CAPITOLO 30-CHLOE

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Quattro settimane dopo...

«Potremmo andare a fare una passeggiata, fuori c'è un sole che spacca le pietre. Ti farà bene cambiare aria».

«Non mi va».

«Chloe...» il grosso sbuffare di Zoe fece alzare un po' i miei capelli, poggiati all'altezza del suo cuore. Le sue dolci carezze riuscirono, per un po', a calmare il maremoto che avevo dentro e a scostarmi da quelle nuvole nere che volevano attorniarmi per farmi cadere in un baratro, senza via d'uscita. Non lo vedevo da quel lunedì in cui ogni cosa era cambiata. Non avevo idea di come stesse e temevo che se avessi chiesto a Zoe di informarsi tramite Tyler, ottenendo cattive notizie, il dolore sarebbe stato ancora più prepotente. Mangiavo poco e niente, se non costretta da Zoe. Non ero più andata a lavoro e avevo chiesto dei giorni di ferie, dandomi per malata. Ma sapevamo bene sia io che lui che un raffreddore non era la causa del mio malore, che in realtà proveniva da un luogo che non smetteva di sanguinare.

Zoe non disse più nient'altro, rimase in silenzio, continuando a tracciare dei disegni invisibili sulle mie braccia che mi fecero cadere in un sonno profondo. Ero così stanca che le mie palpebre si chiusero sole, finalmente potevo riposare senza rimuginare su nulla.

***

Mi svegliai di soprassalto dopo averlo sognato, più bello che mai. I capelli biondi perfettamente pettinati, un sorriso e due occhi azzurri più luminosi della luna. Mi riempiva di baci e mi sorrideva. Sembrava di stare in una favola. Ma all'improvviso tutto mutò. Mi guardò affranto e lasciò la mia mano. Io lo supplicavo di non lasciarmi, di non andarsene, gridavo così che mi sentisse ma niente era servito affinché Alex tornasse da me.

Il panico mi inghiottì appena notai che Zoe non c'era. La mia amica, però, ormai sapeva tutto di me, proprio al mio fianco vidi, infatti, un fogliettino bianco su cui aveva scritto che era dovuta scappare per lavoro e che sarebbe ritornata questa sera.

I battiti smisero di essere tanto rumorosi e decisi di riprendere il pc, l'unica cosa di cui non mi ero privata in questi giorni. Scrivere era una sorta di terapia che non avrei lasciato andare per la seconda volta.

Davanti a me si presentava un foglio bianco e bastò poco per cominciare a trascrivere ogni emozione che il mio corpo necessitava di buttare fuori. Aiutai i miei protagonisti a dire tutto ciò che desideravano e quando mi chiesero una pausa, io gliela concessi. Stremata e con gli occhi brucianti, salvai le mie parole e riposi il laptop grigio al suo posto, accorgendomi che il sole stava tramontando, lasciandosi coprire da una mezza luna, oggi, anch'essa un po' spenta, come me.

Mi avvicinai alla finestra, perdendomi in quel cobalto misto a un rosa pastello e poi i miei occhi scesero più giù, nella vita mondana di New York, la città che mi aveva salvata ma anche dato qualche dolore. Mentre io mi crogiolavo a casa, lei viveva senza fermarsi mai. Le numerose auto che facevano avanti e indietro, le luci sempre accese, il suono dei clacson impazziti, la musica a palla, i mormorii della gente... Erano così pieni di vita, che sognavo di avere anche io un po' di quella voglia di mettersi continuamente in gioco.

Volevo sentirmi come una stella, viva e in grado di sovrastare tutto e tutti con la propria luce, prigioniera di quel cielo dove ogni cosa sembrava destinata a ricomporsi.

Per un tempo mi ero anche sentita di esserla, una stella forte e invincibile. 

La sua.


Avere le sue dita tra i miei capelli era una sensazione meravigliosa che non avrei mai preferito a nient'altro, come poggiare la testa sul suo cuore e sentirlo battere forte per me. Come essere cullata dal calore delle sue braccia che mi avrebbero protetta da ogni paura.

Nascosi il mio viso ancora più a fondo, nelle crepe di quel cuore generoso e ispirai il suo profumo, sorridendo.

«Guarda» mi indicò con un dito il cielo. Distesi nel pavimento, avvolti da un lenzuolo, eravamo abbracciati e guardavamo estasiati fuori dalla grande vetrata della sua cucina, in alto, dove miriadi di minuscoli puntini brillavano.

«Questa sera è visibile quello che viene chiamato il triangolo invernale, formato tra un gruppo di tre stelle. Là in alto, a destra, si trova la costellazione di Orione, la più conosciuta e visibile del pianeta. A sinistra, invece, c'è la costellazione del Cane minore insieme alla stella chiamata Procione. Procione è la più vicina alla stella lì in basso al centro, Sirio che è considerata la più luminosa del cielo notturno. Ma devo svelarti un segreto stellina: per me la stella più luminosa sei tu che hai ridato luce alla mia anima. Il mio Sirio, la mia stellina che ha acceso i miei giorni, rendendoli migliori con la sua fragilità e la sua forza» mi ci vollero parecchi secondi per metabolizzare cosa mi aveva appena sussurrato e pochi per rendermi conto che con lui la mia vita era completa. Il cuore rischiava di fermarsi, la terra di scomparire da sotto i piedi e le farfalle di schizzare fuori. Era un momento che avrei ricordato per tutta la vita, qualunque cosa sarebbe successa.

«E tu sei il mio angolo di paradiso, quello dove posso rifugiarmi. Tu mi hai preso per mano e mi hai insegnato ad essere libera. Non posso immaginare una vita senza te».

«Non devi immaginarla perché io sarò sempre ad un passo da te. Te lo prometto» mi baciò, suggellando quella promessa, impregnandola del sapore salato delle mie lacrime al gusto di una felicità senza fine.


Lui me lo aveva promesso. Aveva anche promesso che non mi avrebbe mai fatta soffrire. Ma non aveva tenuto in conto che non bisogna riempire una persona di false speranze se non si riesce a mantenere una promessa.

E io ero stata la solita eterna sognatrice che gli aveva creduto. Ma adesso tutto era finito.

Speranze, promesse, sorrisi, sogni, erano stati spazzati via da una folata di vento talmente potente da farli ricadere al suolo come piccole briciole, incapaci di riprendere la loro forma.

La stella più luminosa sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora