Parte 29

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Oggi è l'ultimo giorno di lezioni prima delle vacanze natalizie, me ne starei volentieri a letto fino a tardi, ma voglio salutare Amélie e Matthew, ritornano a casa dalle loro famiglie, in Louisiana e a Sacramento.

Mancano pochi giorni al Natale, ma quest'anno non mi sento emozionata, come tutti gli anni precedenti, i miei genitori partiranno stasera per lavoro e io sarò completamente sola.

«Aspetta, Lyssa!» mi richiama mio padre dal salone, mi volto e vedo mia madre accanto a lui, due grosse valigie ai loro piedi. «Cambio di programma, partiamo tra poco.»

«Quando tornate?»

«Non credo che riusciremo a tornare prima del due gennaio, piccola.» mia madre mi sistema la folta chioma di capelli, passando le dita all'interno di essi.

«Vi saluto adesso allora, devo andare a prendere il pullman.» li abbraccio velocemente.

«Ti abbiamo lasciato dei soldi nel barattolo dei biscotti in cucina, chiama la zia così non rimani sola a Natale, va bene?» parla mio padre, assottigliando gli occhi prima di procedere con le sue inutili raccomandazioni. «Sta' attenta, e niente ragazzi in questa casa!»

Sollevo gli occhi al cielo e annuisco, volendo che questa scenetta ridicola termini al più presto, ho diciannove anni, cazzo.

Chiudo il piccolo cancello alle mie spalle e aumento il passo fino alla fermata, ma mi rendo conto che è tutto inutile, quando l'autobus sfreccia davanti a me.

Bene, l'ho perso.

Mi piego su me stessa, appoggio le mani sulle ginocchia e prendo fiato, perso durante la corsa.

Mi avvio a piedi, con la voglia di camminare sotto i piedi e il sonno ancora presente, arriverò tra un'ora, lenta come sono.

Una macchina si ferma a pochi metri da me e sento il clacson suonare, sobbalzo per lo spavento. «Porca puttana!» impreco, urlando.

«Non mi sembra il posto giusto per urlare per me in quel modo, bambolina.» sento la sua voce e il mio corpo si rilassa immediatamente.

«Cazzo, Vinnie, pensavo fosse un pervertito!» entro nella sua auto, non chiedendogli nemmeno il permesso. «Grazie per il passaggio, ero davvero in ritardo.»

«Non avevo dubbi.»

«Fanculo.» sussurro, beccandomi un'occhiata di sbieco.

«Controlla che cazzo devo seguire oggi.» mi lancia un foglio stropicciato mentre continua a camminare con disinvoltura tra i corridoi, con tutti gli occhi puntati addosso.

«Ancora devi imparare il tuo orario? Dio.» sbuffo. «Adesso c'è chimica, devi andare al secondo piano.»

«Tu non devi seguirla?»

«No, ho bio-» mi interrompe, sospirando bruscamente.

«Allora non ci vado.»

È un bambino, un bambino che non sa distinguere quando essere serio o meno.

«Ci devi andare, lo sai che tra meno di un mese cominciano gli esami?» insisto, scuotendogli il braccio.

«Vorrà dire che mi bocceranno.» mi parla come se non gli importasse assolutamente nulla della sua vita.

«Vinnie si tratta del tuo futuro, non è una cazzata.» incrocio le braccia al petto, mettendo in risalto i seni, sui quali va a finire il suo sguardo.

Scrolla le spalle, totalmente indifferente al mio discorso.

«Comunque, mi piace molto quando fai la gelosa.» ammicca, tirandomi a sé, i nostri corpi aderiscono perfettamente, colmando ogni curva, due pezzi mancanti che si incastrano.

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