CAPITOLO 4-ALEX

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I giorni successivi, in casa editrice, furono caotici e, come se non bastasse, vidi per l'ennesima volta quella ragazza che, per due volte, consecutive, mi aveva urtato per la sua sbadatezza. E in entrambe le occasioni aveva pure affermato che era stata colpa mia.

Incredibile!

In effetti sapeva il fatto suo, da quello scambio di battute avevo intuito che non le mandava a dire e che si difendeva molto bene, infatti non aveva perso tempo a rimettermi al posto. Solo che ero troppo orgoglioso per dargliela vinta, perciò ad ogni sua parola ribattevo a mia volta.

In ogni caso non mi stava simpatica e come stavo per dire, me la vidi presentare anche al lavoro.

Cosa avevo fatto di male?

La signora Evans mi aveva avvisato di aver trovato qualcuno per l'incarico di editor, tutto avrei immaginato fuorché fosse proprio LEI. Quindi si può immaginare quando la vidi davanti a me, lo stupore... che colsi anche nei suoi occhi, ma durò un secondo perché poi riuscì a mascherare tutto con disinvoltura, e io decisi di fare lo stesso.

Durante la nostra conversazione, le avevo fatto parecchie domande sul perché avesse scelto di fare proprio questo lavoro e se dovevo essere sincero ero anche curioso di saperlo. Ma non lo diedi a vedere, anzi mi comportai come il solito stronzo che viveva in me, e che con lei mi riusciva, devo dire, abbastanza semplice. E di questo non sapevo darmi una spiegazione, soltanto rendeva tutto piuttosto divertente.

Dubitavo che per lei fosse lo stesso...

Inoltre tra i miei affollati pensieri c'era anche Tyler; non lo avevo più chiamato da quel giorno e iniziavo a pensare che avesse ragione.

E se mi stavo veramente lasciando andare alla deriva? E se non mi stavo godendo ogni attimo che la vita mi offriva come pensava lui? Avevo tante regole, era vero, non le trasgredivo mai; al contrario seguivo ogni giorno allo stesso modo come se ci fosse uno schema ben preciso.

Casa.

Lavoro.

Casa.

Lavoro.

Mi trovavo sul serio in quella bolla di cui parlava Tyler?

Troppe domande a cui non sapevo dare nemmeno una risposta.

Nemmeno una.

La conseguenza era che mi stava scoppiando la testa e non avevo più concentrazione per occuparmi di tutto il lavoro arretrato; negli ultimi giorni facevo molta fatica a starci dietro, ma non potevo fermarmi.

Il lavoro era tutto per me, era una sorta di casa. Solo nel mio ufficio o quando lavoravo per qualcosa o qualcuno mi sentivo a mio agio. Eppure, per la prima volta, non ne avevo voglia.

Cosa mi stava succedendo?

Non ne avevo la più pallida idea...

Pensai che fosse un probabile accumulo di stanchezza e che, per quel giorno, ne avevo avuto abbastanza. Ero l'unico ad essere ancora rimasto in casa editrice, più che comprensibile visto che erano le nove di sera, quindi chiusi il portatile, riordinai i documenti su cui mi sarei concentrato, con massimo impegno, la mattina seguente, e mi avviai verso l'uscita per tornare a casa.

Cenai, feci una doccia rilassante per eliminare quell'inspiegabile senso di inadeguatezza e tutta la stanchezza che sentivo nella mia pelle e il resto della serata trascorse in modo, più o meno, tranquillo, anche se, qualcosa mi tormentava. Odiavo il fatto di aver trattato in malo modo Tyler; lui per me c'era sempre stato e non meritava la mia solita arroganza. Era l'unica persona su cui potevo realmente contare, era come un fratello nel vero senso della parola. Quindi misi per una volta l'orgoglio da parte e digitai un messaggio, senza girare troppo sulle parole.

Alex: Senti Ty, volevo chiederti scusa e dirti che mi dispiace, non avrei dovuto comportarmi in quel modo con te e non avrei dovuto dirti quelle parole. Non lo meriti affatto. So che parlavi a fin di bene e te ne sono grato.

La sua risposta non tardò ad arrivare.

Tyler: Se per farti uscire dalla bocca delle scuse sincere, serve discutere, lo farò più spesso. Ma non pensare che mi arrenderò, ti va una birra in un locale qui in centro? Solo noi due, niente ragazze.

Questa volta mi convinse facilmente. Mi cambiai, indossando una camicia e dei pantaloni da adattare e mi avviai, uscendo di casa.

Mi sentivo sollevato dopo aver risolto ciò che non mi dava pace; mi ripromisi di essere meno impulsivo, la prossima volta.

Quando arrivai in quel bar, nel frattempo che aspettavo Tyler, decisi di prendere una birra ma, come ormai da routine, accanto a me, ritrovai quella Peterson, che era intenta nel mandare a lunghe sorsate il suo drink, come se voleva dimenticare qualcosa. Così in seguito ai convenevoli iniziali, le consigliai di non bere troppo, ma lei si rivolse a me senza mezzi termini, intimandomi di farmi gli affari miei. Quindi infastidito dal suo comportamento, feci quello che mi aveva detto; del resto non capivo perché ero intervenuto. Non era da me, infatti ritornai sui miei passi e le risposi a tono, tanto da farla allontanare, infuriata.

Ma ciò che mi fu impossibile fare, fu staccarle gli occhi di dosso nel vederla muovere a ritmo di musica mentre ballava con un'altra ragazza che non riuscii a vedere, chiaramente. In realtà tenevo gli occhi puntati solo su di lei. Mi incuriosiva quella ragazza, ma non capivo cosa in particolare. E poi la conoscevo solo da tre giorni. Dovevo smetterla, era solo l'astinenza di non frequentare nessuna donna che mi portava a fare certi pensieri.

Quando Tyler mi raggiunge, bevemmo qualcosa insieme e poi andammo a fare un giro in città, nella New York in subbuglio, passando qualche ora spensierata, come gli amici inseparabili che eravamo.

«Ty, scusa» pronunciai, mentre camminavamo tra le vie di Time Square, un arcobaleno di colori e luci che si spargeva nell'immensa folla piena di vitalità.

«Ehi amico,» mise una mano all'altezza della mia spalla, guardandomi seriamente «hai avuto paura di perdermi e lo capisco perché mi chiedo come potresti vivere senza me. Ma adesso basta scusarsi».

Scossi la testa, ridendo «Io senza te ci vivo benissimo».

«Ah ah ah. Ma se con le lacrime agli occhi sei tornato da me, quando ti sei reso conto che ti mancavo».

Tirai fuori il dito medio «Ma smettila!»

Lui sghignazzò e io insieme a lui. Continuammo a prenderci in giro a vicenda, finché la stanchezza non tornò di nuovo a manifestarsi sul mio corpo e decisi di tornare a casa.

Una volta nel letto, chiusi gli occhi e in automatico la mia mente volò a quella ragazza, Chloe. Domani sarebbe venuta di nuovo al lavoro perché ormai il posto era suo e l'idea di averla intorno dovevo ammettere che non mi dispiaceva e non ne conoscevo la ragione, ma allo stesso tempo mi dava fastidio perché mi sembrava solo una saputella e proprio per questo motivo non riuscivo a risolvere quest'enigma, che si stava creando dentro di me. Perciò, siccome non avevo la forza di rimuginare anche su quell'argomento, decisi, semplicemente, di dormirci su e di ignorare il problema, sperando se ne andasse dal nulla, perché nulla era ciò che rappresentava. 

La stella più luminosa sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora