Incubus

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Si svegliò che non erano ancora sorte le prime luci dell'alba. Il lenzuolo le si era appiccicato al corpo per via del sudore. Le ricordava la carta di caramelle che nascondeva nella tasca dei pantaloni quando era bambina, dimenticando di buttarla. Quando la volta successiva ci infilava la mano, l'involucro ricoperto di glassa zuccherina le restava incollato alle dita.

Così Mabel si sentiva. Come una grossa Mou semi sciolta, avvolta nella sua carta.

Peccato che il sogno appena fatto non avesse nulla di dolce. Un incubo, sempre lo stesso. Correva a piedi nudi in un bosco. I rami le graffiavano le braccia e le foglie si impigliavano tra i suoi capelli. L'umido dello strato terroso si mischiava al sudore e le ricopriva le caviglie scoperte. Un solo pensiero le impediva di fermarsi, fuggire, il più lontano possibile dall'ombra che la inseguiva. Mabel correva e correva, fino a perdere il fiato, fino a sentire la gabbia toracica comprimerle i polmoni costringendola a elemosinare una boccata di ossigeno.

L'ombra era sempre lì, la scrutava dall'oscurità alle sue spalle. Più cercava di distanziarla, più lei si avvicinava, fino a ridurre così tanto lo spazio tra loro da avvertire sul collo il fiato caldo delle sue fauci.

"Una bestia feroce," pensava la ragazza, "non può essere altrimenti. Ciò che mi segue non ha nulla di umano". Ed ecco che il panico tornava a ghermirla. La stringeva a sé come un amante insistente. La distanza tra lei e l'ombra si assottigliava ulteriormente. "Posso farcela, questa volta riuscirò a sottrarmi alla sua presa, ci sono quasi", Mabel lo ripeteva come un mantra, una formula magica che sperava potesse farla andare più veloce.

Intravedeva al di là dell'intrigo di rovi la promessa di una speranza, lì dove la flebile luce dell'alba rischiarava le cime più alte degli alberi. I raggi del primo sole cadevano sulla foresta come una coperta ma, ancora una volta, avrebbero lasciato Mabel al freddo del suo destino.

La ragazza alzava gli occhi al cielo a invocare aiuto e già le lacrime le offuscavano la vista; le gambe, gravate dalla tensione e dalla corsa, cedevano. La pianta del piede toccava qualcosa di scivoloso e con un urlo strozzato Mabel si ritrovava distesa, i palmi affondati nel terriccio smosso dalla caduta. Sola, disperata. Si voltava di scatto ma l'ombra dietro di lei non emetteva alcun suono.

Era buio totale e paura.

- Perché mi tormenti ogni notte? - esclamava.

Era un grido di esasperazione più che una domanda. L'ombra si allungava sopra di lei, le schermava la vista dandole la sensazione di sprofondare in una notte perenne. Se l'ombra avesse orecchie Mabel non avrebbe saputo dirlo, ma se anche la udisse, non rispondeva. Non lo faceva mai. Si limitava a terrorizzarla. Pur non avendo occhi, quell'entità possedeva un magnetismo che andava a sostituirne lo sguardo. A modo suo la fissava, quasi volesse estirparle ogni pensiero. Prosciugata, Mabel avrebbe potuto riassumere così come si sentiva a ogni risveglio. Eppure quella volta qualcosa di diverso avvenne.

Se negli incubi precedenti l'ombra restava a guardarla, finché Mabel non si destava per la sensazione di disagio fisico provata, quella notte la svegliò il tocco della creatura. L'ombra la tratteneva bloccandole i polsi. Sembrava una morsa di ferro. Ferro incandescente. Avvertiva nitidamente la sensazione di calore sulla pelle che andava aumentando man mano; saliva dal polso agli avambracci e dagli avambracci ai gomiti, per poi arrivare fino in cima, alle spalle. La sua epidermide bruciava. Il fuoco non si limitava allo strato esterno ma si infiltrava sottopelle, scavalcava gli strati dei muscoli e dei tendini, incendiava i suoi nervi e raggiungeva le ossa.

Quando il dolore si fece insopportabile urlò, con quanto fiato avesse in gola. Le sembrò di strapparsi le corde vocali per la forza che impresse nell'emettere il suono. Quando aprì gli occhi le comparvero davanti i contorni offuscati della sua camera. Si riprese il cuore fuggitole dal petto e per un momento rimase immobile a sentirlo battere con rabbioso impulso, quello che esige la sopravvivenza.

Si portò le mani al volto a coprirsi gli occhi; fu di nuovo buio. Un brivido la spronò a riprendere contatto con la realtà circostante. Scivolò con indolenza verso il bordo del letto, lasciando che le gambe venissero attratte al suolo dalla forza di gravità.

Una pallida luce trapelava dalle imposte accostate. Sforzandosi, si mise in piedi e lentamente si diresse verso la finestra. L'aria fresca del primo mattino le riempì le narici, aspirò avidamente. Toccandosi i polsi con timore si aspettò di trovarli effettivamente ustionati.

- Sono una stupida, - si disse, - è stato solo frutto della mia immaginazione.

Lasciò che le dita carezzassero la pelle interna delle braccia prima di far ricadere la mano lungo il fianco. Lanciò un'occhiata alla sveglia che segnava le 5.50. Tra poco avrebbe dovuto prepararsi per uscire.

- É ora che mi svegli.

Fu quella l'ultima notte in cui l'ombra venne a trovarla in sogno, ma un incubo peggiore l'avrebbe presto raggiunta nella realtà.

Fu quella l'ultima notte in cui l'ombra venne a trovarla in sogno, ma un incubo peggiore l'avrebbe presto raggiunta nella realtà

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