CAPITOLO 35-ALEX

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Mi ero rigirato per tutta la notte nel letto senza mai raggiungere il sonno quindi, alle prime luci dell'alba, avevo indossato una maglietta e un paio di pantaloni, che utilizzavo per andare in palestra, e, ora, stavo correndo al Manhattan Bridge. Il respiro si affievoliva ad ogni falcata e le gambe stavano diventando di gelatina, ma non riuscivo a fermarmi. Come se ci fosse un registratore, davanti i miei occhi, una videocassetta stava scorrendo, mostrandomi la mia vita sin da quando ero nato.

Io che perdevo mia mamma troppo piccolo, mio padre che sceglieva di non amarmi e di buttarmi via come una pezza vecchia, l'orfanotrofio dove avevo trascorso anni orribili, i miei diciott'anni e la voglia di diventare qualcuno, il raggiungimento del mio primo sogno in una casa editrice e il momento esatto in cui avevo ottenuto ciò che mi mancava per essere felice: l'amore. Peccato che ero stato uno codardo e me l'ero fatto scappare dalle mani, quando avrei dovuto soltanto custodirlo.

In seguito a quella mattina in cui non l'avevo trovata al mio risveglio, avevo intuito che quello fosse stato un addio definitivo. E ancora oggi facevo fatica a credere che fosse tutto finito e se lottavo per non crollare era perché le sue parole rimbombavano nella mia testa.

Non puoi abbandonarti così. Tu mi hai insegnato a vivere, a non arrendermi, a lottare. Quindi, io ti chiedo di fare lo stesso anche senza di me. Per favore, Alex, fallo per me...

Lo stavo facendo, solo ed esclusivamente, per la mia stellina. Ogni giorno, trovavo un senso a quella vita, pensando a lei e ai suoi occhi più scuri della notte ma più accoglienti di una carezza.

Ogni muscolo del mio corpo stava per cedere, mancava poco e si sarebbe spezzato. Mi fermai solo quando l'aria non filtrò più dai polmoni e mi accasciai a terra, madido di sudore. Appena il respiro riacquisì la sua normalità, ritornai a casa. Aprii l'acqua della doccia sotto cui mi rifugiai per qualche minuto e giusto il tempo di indossare un paio di jeans e una felpa, che, improvvisamente, sentii chiamarmi e suonare il campanello, ripetutamente. Quella era la voce di Tyler.

«Finalmente ti sei scomodato ad aprire» attraversò l'uscio, spazientito.

«Buongiorno anche a te, Tyler!»

«Buongiorno un cazzo» ma che diamine gli prendeva? Lo guardai stranito, aspettando che continuasse a parlare.

«Non guardarmi così. Ti prenderei a sberle per aver perso così tanto tempo». «Di che diavolo stai parlando?»

«Mi hai sempre detto di farmi gli affari miei. Ma oggi tu mi ascolti, fosse l'ultima cosa che faccio» non ci stavo capendo niente ma comunque lui continuò con un tono autoritario che mi lasciò allibito.

«Alex, devi muovere quel cazzo di culo e andare a riprendertela. E se la tua testardaggine avrà di nuovo la meglio, sappi che mi avrai deluso».

La mia calma aveva avuto fine, mi stava innervosendo «Te lo chiederò un'altra volta: DI CHE CAZZO STAI PARLANDO?» urlai, avvicinandomi a lui.

«DELLA PARTENZA DI CHLOE» gridò, congelandomi sul posto.

«Ma che cazzo dici? Cosa sta succedendo?» dissi, abbassando la voce sull'ultima domanda.

Si passò una mano tra i capelli, nervoso «Tra un'ora esatta, Chloe prenderà il primo volo che la porterà a Parigi. Una grande casa editrice le ha offerto un lavoro. Ha passato una settimana a riordinare l'occorrente e in questi giorni io e Zoe le abbiamo dato una mano...» una doccia fredda piombò su di me, scaraventando il mio cuore al suolo. E mentre lui continuò a dire parole che nemmeno stavo ascoltando, lo interruppi, nero dalla rabbia.

«Tu lo sapevi e me lo dici soltanto adesso? Cazzo, Ty, anche tu. Perché tutti non fate che nascondermi la verità su ogni dannata cosa che fa parte della mia vita? Perché?»

La stella più luminosa sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora