Amor Vincit Omnia

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– Dennis, Dennis svegliati.

Le parole di Mabel sembrarono provenire da lontano. La sua voce lo avvolse, come un'onda che lambisce la riva. Sentì qualcosa carezzargli la spalla e si sforzò di aprire gli occhi. Buio.

– Dennis dobbiamo uscire da qui.

Ricordò. Il profumo della sua pelle, la dolcezza delle sue labbra, la melodia dei suoi gemiti. La loro unione. Il suo corpo, sotto di lui. Le sue gambe, attorno ai fianchi. Avrebbe potuto descrivere ogni minima sensazione provata, ogni spinta, ogni brivido. Qualcosa di molto simile al desiderio gli si arrampicò sulla schiena, ma realizzò subito di non poterlo assecondare, non questa volta.

Erano ancora bloccati nell'obitorio dell'ospedale ed era già trascorso parecchio tempo da quando Libertad se n'era andata. La tensione accumulata nelle ore precedenti, lo stress della fuga, la rabbia, alla fine erano esplosi nell'attimo che aveva segnato il loro ricongiungimento tanto atteso. Dopo ogni scarica di adrenalina, la quiete, solo apparente. Dentro i loro cuori infuriava ancora la tempesta.

Il respiro di Mabel lo solleticò in un punto specifico, nell'incavo del collo. Abbassò la testa e fece scorrere lo sguardo sopra di lei, cercando di abituarsi il più possibile alla penombra. La sentì muoversi lentamente, per l'intorpidimento dato dalla posizione forzata. Si mosse anche lui, piano, per il timore di urtarla nel compiere qualche gesto scomposto. Con un po' di fatica, riuscirono a tornare all'assetto iniziale, l'uno affianco all'altra.

Dennis con una mano le toccò la pelle, con l'altra si tenne alla parete interna. Freddo. Da entrambe le parti. Non perse tempo. Scivolò verso il fondo, arrivando a toccare il portellone di metallo con le piante dei piedi. Si voltò un secondo, alla ricerca dell'approvazione di Mabel, poi iniziò a calciare con forza, producendo dei sonori colpi. Le vibrazioni si diffusero attraverso quella gabbia temporanea in cui erano confinati e a Mabel sembrò che perfino il suo stomaco iniziasse a tremare. Prima avvertì come un solletico, poi delle piccole scosse, infine, l'ambiente intero prese a vacillare.

"Fermati", lo pensò, senza comprendere a chi si stesse rivolgendo, se a Dennis o al mondo circostante.

"Fermati", l'insistenza di quei suoni, la sensazione di essere in trappola.

"FERMATI", la sua mente all'inizio si incagliò su quella richiesta, gridando muta, ma infine cedette. Delle immagini riaffiorarono. Opache, sporche, confuse. Si portò le mani alle tempie e iniziò a massaggiarle, mentre i battiti accelerarono sempre di più. Qualcosa premette per tornare a galla. Qualcosa che, fino a un istante prima, non sapeva di aver dimenticato.

***

giugno 1999

Scarpette rosse, di vernice lucida, sembrano danzare nell'aria. Si alzano e si abbassano, vanno a destra e poi a sinistra, formano piccoli cerchietti. Mabel osserva le sue gambe, come fossero sospese, seduta sul muretto che affaccia nel cortile interno.

– Non ci arrivo, è troppo alto.

Ha detto giorni fa al suo compagno di giochi. La mattina seguente ha trovato una scaletta improvvisata a ridosso della parete. Sulla sommità un fiore, nero.

Osservare il resto dei bambini da lì è diventato il loro passatempo preferito. Talvolta lui porta una bibita e qualche caramella, rubata dal negozio di dolciumi all'angolo. Se ne stanno lì, gomito a gomito, a spostare lo sguardo dalla grigia realtà sottostante all'orizzonte colorato, che si estende in lontananza. Sono ancora pochi i loro anni; se sommati, non sono sufficienti per generare quel sentimento malinconico che finirebbe col pervadere chi ha già perso la speranza. La vita a loro appare come una scommessa. Il mondo è una vaschetta di gelato con gusti diversi; spesso non si assemblano bene e scegliere è difficile. La consistenza non è mai quella giusta; troppo ghiacciato fa male alla testa, troppo morbido, è già sciolto.

Ab Imo PectoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora