Exit

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Mabel attese le prime luci dell'alba sul letto, vestita e con la borsa già pronta ai suoi piedi. Non aspettò che il Dottore la venisse a chiamare. Il foglio delle dimissioni, già firmato, le avrebbe comunque permesso di lasciare la struttura se un infermiere l'avesse trattenuta durante il tragitto. Osservò i tiepidi raggi di sole bussare contro il vetro per poi tuffarsi dolcemente nella stanza, fino a lambirle l'orlo del lenzuolo. Fu come un segnale. Si alzò in piedi di scatto e afferrò i manici del bagaglio; le parve incredibilmente leggero da sollevare. Se lo gettò dietro la schiena agganciandolo alla mano destra, lanciò uno sguardo in direzione del bagno dove giacevano ancora i resti dei suoi capelli e uscì dalla stanza.

Quello che abbandonava dietro di sé, le sembrava già che appartenesse a qualcun altro.

Non stava rinnegando nulla di quanto le fosse successo, però iniziava a prenderne le distanze. Eppure, il cordone ombelicale che la tratteneva in quel limbo, l'avrebbe reciso del tutto soltanto scoprendo la verità.

Un passo dopo l'altro, un passo dopo l'altro, lungo un corridoio deserto e algido. Si accorgeva solo ora di quanto quel posto fosse in netto contrasto con le sue emozioni. Un porto placido e tranquillo, contro il quale si abbattevano i flutti incessanti del suo risentimento. La marea le montava dentro; il livello dell'acqua saliva, sospinto dal desiderio di volgersi nuovamente verso l'orizzonte. Le pareti, quelle pareti candide e spoglie, fatta eccezione per i numeri delle camere e le indicazioni che conducevano ai diversi reparti, la comprimevano. Quanto tempo era passato da quando aveva guardato il cielo? Uscire, doveva uscire. Era giunta al limite.

Un passo dopo l'altro, un passo dopo l'altro, sforzandosi di concentrarsi sul ritmo del suo respiro; come un'onda che accarezzata la battigia, si ritrae, tuffandosi nelle profondità del cuore e ancora si spande, sempre uguale a se stessa e mai identica alla precedente, così il suo fiato.

Passò davanti al letto vuoto di Dennis, ma non si soffermò. Sapeva, d'accordo col Dottore, dell'espediente che avrebbero usato per farlo allontanare dalla sorveglianza. Un bigliettino che, di nascosto, gli aveva fatto scivolare sotto al cuscino la sera prima:

"Seguimi. Parlo col cuore, ma con la parte feroce. Ho aperto gli occhi questa mattina, ho visto il mondo, l'ho odorato. Il mondo non mi piace. Non mi è mai piaciuto. Non perché sia ingiusto e pieno di cattiveria, ma perché ti obbliga a diventare parte di quella stessa macchina divoratrice. Sopravvivere. Imperativo categorico dell'essere. Ma cosa si è, quando si passa sopra a tutto e tutti? Si è ancora? Si è a metà? O non si è più e ci si sostanzia solo di ciò che si ha?

Ho aperto gli occhi questa mattina. Ho visto il mondo. Ho visto me e te nel mondo. Cos'ho al momento, nemmeno io so definirlo. Cosa voglio ottenere, mi è sempre più chiaro. Ho fame. Una fame che sembra affondare le sue ataviche radici nei millenni, fino all'origine dell'universo. Chissà, se l'universo sente il bisogno di nutrirsi. Di cosa? di se stesso? Se i buchi neri che ha dentro, divorano ma non gustano. Ingoiano ma non si cibano. Io e te. Nello spazio. Nel mondo. Non voglio fagocitarti, voglio alimentarti. Non voglio consumarti, voglio assaporarti. Fino in fondo.

Ho aperto gli occhi questa mattina. Ho visto il mondo. Ma temo che il mondo non veda me. Come non vede te. Allora ho capito. Questo mondo capace di violenza, di repressione e di atroce sfruttamento. Capovolgiamo la partita, ma senza mandarla a monte. Puntiamo tutto. Puntiamo ciò che ancora non abbiamo, ma che da qualche parte esiste. La posta in gioco è alta, la sfida doppia, tripla. Le carte che ci ha riservato il destino, sono pessime. Se costretti, pescheremo gli assi dal fondo del mazzo. Ce li disegneremo da soli. Effetti ottici e illusioni magiche. Mentre il mondo sarà intento a fissarci le mani, gli mostreremo dita danzanti. Con occhi e denti sbraneremo chiunque osi sedersi al nostro tavolo. Gli serviremo una fine gourmet. Con un allestimento elegante e con dentro un veleno, letale, inodore e insapore. Che vada dritto al cuore. Perché il nostro lo abbiamo tenuto in scacco troppo a lungo.

Ab Imo PectoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora