Ci sono locali che sembrano esistere solo di notte. Prendono vita come i sogni al tramonto nella mente di chi li abita, per poche ore.
Il "Joyce" era uno di quelli.
Di giorno avresti potuto passarci davanti senza notarlo. Un vecchio capanno in disuso, circondato dal nulla. Era a partire dalle dieci di sera che il "Joyce" prendeva vita, attirando a sé una folla variegata.
Bande di motociclisti giungevano in sella alle loro roboanti amanti; camionisti di passaggio ne facevano la loro isola felice tra una traversata e l'altra del paese; clienti abituali sedevano tutto il tempo al bancone del bar a osservare i loro rimpianti annegare nel bicchiere; adolescenti in preda agli ormoni lo usavano come punto di ritrovo per decidere dove svoltare serata e finivano per rimanerci incastrati.
Un'umanità eterogenea passava per il "Joyce". Tutti mettevano qualcosa della loro realtà e ne portavano via altrettanta quando lo lasciavano. Un po' come la puzza di fumo e sudore che ne avvolgeva le pareti e restava appiccicata ai vestiti. Come la musica, ne pervadeva l'interno e si spargeva tutto attorno. Nelle notti placide d'estate poteva essere avvertita dall'inizio della strada e fungere da richiamo per i forestieri. Questo era il "Joyce", vita brulicante e loop infinito. Una sirena strozzata capace di attrarre a sé qualunque Ulisse avesse perso la rotta.
Non aveva porte, solo una recinzione sgangherata ne delimitava il perimetro esterno, tanto ampio da fungere da parcheggio per camper e mezzi di ogni genere. Quando le luci si irradiavano all'esterno e lo avvolgevano di un tiepido calore, quel posto sembrava non avere confini. Le persone entravano e uscivano senza sosta in un via vai ininterrotto, come formiche laboriose ma senza alcuna meta da raggiungere. Da qui il nome, in onore del padre del flusso di coscienza; anche se a voler essere generosi, solo un esiguo 3% di quelli che frequentavano il locale sarebbe riuscito a coglierne il senso.
Mabel faceva parte di quel 3% e nonostante odiasse quel posto, le alternative offerte da una misera cittadina per svagarsi erano pressoché inesistenti.
Finivano lì. Finivano sempre lì. Ogni maledetto venerdì sera.
– Lo scemo di turno ha parcheggiato la moto dietro la nostra macchina, – la borsa le strusciava contro la gamba e a ogni passo Jenny le dava un colpetto per sollevarla in aria.
– La mia macchina vorrai dire, – Mabel calcò bene le parole. Ce l'aveva con sua cugina quasi quanto ce l'avesse con se stessa.
– Mio, tuo, sono dettagli. Concentriamoci su questioni più serie. Come usciamo dal parcheggio?
Una fiammella illuminò l'oscurità e una nuvola di fumo uscì dalla bocca di Jenny finendole in faccia.
– Resta qui, torno dentro a cercare il responsabile, – Mabel sbuffò, forzando un colpo di tosse.
– Pensi di chiedere a tutto il Joyce? Il locale è pieno di gente ubriaca e in cerca di qualcuno con cui menare le mani. Nel tuo caso, – strinse la sigaretta tra le labbra e le rivolse un'occhiata eloquente palpandosi il seno a dita aperte, – qualcuno su cui mettere le mani.
– Piantala, – rispose Mabel voltandosi e avviandosi verso il locale, – in qualche modo dovremo pur uscirne.
Accanto alle scale in fondo alla sala, un uomo brizzolato parlava animatamente con altre persone. Mabel pensò che il proprietario del Joyce si fosse impegnato molto negli anni, a nascondere la pelle da serpente sotto bicchieri di whiskey, vestiti firmati e accordi politici.
– Ciao Tony avrei bisogno di un piccolo favore.
Le labbra dell'uomo si tesero in un sorriso di circostanza che nascondeva appena l'irritazione di essere stato interrotto, ma quando i suoi occhi di ghiaccio incontrarono quelli di Mabel, la sua espressione divenne radiosa.
– Certo bellezza, chiedi e ti sarà dato. Sono a tua completa disposizione, – sciorinò.
"Un rettile rimane un rettile", pensò Mabel.
– Qualcuno mi ha bloccato nel parcheggio, conosco il modello della moto ma non ho idea di chi sia il proprietario, – Tony si soffermò un po' troppo sulla scollatura e la ragazza resistette all'impulso di chiudersi la giacca, – posso utilizzare il microfono?
Tony posò il suo bicchiere, chiese distrattamente alle persone dietro di lui di scusarlo e le fece cenno di seguirlo.
Giunti a ridosso del piccolo palco (una pedana di legno creata con dei pallet inchiodati tra loro), abbozzò un mezzo inchino indicando col braccio l'asta del microfono. Mentre Mabel si apprestava a salirci, si sporse verso di lei e sussurrò:
– Ora mi devi un favore, bellezza.
Con un gesto di stizza afferrò il microfono e premette il tasto di accensione. Un fischio di assestamento fece voltare l'intero locale nella sua direzione.
– Volevo avvisare il proprietario della Kawasaki nera che la sua moto...
– Togliti la maglietta e dacci un motivo per starti a sentire, bambolina!
Un ubriaco dei tanti, seduto al bancone del bar. Poi un altro e un altro ancora.
– Nuda, nuda, nuda!
– Vogliamo vedere la bella fichetta che hai là sotto!
Imprecazioni, applausi e risate di scherno.
Il mondo è bello perché vario dicono o forse, più che altro è avariato. Mabel sentì crescere dentro di sé la rabbia. Trasse un respiro profondo, poi con una certa soddisfazione gridò nel microfono:
– Una Ninja Kawasaki nera, parcheggiata qui fuori, sta andando a fuoco.
Una folla indistinta, come fosse un organismo unico, si precipitò fuori dal "Joyce". Altri, incapaci di reggersi in piedi, strabuzzarono gli occhi borbottando qualcosa tra i denti.
– Accidenti tesoro, se avessi saputo che mi avresti svuotato il locale, – disse Tony col solito sguardo languido, – in mano non ti avrei certo messo un microfono.
Mabel ignorò l'ennesima molestia e uscì per godersi lo spettacolo.
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Ab Imo Pectore
Mystery / ThrillerMabel conosce Samael una sera di fine estate davanti al Joyce, unico locale che anima la vita di un paesino sperduto e grezzo. Lei è bella e combattiva, ma dentro nasconde la fragilità di un abbandono. Lui è spietato e vendicativo, ma sull'anima ha...