Promessa

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– Ciao Mabel, come ti senti oggi?

Il Dottore apparve ai piedi del letto senza fare il minimo rumore come chi, avvezzo da anni agli stessi luoghi, avrebbe potuto camminare bendato senza urtare oggetti.

Mabel sollevò lo sguardo e incontrò quello gentile del medico; i suoi occhi percepirono qualcosa di diverso dalle lenzuola bianche e sterili dell'ospedale che durante quei giorni aveva fissato ininterrottamente senza mai vederle. In risposta, si limitò a un'alzata di spalle.

– Vedi, sul profilo clinico, potrei già dimetterti ma vorrei prima parlarne con te per cercare di capire...

– Dubito che lei possa capire, – giunse stentoreo il tono della ragazza.

Il Dottore non se ne risentì anzi, le sorrise dolcemente.

– Finalmente mi rivolgi parola. Dammi pure del "tu" se ti fa piacere.

Mabel distolse lo sguardo e lo puntò verso la finestra. Non si vedeva granché da quell'angolazione se non alberi fitti e la sommità di qualche edificio in lontananza.

– Cosa vuole da me, Dottore? Che le liberi un letto? Può dimettermi anche subito, se crede.

E così dicendo con la mano destra afferrò i lembi delle coperte e fece per tirarli via.

– Mabel, per favore, non sono certo qui per questo, – si avvicinò a lei di qualche passo, prestando attenzione a non sfiorarla.

La ragazza si fermò col braccio a mezz'aria; sembrò rifletterci su per qualche istante prima di spalancare le dita e lasciare andare il lenzuolo. Come se qualcuno avesse improvvisamente tolto la corrente al suo corpo, ormai incapace di muoversi dietro la spinta della sua volontà, il suo arto ricadde inerte sul letto e la schiena le sprofondò nel cuscino troppo molle.

"È sempre così", pensò sarcasticamente, "ciò che dovrebbe sorreggermi mi affossa. Tutte queste attenzioni nei miei confronti sono solo il risultato del senso di colpa. Mia cugina, i medici, la dottoressa che mi ha raschiato da dosso le prove di quanto accaduto. Tutti qui a compatirmi, a profondere amore e bene alla povera vittima, come se la gentilezza potesse mai cancellare ciò che sento. Ma gli sguardi di commiserazione non sono altro che un cuscino eccessivamente morbido che, con la pretesa di accoglierti, finisce per soffocarti".

Per un minuto buono regnò il silenzio nella stanza. Infine Mabel, riemersa dai suoi pensieri, continuando a fissare la parete bianca davanti a sé, parlò di nuovo:

– Lui come sta?

Il Dottore intuì subito di chi stesse parlando, dunque non si perse in convenevoli.

– Non potrei rivelare le condizioni di salute di un paziente a chi non ha alcun legame parentale con lui.

La ragazza voltò la testa di scatto e gli rivolse uno sguardo carico di disprezzo.

– Se ne vada. Subito.

– Sono qui per aiutarti, – tentò di spiegarsi prima che Mabel scattasse carponi sul letto come fosse stata caricata a molla e iniziasse a inveirgli contro.

– Aiutarmi! QUI TUTTI VOGLIONO AIUTARMI!

Le urla richiamarono subito l'attenzione dell'infermiera di reparto che accorse trafelata.

– Dottore, vada pure. Ci penso io qui.

La donna, sulla quarantina, non più alta di un metro e cinquanta e dai capelli cortissimi rosso fuoco, assunse un tono risoluto e si appropinquò a bloccare Mabel afferrandola per i polsi.

– Infermiera non la tocchi! – si affrettò a dire il medico.

– La ragazza ha bisogno di essere sedata, sta per avere un'altra crisi delle sue.

Ab Imo PectoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora