CAPITOLO 33-ALEX

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Appena la vidi, dalla finestra, aumentare la sua corsa e allontanarsi sempre più da me, con due falcate raggiunsi il corridoio e, sbraitando, cominciai a chiamare Peter. All'udire il mio tono rabbioso, tutti si strinsero nelle spalle come a voler scomparire. Entrai in sala riunione, trovandolo sereno a sorseggiare il suo caffè e, chiudendo la porta bruscamente, feci alzare gli occhi dal suo pc.

«Alex, tutto bene?»

«Perché cazzo non me lo hai detto?» urlai, avvicinandomi a lui che assunse dapprima un'aria perplessa e dopo, quando vide quella maledetta lettera di dimissioni, che gli sbattei davanti gli occhi, si alzò per provare a calmarmi.

«Ascolta, Alex, me lo ha chiesto lei di non farlo. Ha voluto che ci incontrassimo di proposito al di fuori della casa editrice, così che le consegnassi i documenti».

«E non ti è passato per la mente di dirmelo? Non conto niente in questo cazzo di luogo? Per caso non avevo il diritto di saperlo?» parlai a raffica con una rabbia impossibile da fermare.

Peter alzò le mani per scusarsi «Okay, ho sbagliato. Avrei dovuto riferirtelo e ti chiedo scusa. Ma non avrebbe cambiato il fatto che lei se ne sarebbe andata comunque».

«Non se tu non le davi quei maledetti documenti!» urlai, puntandogli un dito contro.

«E poi tu cosa avresti fatto, le avresti impedito di licenziarsi? Non potevi Alex!» esclamò, iniziando a scaldarsi.

Passai le mani sui capelli, nervosamente «Tu non capisci. Averla qui significava non averla persa del tutto, invece, non potrò più vederla. Non saprò più niente di lei perché è finita, cazzo!»

Peter sospirò, sedendosi al mio fianco «No, che non lo è. Puoi sempre correre da lei e rimediare a ogni tuo errore!»

Scossi la testa «Non posso. È stata chiarissima poco fa: mi vuole fuori dalla sua vita» sussurrai, percependo un groppo in gola che voleva salire in superficie.

«Alex, lo ha detto perché ti ama e non vuole più soffrire ma se solo ci provassi, potresti fare in modo che non succeda».

«Ho perso il mio treno Peter, e quello passa una sola volta. Non c'è più niente che io possa fare» mi alzai, senza attendere una sua replica e, asciugandomi una di quelle lacrime che ultimamente sfuggivano al mio controllo, uscii dalla stanza.

***

Una volta arrivato a casa, decisi che la mia cena sarebbe stata una bottiglia di scotch da scolarmi fino a non percepire più niente. Mi sedetti sul divano e portai il bicchiere alle labbra, mandandolo giù in un solo colpo. A quello ne seguirono altri dieci e un'ora dopo ero già sbronzo. Ma quello non era servito ad eliminarla dalla mia testa. Non sapevo più come rimuoverla. Se avessi saputo che l'amore vero faceva così male, me ne sarei stato alla larga, lo avrei evitato come la peste. Invece, il solito Alex che non voleva smettere di rimanere appeso a quella stupida speranza era prevalso, nello stesso momento in cui l'aveva vista, e adesso si ritrovava a fare i conti con quella scelta.

Mi ero ridotto a uno schifo, le lacrime si rincorrevano sul mio viso e fermarle era un modo inesistente per liberarmene.

La mia lucidità era scomparsa. D'istinto presi il telefono e dopo che scivolò innumerevoli volte dalle mani, riuscii ad azionare la chiamata.

All'ultimo squillo, finalmente sentii che avesse accettato la chiamata ma non la sua voce.

«Stellina, sei lì?» biascicai con la bocca impastata dall'alcol.

«Alex... perché mi hai chiamata?»

«Mi manchi stellina».

Un grosso sospiro arrivò alle mie orecchie «Alex...»

La stella più luminosa sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora