stati l'unico dono che la vita aveva voluto farne nel corso degli anni, a volte pensava che soltanto per amore dei ragazzi fosse riuscita a trovare il coraggio durante situazioni difficili. Ma a volte, si domandava, come mai stentasse a capire coloro che altro non erano che parte del suo stesso corpo e della sua anima. Faticava a ritrovarsi all'interno dei ragazzi, e questa era forse la sua unica pretesa, che nel corso degli anni si era ritrovata forse troppo azzardata. Sangue dello stesso sangue, ma completamente differenti.

Lorenzo era impulsivo, forte, a tratti fin troppo furbo e scaltro. Antonia non lo avrebbe mai potuto ammettere a sé stessa, ma fin dalla tenera età aveva faticato a trovare una connessione, a disciplinarlo come avrebbe dovuto. Le sfuggiva dalle mani con la stessa velocità con la quale lo avrebbe voluto stringere, leggeva nei suoi occhi il muro che l'essere troppo diversi aveva costruito attorno alle loro esistenze. Da bambino scappava, da adolescente pure, da adulto era certa che non lo avrebbe più potuto riprendere. Lo aveva osservato crescere lontano da lei, seppur dentro le stesse mura, all'interno di un mondo che non avrebbe mai potuto raggiungere. Mario invece era stato come un raggio di sole dentro la tempesta, mentre il maggiore le scappava via, lui si affannava per rincorrerla. Non c'era stato modo di tenerlo lontano da lei, non che avesse voluto farlo, in qualche modo aveva ricostruito ciò che il fratello non aveva assolutamente avuto la cura di iniziare. Ma Antonia aveva giurato che delle sue sofferenze ai figli non avrebbe mai addossato le colpe, soltanto a volte quando si ritrovava completamente sola, rimuginava fino allo sfinimento. Si domandava se avesse mai sbagliato qualcosa, e se in qualche modo questo qualcosa sarebbe mai stata in grado di aggiustarlo, di rimettere insieme i pezzi come faceva con sé stessa da anni. La famiglia era tutto ciò che aveva di più caro, forse il suo unico possedimento di valore, eppure si andava sgretolando comunque; anche quella non era riuscita a proteggerla. Scosse leggermente il capo quando ad interrompere i suoi pensieri arrivò il suono delle campane della cattedrale, ad indicare l'inizio del santo Rosario. Si fece velocemente un segno della croce, e stringendosi sulle spalle abbandonò la stanza per raggiungere la cucina spoglia. Si muoveva in maniera nervosa, stretta dentro gli abiti ampi e scuri che deformavano il suo corpo, segno di un lutto che non era mai stata in grado di scrollarsi di dosso; per quanto brutalmente questo le fosse stato inflitto. Don Piero le aveva sempre ripetuto una frase, che Dio osava dare le battaglie più feroci soltanto ai suoi soldati più coraggiosi. Che Dio lo abbia veramente nella sua santa gloria, pensò Antonia ricordando il sacerdote defunto, che immediatamente dopo il suo arrivo in città l'aveva accolta nella sua chiesa. Di tanto in tanto il ricordo era tutto ciò che la spingeva ad andare avanti, lo avrebbe fatto soltanto per potersi beare della vista dei figli germogliare in adulti. 

La discussione con il figlio minore, la sera prima, era stata terribilmente accesa. Il cuore di Antonia si stringeva ogni qual volta che questo accadeva, non riusciva a vedere gli occhi di Mario colmi di altro se non di tenerezza. Quando questi si caricavano di rabbia le parevano diventare più scuri, era sicura di averlo meritato però, d'altra parte aveva tolto al ragazzo la sua unica via di fuga. Era certa che Mario un giorno avrebbe capito, soltanto aveva bisogno di più tempo, era stato per lui un colpo enorme. Non era solita prendere decisioni così drastiche, ma qualcuno avrebbe dovuto pur farlo, soprattutto se si parlava del sostentamento e sopravvivenza della famiglia intera. Antonia aveva, forse per la primissima volta nella sua vita, preso in mano le redini della situazione e dopo aver comunicato brevemente al marito la sua decisione era passata all'attacco. Si era presentata a casa di Costantino, l'anziano datore di lavoro del figlio l'aveva accolta con un sorriso sincero, come soltanto lui sapeva fare. Le aveva concesso di accomodarsi sulla sua poltrona, quella posizionata sotto alla grande vetrata dalla quale poteva osservare il giardino sul retro, ed aveva ascoltato con sincera curiosità. La sua offerta era stata certamente strana, l'anziano non si aspettava certamente le sue parole, ma con gentilezza aveva acconsentito. Così Antonia si era ritrovava ad occupare il posto di lavoro che per anni era stato quello del figlio minore. Non con poco sconforto, sia chiaro, la donna aveva dovuto lottare con sé stessa e il suo cuore prima di osare fare un passo del genere. Era stato certamente doloroso, anche perché Mario pareva non volerle rivolgere la parola, tenendosi stretta quella rabbia che non avrebbe portato da nessuna parte. 

Nel frattempo, persa nei suoi pensieri, aveva preso a rassettare la piccola cucina. Durante le prima ore del mattino il sole timido donava i suoi primi raggi alla città, il quartiere Castello pareva quasi bagnato dalla sua luce. Le pareti spoglie della stanza si ricoprivano di scie luminose e tremolanti, Antonia si fermava di tanto in tanto ad osservarle, soprattutto quando si gustava la sua colazione. Questa consisteva in una tazza di latte poco riscaldato, perché il fuoco ancora non era stato acceso, perciò non sarebbe stato saggio da parte sua sprecare della legna soltanto per poche ore la mattina. Tenuto dentro a bottiglie di vetro nella dispensa però, il liquido assumeva una una certa temperatura, quella che bastava per berlo senza troppe preoccupazioni o cerimonie. Prima di raggiungere la casa di Costantino, avrebbe dovuto portare alla fontana alcuni panni da lavare, ma era certa che avrebbe fatto in tempo. Aveva calcolato perfettamente le ore della giornata che le si presentava davanti, tutto era stato pianificato in modo da non ritrovarsi persa dentro alla sua stessa testa. Antonia era certa che se soltanto avesse mollato la presa, se si fosse ritrovata ancora una volta assorbita dalla sua stessa sofferenza, sarebbe caduta in un baratro difficile da scalare. Sospirò rumorosamente, posando la tazza colma di latte sul tavolo della cucina, con mani tremanti si sistemò meglio la stella d'oro che portava al collo. Il gioiello tintinnò sulla sua pelle per qualche secondo, e Antonia sentì il freddo dello stesso provocarle dei leggeri brividi. Pareva ancora non essersi abituata alle temperature fredde delle prime ore del giorno, al silenzio del quartiere, solitamente riempito da bambini e donne vocianti. 

Improvvisamente il pesante portone si aprì nuovamente, e Antonia ascoltò il rumore fastidioso dei ferri arrugginiti propagarsi dentro alla stanza. Mario doveva essere rientrato dal negozietto in fondo alla via, infatti dopo pochi secondi il ragazzo fece capolino dentro alla stanza fredda ma illuminata dal sole. Antonia non ebbe il coraggio di schiudere le labbra, quando vide gli occhi del figlio evitare i suoi di proposito, aspettò quindi che questo posasse il pane morbido avvolto dentro ad un foglio di carta ruvida sopra al tavolo. Lo vide poi allontanarsi per indossare la giacca da lavoro, scomparendo dentro alla sua stanza per qualche secondo, per poi tornare indietro verso la porta lasciata aperta. Trovò il coraggio di chiamare il suo nome soltanto quando questa era già stata rinchiusa con forza, e fu costretta soltanto a sospirare, portandosi entrambe le mani giunte davanti al petto che sentiva completamente vuoto. Prima o poi Mario avrebbe compreso, si era detta, ma ciò non avrebbe certamente alleviato il dolore che provava nel sentirlo così distante. Se soltanto avesse potuto chiudere sé stessa dentro ad una gabbia di ferro lo avrebbe fatto, per non sentire più così tanto dolore invaderle il corpo, lacerarle organi ed ossa come se fosse stata già morta.


Ignaro che ti sto facendo a pezzi | Vol. I #wattys2022Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora