CAPITOLO 16-ALEX

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Quel giorno, la signorina Dickinson, nelle scale, mi chiese perché avessi un occhio nero e io stanco di quella situazione, in un moto di coraggio improvviso, stavo quasi per confessarle la realtà dei fatti.

«Alex, che cosa ti è successo?» aveva portato le sue mani sul mio viso, ma io mi ero allontanato bruscamente,

«Niente» avevo sussurrato, inizialmente, senza guardarla negli occhi.

Lei allungò di nuovo la mano, sollevando il mio mento «Sei sicuro, Alex?»

sospirai, soltanto.

«Puoi dirmi tutto, lo sai, vero?» provò a convincermi con le sue parole e cercò il mio sguardo, rivolto da tutt'altra parte. Il suo tono di voce mi suggerì che potevo fidarmi. Potevo parlarle e mettere fine a quell'incubo.

Avevo iniziato con un: «È stato A...», ma quei due occhi oscuri che mi seguivano dappertutto, fermi alle spalle della signorina Dickinson, mi fecero fare un passo indietro e per proteggermi le dissi che ero inciampato, battendo la faccia a terra. Lei parve studiare, di nuovo, il mio viso, diffidente, riflettendo su ciò che avevo detto; ma, dopo un breve tentennamento, annuì, lasciandomi ritornare a studiare, non prima di avermi sussurrato: «Qualsiasi cosa Alex, puoi dirmela».

Il pomeriggio passò tranquillamente e pensavo che la giornata si sarebbe conclusa senza i soliti problemi. Ovviamente, mi sbagliavo. Dopo cena avevo deciso di passare un po' di tempo nella biblioteca per rileggere "Il brutto anatroccolo" e quando gli occhi si erano fatti pesanti, avevo deciso di uscire dalla stanza con l'intento di rintanarmi sotto le coperte. Il silenzio aleggiava tra i corridoi, a fare rumore era solo la pioggia che da qualche ora si era abbattuta nella città di Brixton, picchiettando sui vetri di quell'abitazione estranea per me. Aprii la porta della mia camera e sul punto di entrare, mi ritrovai ad essere spintonato con violenza all'interno. Sapevo di chi si trattava, infatti non appena mi girai, davanti a me c'erano i miei nemici più grandi.

Fui preso con forza per le spalle e sbattuto al muro con violenza.

«Femminuccia, ti sono mancato oggi?» replicò con un ghigno quel mostro di Aaron Anderson.

A tenermi per le braccia erano quegli altri due guardaspalle che lo seguivano dappertutto come dei cagnolini «Lasciatemi... lasciatemi andare» riuscii a dire, inceppandomi nelle parole.

«Che c'è, piccolo Alex? Hai paura?» disse Aaron, assestandomi un pugno allo stomaco, che mi fece contorcere dal dolore e soffocare un grido.

«Cosa ti ho fatto? Non ne hai abbastanza?»

«Oh no, è così divertente vederti indifeso e... come posso dire? Ah sì... indifeso e debole. Perché tu, piccolo Alex, non vali niente. Sei invisibile, è questa la verità».

«Già, Alex, invisibile» ripeterono, ridendo gli altri due che fino a poco prima erano stati in silenzio.

«Ti conviene tenere la bocca chiusa, perché in caso contrario non la passeresti liscia, piccoletto. Ma visto che sembri sempre pronto a spifferare tutto quanto, questa è la punizione che ti spetta» prima che potessi intuire cosa avesse in mente, mi tolse dalle mani il libro e con un risata maligna cominciò a strapparne tutte le pagine. Una dopo l'altra.

Sgranai gli occhi, non poteva averlo fatto davvero «No, no, no, no. Fermati!» gridai, disperato nel tentativo di liberarmi da quella stretta, ma quei due erano più forti di me e non mi permisero di muovermi.

Ero in trappola.

Ridevano, ridevano, ridevano.

Io mi distruggevo.

La stella più luminosa sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora