CAPITOLO 9-CHLOE

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Ma dico, ero seria? Cosa avevo appena fatto? Una cazzata, ecco cosa avevo fatto.

Mi ero fregata con le mie stesse mani.

Brava Chloe, al solito, non ne combini una giusta.

Come mi era venuto in mente di aiutarlo? Ciò significava passare del tempo con colui da cui dovevo stare a debita distanza e in quel modo avrei fatto solo il contrario. Ma la frittata, ormai, era fatta, quindi, prima lo aiutavo, prima sarei uscita dalla tana del lupo.

«Peterson, vieni a sederti oppure hai già cambiato idea?»

Può essere.

«Se si sta chiedendo se sgattaiolerò via, stia tranquillo. Non ho cambiato idea» dissi, avvicinandomi e sedendomi nella sedia accanto a lui. Non ce la potevo fare. Quella vicinanza mi faceva venire certi pensieri che dovevo fermare, ad ogni costo! Soprattutto, se aveva provato a baciarmi...

«Mi dica come posso rendermi utile».

«Ho un bel po' di autori da contattare. In questo foglio c'è la lista contenente sia il nome delle persone che hanno ottenuto l'accettazione, per la pubblicazione del loro romanzo, sia il nome di quelle per le quali la loro proposta è stata scartata. Se tu risponderesti alle email che mi hanno inviato, informandoli della decisione che è stata presa per ognuno di loro, mi faresti un enorme favore».

Annuii e mi misi subito a lavoro.

Per un bel po', forse troppo, rimanemmo in un silenzio assordante, concentrati in ciò che stavamo facendo. Ma non mi sfuggivano i suoi occhi spesso posati su di me, che non si perdevano neanche un mio piccolo movimento, e io, ovviamente, stavo bene attenta a non sfiorarlo neanche con un dito.

«Sig. Smith, la sua casella delle email è vuota, finalmente. Tutto è stato inviato!»

«Finisco, sempre, per averne, una miriade, in arretrato, non sai quanto tu mi stia aiutando. Grazie, Chloe».

Mi girai, sorpresa, per guardarlo; era la prima volta che mi chiamava con il mio nome e doveva essersene accorto anche lui, perché l'espressione che assunse fu simile allo stupore. Ma nessuno dei due disse una sola parola a riguardo, come se non fosse accaduto nulla.

«Si figuri, posso fare qualcos'altro?»

«Non voglio trattenerti oltre. Se vuoi puoi andare, farò il resto io».

«Non si preoccupi. Sono rimasta io di mia volontà, non mi ha costretta lei. A me fa piacere rendermi utile» dissi sinceramente.

Distolse l'attenzione dal computer e la puntò tutta su di me «Come fai?» mi chiese con voce seria, girandosi completamente e mettendosi di fronte a me.

«A fare cosa?» perplessa mi sentii quasi a disagio, per il modo in cui mi stava fissando.

«Voglio dire, sei qui da quasi un mese, non ti ho sempre trattata nel migliori dei modi, sono stato anche un po' stronzo, ne sono consapevole. Eppure tu sei sempre a disposizione, pronta ad aiutare chi ha bisogno di una mano. Lo vedo quando esco dal mio ufficio, se qualcuno si trova in difficoltà, tu corri subito e ti offri volontaria, anche se questo vuol dire mettere in secondo piano il tuo di lavoro. Come fai ad essere così... gentile e buona?»

Ero rimasta spiazzata dalle sue parole «Io... io non lo so. Semplicemente, credo che facendo del bene, alla fine, si è ripagati sempre. Anche se, spesso, non viene ricambiato e, alcune volte, può risultare addirittura una fregatura avere questo pregio-difetto. Mi sento bene con me stessa, adoro rendermi utile e spesso non dovrei, ma mi ritrovo a farmi carico dei problemi altrui, perché non ce la faccio proprio a rimanere a braccia conserte. È una cosa che tengo sin da piccolina, la mia mamma mi ha sempre detto: "Sii gentile e comprensiva, anche con chi non lo è con te. E se vedi una persona triste, allunga una mano verso di lei, probabilmente ha bisogno di qualcuno che le alleggerisca quel peso che sente dentro"» mormorai quelle ultime frasi con nostalgia e lui mi rivolse uno sguardo diverso dal solito, dolce.

La stella più luminosa sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora