Fili d'erba

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maggio 1997

Mabel è incantata dal filo d'erba che si rigira tra le dita. Lo attorciglia sull'indice, lo srotola e lo avvolge di nuovo su se stesso. Lo stende delicatamente, con le sue mani impacciate di bambina; lo rivolge verso il sole e lo osserva in controluce. Un filo d'erba le sembra contenere il DNA dell'intero universo. Proprio lì, tra quelle minuscole striature che lo percorrono come vene di un sistema circolatorio. Ciò che vi scorre dentro non è sangue - lo aveva spiegato la maestra di scienze durante la lezione - bensì linfa. Linfa vitale. E non macchia le mani, nemmeno quando spezza il filo a metà e chiude un occhio per guardarci dentro.

– Che fai? – una voce la distrae dalle sue fantasticherie.

Il filo d'erba le scivola via mentre volta la testa di scatto, in cerca del possessore di quella voce. E Mabel lo vede. La prima cosa che nota è il suo sorriso triste, lo sguardo fisso, concentrato, come se cercasse di estrapolare chissà quali informazioni solo osservandola. Gli occhi grandi e scuri, velati di malinconia. Quasi non sembrano gli occhi di un bambino. Solo la massa informe di capelli folti e scompigliati e le macchie vermiglie in corrispondenza delle pieghe dei pantaloni, lo connotano ancora tra quelli che non reputano grave sbucciarsi le ginocchia e sporcarsi i vestiti, anzi, sfoggiano le croste come trofei.

– Cerco la linfa, – risponde una voce di bambina con la serietà di una ricercatrice botanica.

L'ometto rimane in silenzio ma si dondola da una parte all'altra, seguendo un ritmo immaginario. Eppure non sembrano movimenti fortuiti, semmai dei passi studiati per ottenere l'attenzione. Mabel lo guarda, come si guarderebbe un foglio di carta straccia trascinato sul vialetto di casa dal vento, poi distoglie lo sguardo. Lui deve essersene accorto; allora si ferma, infila una mano in tasca e ne estrae un piccolo oggetto argentato. Mabel ne ha già visti fatti così, ma solo nelle mani degli adulti. Adesso ha catturato il suo interesse e, con fare tronfio, l'ometto estrae la lama dal coltellino e si accoscia al suolo.

– Avvicinati, – dice e suona più come un ordine che come un invito, ma Mabel non ci fa caso. È ammaliata dai suoi gesti decisi. Come se fosse un'azione compiuta migliaia di volte, scosta qualche filo d'erba e, con un unico affondo, pianta il coltellino nella coda di una lucertola.

– No! – grida Mabel. Il piccolo rettile fugge di corsa, dopo essere stato bruscamente interrotto durante il suo bagno di sole quotidiano. Al suo posto rimane solo la coda, a contorcersi.

Il bambino si tira su e la guarda tutto fiero della sua impresa, ma la sua giovane amica non sembra essere dello stesso avviso.

– Perché l'hai fatto? – riesce a dire, prima di sentire i lacrimoni affacciarsi con prepotenza.

Lui la osserva inclinando la testa. Lo sguardo di lei è un misto perfetto di rabbia e dispiacere, la rabbia innocente dei bambini. Eppure l'ometto si sente preso in contropiede, non comprende tale reazione a un gesto che per lui è solo un gioco.

– La coda poi gli ricresce, – risponde.

Mabel lo guarda sospettosa. Di solito il suo "dono speciale" le permette di intuire i sentimenti di chi le sta davanti, (che questa qualità si chiami empatia lo scoprirà solo anni più tardi), ma attorno a quel bambino sembra esserci uno schermo a impedirglielo.

– Non ti credo, – dice infine.

L'ometto non batte ciglio. Si limita a fissarla in silenzio, le braccia lungo il corpo. Passa qualche minuto, tra loro solo il frusciare della vita microscopica presente tra l'erba e la terra. Sono le ore più calde. Tutti preferiscono rimanere in casa, al fresco. La bambina ha convinto il padre ad accompagnarla al parco dopo una lunga insistenza e ora lui siede sulla panchina in fondo, l'unica sotto l'ombra di un grosso noce, sfogliando pigramente un giornale.

Mabel si guarda attorno, le sembra strano non vedere altri adulti nelle vicinanze. Alla fine, sentendosi a disagio, decide di rompere il silenzio.

– Come ti chiami? – chiede.

– Dennis, – risponde il bambino, avvicinandosi.

Mabel non sa come comportarsi, ma il pensiero del padre a qualche metro di distanza la rassicura.

– Non devi più farlo, Dennis. Promettimelo.

L'ometto la guarda con fare interrogativo, sembra rifletterci su. Sul suo volto si affaccia di nuovo quel sorriso storto. Emana una malinconia che non dovrebbe appartenere a un bambino.

– Lo prometto se diventi mia amica, – esordisce. Fa un passo in avanti, il coltellino ancora stretto nella mano sinistra.

Mabel non indietreggia. Qualcosa la colpisce dell'aura di quel bambino. Qualcosa che non ha mai avvertito prima in nessun altro compagno di giochi della sua età. Per la prima volta prova l'istinto di rassicurarlo, come se la tristezza degli occhi che la stanno fissando potesse tracimare all'improvviso e farsi oceano, inghiottire tutto quanto, far affondare anche lei.

– Dove sono i tuoi genitori? – gli chiede.

Dennis non cambia espressione ma il suo sguardo si dirige altrove.

– Loro non hanno tempo per giocare con me, – dice e la sua voce è distaccata. Troppo distaccata, come se la cosa non lo riguardasse.

A Mabel si stringe il cuore. Nonostante non sappia ancora inquadrarlo del tutto, la sua sensibilità va al di là dei gesti e delle parole; dentro di sé inizia a farsi strada l'idea di doverlo aiutare in qualche modo.

– Sarò tua amica, – gli dice sorridendo, – mi chiamo Mabel.

– Promettimelo, – dice Dennis lapidario. Poi preme l'indice contro la lama del coltellino fino a far comparire una fessura di color rosso vivo. Non distoglie gli occhi da quelli della bambina, mentre le porge il coltello. Mabel tentenna. Non è certa che sia una cosa giusta, ma sente come di non avere la forza di opporsi. In ogni caso, pensa sia meglio non dirlo a suo padre. Lancia un'occhiata in direzione della panchina. L'uomo sonnecchia con il cappello calato sugli occhi e la testa reclinata all'indietro. Esita un istante. Infine torna a rivolgersi al bambino che le sta difronte.

– Te lo prometto Dennis, – il tono è serio, quasi solenne. Non ne comprende il motivo, decide di fidarsi. Lentamente allunga la mano verso di lui e gli porge l'indice.

Un baluginio passa attraverso quegli occhi grandi e scuri, dura solo un attimo. Poi il freddo della lama e un leggero bruciare sul polpastrello di Mabel. Un piccolo gemito le sfugge tra i denti, il cuore accelera i battiti. Le due piccole dita si incontrano, premono l'una contro l'altra come gli occhi di Dennis premono nei suoi.

Minuscole goccioline di sangue bagnano i fili d'erba ai loro piedi. Una nuova linfa, una nuova vita.

 Una nuova linfa, una nuova vita

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Ab Imo PectoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora