Mutamenti

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Mabel non era riuscita a chiudere occhio. Dopo aver ricontrollato la borsa due volte ed essersi sincerata di averci riposto tutte le cianfrusaglie che le aveva portato Jenny, aveva iniziato a camminare in circolo nei pochi metri quadrati della camera. Aveva ripercorso a mente gli ultimi eventi, a partire dalla comparsa di quella dannata scritta rossa. Aveva fatto coincidere la punta del piede di terra, con il tallone di quello davanti – come quando da bambina doveva concentrarsi per imparare a memoria qualcosa – cercando di mettere in correlazione ogni dettaglio, ma qualcosa le stonava.

Possibile che fosse solo un caso, che tutte le sue sventure avessero avuto origine da lì? Come avrebbe potuto spiegarlo? Come avrebbe potuto trovare il responsabile del dolore a cui era stata sottoposta?

"Samael. Il colpevole è Samael."

Come poteva essere vero e falso al tempo stesso?

"Dannato gatto di Schrödinger, perché rimani chiuso nella tua scatola?"

Non aveva alcuna intenzione di alleggerirlo della sua colpa né di giustificarlo, ma questo non le vietava di andare più a fondo. Poteva essere stato lui, l'autore del murales ingiurioso, ma le sembrava insensata come ipotesi. Ogni passo che compiva, nuovi collegamenti le apparivano davanti agli occhi e, man mano che percorreva quella spirale immaginaria, sentiva di potersi avvicinare alla verità.

"Quella sera ci siamo trovati tutti nello stesso luogo e nello stesso momento Dennis è apparso davanti a noi, poco dopo la comparsa di quella povera ragazza. È tutto così inverosimile."

Teorie, certo. Teorie che non era ancora in grado di dimostrare.

"Continuare a fare illazioni e a vedere congiure ovunque mi farà sentire solo pazza, una pazza con le manie di persecuzione."

Si bloccò all'istante.

"Dennis. La polizia deve pur sapere qualcosa se lo trattiene in stato di fermo. Anche se mentisse, mi aiuterebbe comunque a mettere in ordine i pezzi."

Era ormai arrivata al centro della camera.

"Devo aprire quella maledetta scatola e sapere una volta per tutte se il gatto è vivo o morto."

Sentì un brivido percorrerle la schiena, nel momento esatto in cui le tornò alla mente lo sguardo inquisitorio dell'agente Walker.

Socchiuse gli occhi e inspirò dalle narici, tanto energicamente che la pervase l'odore asettico dell'ospedale. Avvertì meglio e più nitidamente quanto quel posto le stesse entrando dentro. Si pentì di non essere riuscita ad andarsene prima. Stare in una dimensione reale e parallela è fuorviante, ti fa credere di poter vivere così, con azioni quotidiane dosate e ripetute, riducendo al minimo i rapporti umani, passandoli sotto una lente di controllo immaginaria.

I contatti interpersonali vengono programmati, come le visite di medici e infermieri o quelle di parenti e amici. Il cibo, i farmaci, perfino il sonno viene dosato, somministrato, indotto. La ripetitività aiuta, è vero, soprattutto quando si ha bisogno di riprendersi da un trauma profondo, ma non può sostituirsi al caos della vita. Poiché è dalla stessa forza primigenia che ha generato il Big Bang che essa trae origine.

Si infilò nel bagnetto adiacente e accese la luce. Non ricordava più l'ultima volta in cui si era guardata allo specchio. La superficie fredda e regolare le restituì il suo volto e ci passò sopra le dita delle mani. Aveva ritardato volutamente quell'appuntamento con se stessa, timorosa di ciò che avrebbe potuto scorgere. Se ci avesse trovato una sconosciuta? Come avrebbe reagito?

Mabel appoggiò le mani sui bordi del lavabo, si sporse in avanti e strizzò gli occhi. Passò lo sguardo su ogni neo, ogni linea, ogni ruga, con attenzione morbosa e con un silenzio inespugnabile, che rese il momento posticciamente sacrale. Era lei. Quella dello specchio era proprio lei. Senza ombra di dubbio. Nulla era cambiato. Nulla di visibile.

Ab Imo PectoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora