Parole versate

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"Succede a volte di dover riconsiderare il senso che si attribuisce alle parole. Parole che sporcano, schiacciano o semplicemente influenzano. Il paradosso sta nell'importanza che noi vi attribuiamo, poiché pesa sempre più del loro effettivo significato. Come sarebbe liberatorio sganciare per un attimo ogni parola dal proprio senso posticcio e, in un mantra immaginario ripeterla, ancora, ancora e ancora, all'infinito, mischiandola ad altre, in una rotazione casuale, affinché possa liberarsi dai limiti predefiniti della sua definizione e librarsi nell'aria come puro suono."

"Mabel sei una troia".

Era difficile non notare quella scritta impressa a caratteri rossi sulla facciata sconnessa di un edificio in disuso. La ragazza sentì ogni muscolo del corpo indurirsi ancora prima che il cervello mettesse a fuoco il reale significato di quelle parole. Come se l'impulso fisico di repulsione fosse giunto prima di quello razionale.

"Mabel sei una troia".

La frase campeggiava sulla parete antistante l'entrata della caffetteria dove Mabel lavorava part-time, dalle sei di mattina fino all'ora di pranzo. Non era poi così raro, in una cittadina come quella, che comparissero volgarità del genere da un giorno all'altro. Eppure c'era qualcosa di insolito in quelle lettere dai contorni frastagliati.

La strada era semi deserta a quell'ora, fatta eccezione per un signore che camminava sul marciapiede con un quotidiano sottobraccio e, poco più avanti, un ragazzo assonnato che conduceva il cane al guinzaglio. Mabel sentì montare dentro una rabbia cieca. La particolarità del suo nome non lasciava spazio a dubbi di alcun genere, il messaggio era chiaramente rivolto a lei e troneggiava, con tono imperativo, davanti una delle vie principali. Avvertì il sapore acido del latte della colazione alla bocca dello stomaco, ma lo inghiottì, assieme alla voglia di prendere a pugni il muro fino a vederlo frantumarsi. Un insulto, un affronto. Ancora peggio. Un subdolo tentativo di umiliazione, che non le lasciava alcuna possibilità di replicare. Mabel si sentì nuda pensando che da lì a poche ore gli occhi dell'intera città sarebbero stati puntati su di lei anzi, sulla sua immagine mistificata e riassunta in tre dannate parole. Il tutto era sufficiente per destabilizzarla, ma ciò che la innervosiva più di ogni altra cosa era non avere la minima idea di chi potesse essere stato.

In lontananza avvertì il rombo di un motore. Ancora scossa, posò la mano sulla maniglia della caffetteria; quando vide fermarsi davanti a lei una Kawasaki nera si bloccò all'istante. Come per la scritta, il suo corpo reagì prima che la sua mente potesse fornirle l'identità del proprietario. Strinse la borsa al petto, scudo illusorio a protezione delle sue emozioni. Samael spense la moto, ma rimase in sella senza togliersi il casco; alzò solo la visiera liberando dalla schermatura due occhi impossibili da dimenticare.

– Carino il murales, – esordì.

Nonostante il suo volto fosse nascosto, Mabel avrebbe giurato che stesse sorridendo.

– Ne sai qualcosa per caso? – ribatté stizzita.

Lo vide scuotere la testa. Poi lo vide togliersi i guanti, tirare giù il cavalletto della moto e scendere. Prima che potesse dire nulla, se lo ritrovò davanti a dieci centimetri di distanza. Era la seconda volta che Samael le si avvicinava in quel modo sfrontato e, per certi versi, minaccioso. Questa volta c'era il casco integrale a separare i loro volti ma, forse a causa della visiera alzata che gli incorniciava ancora di più lo sguardo, i suoi occhi la inchiodavano contro la porta del bar.

– Pensi che possa essere capace di tali bassezze?

– Non ti conosco, – rispose subito Mabel e aggiunse, – non so di cosa potresti essere capace.

Samael si sfilò il casco e con un rapido gesto si passò una mano tra i capelli. Erano movimenti spontanei e abituali eppure Mabel non poté fare a meno di trovarli affascinanti. Rispetto agli altri ragazzi, Sam sembrava avere il controllo totale dei suoi gesti e, probabilmente, anche dell'effetto che producevano. Il suo corpo sembrava muoversi senza resistenze da parte dell'aria circostante, come per i felini.

Ab Imo PectoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora