13. Natalie

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Sono distesa a pancia in su sul letto della camera a cercare di ridimensionare l'accaduto. Cerco di convincere la mia mente che nel mondo accadono cose peggiori di quella che è successa stasera, ma non ci riesco.

Sembrava che tutto stesse andando abbastanza bene e che la nostra storia avesse convinto tutti fino a quando mio padre non ha chiesto a Zac quanto guadagna in un anno. Tipico suo: quando non sa inquadrare una persona, la definisce in base al suo "fatturato annuo". Vorrei che almeno un membro della mia famiglia fosse una persona normale, che soppesa le parole, e non se ne esce con domande intimidatorie, trasformando una banalissima cena in compagnia in una guerra in trincea.

Comunque, in sé la domanda era davvero fuori luogo, ma con un po' di abilità mentale si avrebbe potuto trovare una risposta adeguata da dare in pasto a mio padre e renderlo contento, e invece Zac è andato in panico. Si è messo sulla difensiva e ha iniziato a dirgli che il fatturato non è importante, poi ha incespicato su un paio di frasi senza senso e mio padre ha fatto quella sua espressione da "ho capito che nella vita sei un fallito" e "probabilmente mia figlia ti ha raccattato da un cassonetto all'aeroporto".

La persona più felice dell'esito della cena era Amber, perché per lei è stata una conferma che Zac non è un avvocato e che io ho mentito, e non posso darle torto: Zac non ha per niente l'aria di un avvocato.

È andato tutto al diavolo per colpa sua. C'era da aspettarselo, non mi sarei dovuta fidare di uno come lui, donnaiolo e in più con la testa tra le nuvole. Se non riesce ad essere una persona seria nella sua vita a New York, come può esserlo qui a Londra davanti alla mia famiglia? Appunto.

«Vuoi uscire da quel bagno? Ci metti più di una donna!», gli urlo da dietro la porta. Alle mie parole lui la apre e mi si presenta davanti a torso nudo con quel suo sguardo sfacciato da quattro soldi.

«Ho finito».

«Bene, perché stavo invecchiando qui fuori», prendo il pigiama ed entro sbattendo la porta alle mie spalle.

Dio, quanto è arrogante! Con le donne che frequenta deve essersi fatto un'idea sbagliata del mondo femminile. Non siamo tutte pappamolla che cadono ai piedi di un paio di addominali.

Mi tolgo i vestiti e apro il rubinetto della vasca. Aggiungo i sali e qualche essenza profumata, quindi abbasso le luci e accendo delle candele. C'è poco da dire, questo bagno è una spa e mia madre sa il fatto suo quando si tratta di arredare gli interni.

Mi immergo in quello che sembra il bagno più rilassante degli ultimi due anni e chiudo gli occhi, lasciandomi trasportare dalla musica che ho messo in sottofondo. Il profumo del bagnoschiuma al tè verde mi pervade le narici convincendomi delle sue proprietà antistress. La serata che si è conclusa poco fa sembra già un brutto ricordo e la mia mente lo ricorda con dei frame sfocati. Molto bene.

Mi sto rilassando talmente tanto che credo di aver perso la cognizione del tempo. Da quanto sono qui a mollo? Apro lentamente gli occhi e dato il mio alto livello di tranquillità ci metto qualche secondo per rendermi conto che c'è una sagoma che si aggira in bagno in punta di piedi. Con orrore affondo ancora di più nell'acqua tentando di nascondermi con la schiuma ferma in superficie e tiro un urlo carico di ira «Zaaaaac! Cosa ci fai nel mio bagno?», chiedo sgomenta.

«Calmati, non ti agitare, ho lasciato la mia maglia qui e sono venuto a prenderla. Avrei aspettato fuori, ma ci stavi mettendo un secolo, quindi sono entrato». Lo dice con una tale leggerezza che lo strozzerei. «Ma tranquilla non ho visto niente», mi fa l'occhiolino.

«Esci! Esci subito!», strillo.

«Shhh! Non urlare o ti sentiranno tutti. Esco, esco».

Cinque secondi. Mi ci sono voluti solo cinque secondi per buttare nella pattumiera la mia aura zen conquistata in ben un'ora di bagno rilassante. Con irritazione esco dalla vasca e mi asciugo in fretta per poi infilarmi il pigiama.

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