CAPITOLO 14-CHLOE

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Aprii gli occhi e li stropicciai, venendo inondata dalla luce del sole che filtrava dalla finestra. Mi stiracchiai, sollevandomi su, quando mi accorsi che non indossavo il pigiama, bensì i vestiti del giorno precedente.

Non ricordavo neanche come c'ero arrivata in camera.

Che strano.

Mi sforzai di mettere in moto gli ingranaggi della mia mente e subito riaffiorò il ricordo della voce del signor Smith che mi diceva di svegliarmi e mi sollevava di peso, portandomi fino a casa.

Oddio. Speravo solo di non avere fatto una figuraccia perché quando dormo e parlo nel sonno, comincio a dire solo stupidaggini, e la cosa peggiore era che non ricordavo quali parole prive di senso erano uscite dalla mia bocca, quella sera.

Ti prego fa che non mi sono messa in ridicolo. Ti prego!

Però accoccolarsi tra le sue braccia non doveva essere stato spiacevole, peccato che ricordavo poco e niente. Neanche mi fossi ubriacata fino a non capirci più niente!

Una cosa era sicura: io e il sonno rappresentavamo una cosa sola e spesso la mattina rimandavo la sveglia fino a fare tardi. Mi girai di scatto, proprio, in direzione di essa, accorgendomi che segnava le otto. Ecco questa era una di quelle mattine in cui sarei arrivata in ritardo! Avevo solo trenta minuti di tempo, mi alzai saltellando, e togliendo i vestiti, andai dritta a fare una doccia. Uscita dal bagno presi i primi vestiti che mi capitarono e mi fiondai subito in macchina.

La fortuna era veramente dalla mia parte: ero finita nel bel mezzo di una fila lunghissima di auto. Peggio di così non poteva andare, chi lo avrebbe sentito adesso quel burbero?

Io mi rifiutavo di ascoltare una sua ramanzina, ma prima di tutto mi rifiutavo anche solo di vederlo!

Nel frattempo, avvisai Joy del mio, probabile, ritardo e lei mi comunicò in un messaggio testuali parole:

Tranquilla il tuo uomo sexy non è ancora arrivato.

Mio non lo era e ci tenni a specificarlo anche a lei. Mio forse lo era nei miei sogni che occupava adesso anche la notte.

Finalmente, arrivai davanti la casa editrice. In ritardo di dieci minuti, ma arrivai!

Entrai come un razzo sotto gli occhi straniti di tutti, correndo fino al mio ufficio, con la speranza che occhi blu non mi vedesse e invece fui fregata in pieno.

«Peterson, troppa fatica alzarsi questa mattina?» la sua voce risuonò nelle mie orecchie, facendo arrestare la mia corsa.

Costretta a voltarmi, entrai nel suo ufficio notando quanto ogni parte del suo corpo fosse in perfetto ordine. Al contrario di me che avevo i capelli fuori posto e in aria come una matta.

«Buongiorno. Ehm... Scusi per il ritardo ma sono stata bloccata dal traffico» mormorai, cercando di darmi una sistemata e riprendere fiato.

«Ahhhh, e io che pensavo che eri bloccata in un sonno profondo come quello di ieri sera» nella sua voce c'era un tono divertente e ironico.

Chissà cosa avevo combinato, non volevo neanche saperlo.

«A proposito di ieri sera, grazie per avermi riportata a casa e poi volevo scusarmi se ho detto o fatto qualcosa che non dovevo. Quando mi addormento e qualcuno prova a svegliarmi non sono più in me» mi giustificai con imbarazzo.

«Vediamo...» smise di fare qualunque cosa stesse facendo, posizionò due dita sotto al mento e si fermò a pensare. Ero sicura che stesse per dire qualcosa che non mi sarebbe piaciuta, «Mi hai solo abbracciato, confessando quanto ti piacesse stare fra le mie braccia e infine mi hai pregato di rimanere» disse con un sorriso malizioso.

La stella più luminosa sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora