CAPITOLO 27-CHLOE

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Avvolta tra le lenzuola di quel letto su cui vi passavo la maggior parte delle giornate, rannicchiata su me stessa, stavo cercando di raccogliere l'ultima lacrima sfuggita ai miei occhi, prima che mamma entrasse e si preoccupasse. Ma, forse, era quello che stava già accadendo perché sapevo quanto stesse soffrendo, mentre il modo in cui vivevo o meglio sopravvivevo si sgretolava, ogni giorno di più.

Mi si spezzava il cuore ulteriormente nel leggere la cupezza anche nei suoi occhi, ma non riuscivo a cambiare la direttiva verso cui era indirizzata la mia vita. Ero legata a questo letto e alzarmi diventava sempre più difficile.

Percepivo dei passi vicini, finché non sentii la porta aprirsi e la figura di mamma avvicinarsi a me.

«Tesoro, vuoi mangiare?»

Silenzio.

«Ho preparato i pancakes come piacciono a te! Scendi di sotto e fai colazione insieme a me?»

Silenzio.

«Chloe, parlami» sussurrò con voce strozzata, accarezzandomi i capelli.

«Ti prego, lasciami da sola» sussurrai, oltrepassando con lo sguardo la sua figura, per osservare il giardino che potevo vedere dalla finestra. Quel verde trasmetteva una tale tranquillità, che avrei voluto rubarne un po'; quel tanto per non sentire più il dolore.

Avrei pagato qualunque cifra, se quella calma fosse stata in vendita.

«È venuta Zoe, perché non stai un po' con lei?» riprovò, come se non mi avesse sentita.

«Non voglio vedere nessuno» dissi con voce piatta.

«Ma lei è qui per te... Sarebbe scortese farla andare via».

Silenzio.

Rimase un altro po' accanto a me e poi con un sospiro che nascondeva un tumulto di sentimenti, si alzò e uscì dalla camera, lasciando continuare ai miei pensieri il loro viaggio.

Piegai le gambe, portandole all'altezza del petto e strinsi nervosamente le lenzuola. Ma non erano in grado di attutire il freddo.

Io credo di non amarti più.

Mi sono solo innamorato di un'altra.

Quelle maledette parole continuavano a fare a gara per colpirmi in ogni punto della mia mente e del mio cuore, ormai andato in frantumi. Mi sentivo così inadeguata, triste.

Ero sempre stata una ragazza estremamente sensibile, e se qualcuno mi feriva, dopo essermi liberata dal guscio che utilizzavo per proteggermi e aver mostrato me stessa, faceva un male cane.

Un male che mi faceva ritornare a vivere in una gabbia.

La gabbia che adesso mi stava soffocando.

Il luogo dove tutte le mie certezze si erano spezzate.

Cazzo! Perché dovevo soffrire così tanto per un uomo?

Come se la rabbia mi avesse dato uno schiaffo, spinsi via le lenzuola e mi misi a sedere; cominciai a tirare giù ogni singola cosa mi venisse alla vista, frantumandola in mille pezzetti.

Ero stata una maledetta stupida. Una stupida!

E adesso ne pagavo le conseguenze.

Stupida, stupida, stupida!

Mi muovevo come una forsennata per la stanza ormai a soqquadro. Il petto si abbassava e si alzava irregolarmente e io non ero in grado di regolare il suo movimento.

La stella più luminosa sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora