CAPITOLO 23-CHLOE

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Era così che ci si sentiva quando si raggiungeva la felicità? Come una nuvola sospesa nell'aria, che, libera, ondeggiava nelle sfumature di un cielo limpido e azzurro?

Sì. Probabilmente, sì.

Nell'ultimo periodo me ne ero dimenticata e quello che stavo provando si era trasformato in tante nuove sensazioni a cui sentivo il bisogno di dar voce. La felicità di cui parlavo era stare tra le sue braccia; e se in quel momento qualcuno me lo avesse chiesto, quella felicità non l'avrei cambiata per nessuna ragione al mondo.

Quella notte e, subito dopo, quella mattina, avevo scoperto uno scorcio della sua anima tormentata, bisognosa di essere ricucita da tutte le intemperie della vita, che si erano rovesciate su di essa; nell'animo generoso di quell'uomo che, adesso, mi stava abbracciando da dietro, avvolgendo le sue braccia intorno alla mia vita, con un impeto talmente intenso che sembrava volesse sopprimere, in quell'unica stretta, quel dolore che si portava dentro.

Quell'anima, per un attimo, l'avevo sentita vicina alla mia, in un modo tale da desiderare di custodirla per non lasciarla più; conservava così tanti graffi che avrei voluto guarirli e non farli più sanguinare. Ciò che mi aveva raccontato Alex, mi aveva destabilizzata, lasciandomi senza parole. Avevo capito che aveva vissuto qualcosa di spiacevole nella sua vita, ma non credevo fino a quel punto.

E con rabbia mi chiedevo perché la vita a volte fosse così crudele, tanto da strapparti il tuo unico punto di riferimento e come si potesse abbandonare un figlio, quando un figlio è spesso quello che desidererebbe una famiglia che purtroppo non può averlo. La vita a volte era ingiusta, tante volte proseguiva nel verso sbagliato, colpendoti quando meno te lo aspettavi.

«Pancake pronti!» esclamai, posando l'ultimo sul piatto.

«Mmm...che odore» mormorò, sfregando il suo naso sul mio collo.

Sorrisi «Forza, sediamoci» mi voltai verso lui, bellissimo anche con quei capelli scompigliati.

«Sono buoni!»

«Sono contenta ti piacciano perché sono l'unica cosa che riesce bene quando mi chiudo in cucina» gli svelai, facendo alzare all'insù gli angoli della sua bocca.

«Allora, dovrò darti qualche lezione».

«Perché tu vorresti dirmi di essere uno chef?»

«Ma certo! Pensavo che lo avessi capito l'ultima volta... con la mia buonissima lasagna» si finse infastidito.

«Oh giusto! Comunque, vedremo, del resto ho assaggiato un solo piatto... chi mi dice che tu sia bravo anche in tutte le altre pietanze?»

«Vedrai, Peterson» disse, assottigliando gli occhi.

«Vedrò» sorrisi di fronte al suo viso dipinto da un'aria di sfida.

Finimmo di fare colazione e Alex, subito, volle dimostrare quanto se la cavasse nel cucinare. Sotto il mio sguardo divertito si mise ai fornelli, io provai a rendermi utile ma mi proibì, categoricamente, di avvicinarmi. Quindi, mi sedetti in una sedia a fare praticamente il nulla assoluto, ritrovandomi ad ammettere che non era per niente noioso se a riempire la mia visuale c'era un attraente ragazzo senza maglietta, con quei muscoli in primo piano e un fondoschiena che muoveva in maniera sensuale, tale da farmi fare parecchi pensieri inopportuni. Non era mica colpa mia se la mia mente era completamente offuscata da quell'uomo, che ormai mi aveva fatto perdere la testa!

«Hai ancora intenzione di osservare il mio sedere?» la sua sfrontatezza colorò all'istante il mio viso di un rosso acceso.

«Non stavo osservando il tuo sedere!» replicai stizzita.

La stella più luminosa sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora