Con uno sbuffo, chiusi il libro scocciata; la mia mente era concentrata dappertutto tranne che sulla lettura. Forse, perché quel libro, nonostante mi facesse sentire sempre a casa con la dolcezza di Meg, il coraggio della mia Jo, la sensibilità di Beth e quel peperino di Amy, mi ricordava insistentemente la persona che me lo aveva donato la notte di Natale e a cui avevo affidato, ogni singolo pezzo del mio cuore.
Quel cuore, che adesso facevo fatica a ritrovare.
«Vuoi che ti accompagni?»
«Non serve, tranquilla».
Avevo chiesto se potessi lavorare da casa, usando come scusa quella del non potermi spostare, perché avevo preso una brutta caduta, che mi costringeva a stare seduta, così, non mettevo piede in ufficio da ben sei settimane. Tempo che avevo impiegato nel terminare tutto il mio lavoro, dedicandomi allo scouting, attraverso il quale avevo redatto una lista di possibili nuovi titoli da pubblicare, correggendo le ultime bozze che mi erano state affidate e le annesse traduzioni, e contattando gli autori con cui avevo parlato dei dettagli da migliorare. Adesso, però, la permanenza che mi teneva a casa era terminata e avevo preso una decisione: non potevo lavorare nello stesso luogo e incontrare quelle pagliuzze cristalline che non vedevo da quarantadue giorni e mille e otto ore, passate ad evitarlo. Perciò avevo chiesto a Peter, essendo anche il vicedirettore della Book Publishing di incontrarci per avere il modulo delle dimissioni.
«Io devo passare dalla Centrale perché ci sono delle novità sul caso di cui ci stiamo occupando ma, se vuoi, prima posso fare una piccola deviazione» disse Zoe, riponendo l'ultimo piatto dentro la lavastoviglie.
«No, vado a piedi. Mi farà bene camminare un po'» la rassicurai, stirando le labbra leggermente all'insù.
Annuì, stringendomi la mano e dopo essersi data una rinfrescata, uscì, assicurandomi che ci saremmo viste la sera. Ormai non c'era giorno in cui ci separassimo.
Avevo bisogno di lei e lei c'era.
Silenziosamente, mi donava una spalla su cui aggrapparmi e io gliene ero immensamente riconoscente. In un'altra vita saremmo state sicuramente sorelle.
***
Diedi appuntamento a Peter al The Small Café. Arrivò puntuale e quando entrò, si guardò intorno, così alzai una mano, attirando la sua attenzione.
Mi sorrise e mi raggiunse, accomodandosi accanto a me «Ciao, Chloe».
«Ciao, Peter, come stai?»
Lui inarcò le sopracciglia «Forse, dovrei chiederlo io a te».
No, grazie. Preferivo che quella domanda non mi venisse posta.
«Sentiamo la tua mancanza, tutti» mi soffermai sulla sua ultima parola e sulla maggiore enfasi con cui la pronunciò.
Anche lui sente la mia mancanza? Come sta?
Accennai un sorriso «Anche voi mi mancate. Come sta la mia amica folle?» chiesi, alludendo a Joy. L'avevo sentita con una chiamata, qualche settimana fa, ma volevo sapere lo stesso se stesse bene. Mi mancava la sua esuberanza e il suo farmi sorridere in ogni circostanza.
Lui arrossì appena, era un ragazzo davvero dolce «Sempre la stessa. Con una carica vitale sempre avanti rispetto a noi altri» ciò che disse mi fece sorridere perché era vero. Non perdeva mai la voglia di lavorare o fare qualsiasi altra cosa. Era iperattiva ad ogni ora della giornata, mai un accenno di stanchezza.
Peter estrasse da una piccola valigetta nera i documenti che aveva con sé, porgendomeli.
«Grazie» sussurrai, osservando quei fogli che avrebbero messo fine a un altro capitolo della mia vita.
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La stella più luminosa sei tu
RomansaIn un mondo dove la felicità si paga a un caro prezzo, Chloe Peterson non sa più come riacquistarla. A 25 anni sa già come ci si sente a sentire il cuore frantumarsi in mille pezzetti, qual è la sensazione di inadeguatezza e come possano far male ce...