CAPITOLO 26-ALEX

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La circondai con il mio braccio e lei si accoccolò al mio petto.

Avvolti tra le lenzuola, accarezzavo la sua pelle, su cui comparivano in automatico dei brividi. E vedere che ero io a procurarglieli, mi trasmetteva una sensazione bellissima che non avrei saputo spiegare a parole.

«A cosa pensi?» le domandai, vedendola silenziosa.

«A quanto stia bene in questo preciso momento» sussurrò, sollevando il capo per guardarmi.

Le sorrisi e le stampai un bacio su quelle labbra, stringendola ancora un altro po' a me.

«Chloe... dispiace anche a me per aver reagito bruscamente questo pomeriggio. Ero solo innervosito dopo che l'incontro con quel cliente non è andato come speravo».

«Credo che sia andato male perché hai portato con te la persona sbagliata per convincerlo...» scherzò, facendomi l'occhiolino.

«Tanto perché tu lo sappia, ero da solo. Kaitlyn non è venuta con me» chiarii, facendola sollevare di colpo.

«No?» mi chiese stupita.

Scossi la testa «Mi ha chiesto il permesso per assentarsi qualche ora perché aveva una visita medica. Ecco perché siamo usciti nello stesso momento...»

«Qualcosa non va?» le chiesi, notando un cruccio tra le pieghe della sua fronte corrucciata.

«No, tranquillo. Va tutto bene, ma non parliamo più di lei» un sorriso le si formò di nuovo in volto.

Ricominciai a tracciare dei cerchi circolari sulla sua candida pelle, venendo investito da una domanda che più volte mi era passata per la mente ma che non avevo ancora avuto modo di porle. «Chloe?»

«Mmm?»

«Hai mai pensato di scrivere una storia tutta tua?»

«Come mai questa domanda?» era la solita... Rispondeva con un'altra domanda ogni volta che doveva placare la sua curiosità.

«Perché noto quanto tu sia brava a dare la giusta forma a quei libri e penso tu abbia del potenziale. E poi, chi, amando da impazzire i libri, non ha mai pensato di buttar giù qualcosa?»

«Sì, ci ho pensato molte volte» pronunciò, e aspettai che continuasse perché la vidi aprire di nuovo la bocca.

«Mesi fa, avevo iniziato a scrivere una storia che mi ero decisa a mettere per iscritto dopo essere cresciuta, giorno dopo giorno, nella mia testa, senza mai fermarsi. Solo che poi un giorno, ho smesso e, adesso, si trova chiusa nel mio laptop».

«Hai smesso per lo stesso motivo che ti ha fatto stare male?» a quelle mie parole lei rimase in silenzio, per troppo tempo, forse. Potevo immaginare il suo viso in quell'istante, quindi la strinsi di più per farle capire che io c'ero.

«Sì» disse in un sussurro. «Dopo quel giorno niente è stato più lo stesso» mormorò, portandosi una mano sul viso, sicuramente, per asciugarsi una lacrima.

«Quando hai trovato la forza di rialzarti?»

«Quando ho toccato il fondo. Ho iniziato a non mangiare più, a dimagrire e ad assumere dei farmaci per evitare gli attacchi di panico che mi attanagliavano la mente e il cuore, giornalmente» la sua voce si strozzò e io l'abbracciai completamente, bagnando il mio petto con le sue lacrime silenziose. Mi si chiuse il cuore in una morsa e le mie mani, istintivamente, si accartocciarono su se stesse; avrei voluto prendere a pugni quel bastardo che l'aveva ridotta in quello stato.

«Quando ho visto mia madre piangere per me, l'unica figlia che avesse mai avuto e che rischiava di perdere, mi sono accorta che stavo andando alla deriva e, finalmente, ho capito che dovevo ritornare a vivere perché altrimenti non mi sarei salvata più. Così, sempre con il sostegno di mamma e Zoe, ho cominciato ad andare da una psicologa e grazie a questa persona e a chi mi è stato vicino, sono riuscita a riprendere in mano la mia vita, anche se per farlo ho dovuto lasciare la mia città, Boston, dove sono nata e cresciuta. La stessa che avrebbe rievocato in me troppi ricordi dolorosi se avessi deciso di rimanervi» mormorò, lasciando percepire la tristezza che si nascondeva in quelle parole.

«Quanto vorrei che tu non avessi passato tutto questo» le baciai la nuca e poi ogni parte della sua faccia per mettere fine a quelle lacrime, che segnavano il suo bellissimo viso.

Lei mi sorrise flebilmente e mi baciò.

«Troppe cose che mi facevano stare bene ho smesso di fare in quel periodo. Scrivere era una di quelle, mi rilassava; mi ci perdevo dentro in quelle parole che battevo senza rendermene conto».

«E non pensi che sia ora di rispolverare quella passione?»

«Non saprei, è passato troppo tempo».

«Credo che non dovresti lasciarla sfumare via. Mi hai detto che hai imparato a vivere di nuovo, quindi vivi di ogni singola cosa che ti dà un attimo di pace. Non lasciarla scomparire davanti ai tuoi occhi, ma inseguila fino a raggiungerla e renderla tua».

Mi sorrise con gli occhi lucidi, annuendo.

La baciai e le sue labbra, mischiate alle mie, sapevano ancora delle sue lacrime salate.

Di quelle lacrime che nascondevano dolore e sofferenza.

Due componenti che anche io conoscevo bene.

Due sentimenti che ultimamente non sentivo più così spesso. Si erano come addormentati e speravo non si svegliassero perché, altrimenti, sarebbe stato come rivivere un nuovo incubo, proprio ora che tutto il buio si stava avvolgendo della luce che la mia stella stava portando in ogni singola oscurità della mia anima.

La stella più luminosa sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora