32. Zac

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«Ti sei rinfrescato?», mi chiede mentre passeggiamo fianco a fianco.

«Diciamo che ho recuperato la sensibilità della lingua».

«Ma piantala!», mi dà uno spintone ridendo.

«Sono serio, invece. Ad ogni modo, per evitare che qualcun altro rischi di morire, preparerò io la cena per tua madre e tua sorella domani».

«Davvero? Pensavo di ordinare per asporto, in realtà», mi comunica leggera.

La guardo basito. «Nats, sono un cuoco, vorrei ricordartelo».

«Lo so bene, ma non voglio che tu ti prenda questo disturbo, fai già abbastanza fingendoti il mio ragazzo».

«Ammetto di essermi affezionato a questo ruolo».

«Non montarti la testa, Romeo».

«Romeo... mi hai chiamato così la prima volta che ci siamo visti».

«Te lo ricordi».

«Non potrei scordarmelo neanche se volessi».

I suoi occhi nocciola mi agganciano e in un attimo perdo tutte le mie certezze. Divento vulnerabile in sua presenza e dovrei esserne spaventato a morte per come sono fatto, ma è tutto il contrario. Non sono mai stato più lucido di così, più sicuro di volere qualcosa in tutta la mia vita.

«Nemmeno io potrei scordarlo...»

Vorrei baciarla. Dio solo sa quanto vorrei baciarla. Adesso. Nel mezzo del marciapiede come due innamorati normali. Ma la verità è che non lo siamo. Non sapere fino a che punto stiamo fingendo mi logora il cervello. Quando siamo insieme non riesco mai a capire dove finisce la realtà e comincia la bugia. E lo odio. Odio non sapere cosa stiamo facendo, se le battute che ci scambiamo sono vere o fa tutto parte di un gioco prestabilito. Normalmente non sono il tipo che si arrovella su certe questioni, ma con lei mi si è ribaltato tutto, dentro e fuori. E non comprendo nemmeno il perché visto che è strana, lunatica, logorroica, testarda, permalosa... e bella. Molto bella. Con un sorriso che mi toglie fino all'ultimo soffio di respiro ogni volta. Ogni istante che passa mi rendo conto di amare qualcosa in più di lei: il suo sguardo preoccupato quando perde il controllo su qualcosa, il suo cercare di difendersi sapendo di essere in torto come è successo prima con il pepe.

Amo tutto di lei, ma... non posso. Si dice che le cose belle siano fatte di porcellana e la sola idea di poterla ferire mi ferma da qualsiasi mia azione nei suoi confronti.

«Ho un'idea», le prendo la mano per toglierci dall'imbarazzo reciproco e inizio ad aumentare la velocità del passo. Lei mi segue, come sempre quando intreccio le mie dita alle sue.

«Dove andiamo?»

«Lo vedrai».

«Zac, dovresti saperlo ormai che odio le sorprese».

«Non è una sorpresa».

«E allora cos'è?», insiste.

«Puoi gentilmente avere fiducia e continuare a camminare?»

«D'accordo», cede alla fine sbuffando.

🎄

Quando arriviamo davanti all'albero di Natale di Rockfeller Center si ferma di botto. «Vuoi scherzare?»

«Non vorrai dirmi che non ti piace», protesto sorridendo.

«Tutt'altro, ma come vedi ho un vestito».

«E allora?»

«E allora è complicato pattinare con un vestito», mi fa notare.

«Lo sai cos'è questa, vero?»

«Prima che tu lo dica, non è per niente una scusa», obietta con tanto di mano alzata.

«Facciamo così, prima che tu ne inventa un'altra vado a noleggiare i pattini».

«Ma...». Non la lascio terminare e vado a prendere quelle che saranno le nostre scarpe per la prossima ora.

Ci metto poco e quando torno vedo che mi fissa con aria truce. «Ringrazia che non è un tubino e che posso muovermici».

Le consegno i suoi pattini. «Sai metterli?»

«Ti farò mangiare il ghiaccio», mi rimbecca strappandomeli dalle mani e infilandoseli con professionalità.

«Allora principiante, ce la fai?», entra nella pista con la leggerezza e la grazia di una pattinatrice olimpica. Ora capisco cosa intendeva due minuti fa.

«Fammi indovinare, a Londra avevate una pista di pattinaggio personale?»

«Un laghetto».

«Ah ecco».

«Che c'è?! Non vorrai dirmi che ti tiri indietro adesso».

«Figurati! Non pensarci nemmeno!»

«Non lo so, è che ti guardo, lì, mentre stritoli il muretto di plastica...», alza un sopracciglio.

Mi rendo conto che ha ragione e mi stacco subito. D'altronde l'idea è stata mia e lei non tarda a ricordarmelo. «L'idea è tua, ma se vuoi possiamo sempre toglierli e...»

«No!», la blocco. «Sono pattini Natalie, e questo è solo ghiaccio e non mi tiro indietro. Io sono uno che si butta nella vita, ricordi?»

Alza gli occhi al cielo e inizia a scivolare indietro aspettando che io la raggiunga. E lo faccio. Con modi più o meno aggraziati.

«Sei tremendo», si mette a ridere.

«L'importante è raggiungere lo scopo».

«A me non sembra che tu lo abbia raggiunto», continua ridendo ai miei movimenti impacciati.

«Ed è qui che ti sbagli», le faccio notare fermandomi e incrociando le braccia al petto.

«Ma non sei riuscito a pattinare»

«Vero, ma sono riuscito a farti ridere. Era quello il mio scopo». Mi guarda con gli occhi grandi, illuminati dalle mille luci colorate che ci volano attorno. Mi rendo conto che sto per cedere, che sto per fare la cosa sbagliata avvicinandomi a lei in questo modo. Lei non si oppone e adesso ci separa la distanza di un dito.

Sto per farlo, sto per baciarla e mandare affanculo tutti i discorsetti sul fatto di non provare nulla, di non essere il tipo di ragazzo che si affeziona o che lascia alle emozioni prendere il sopravvento. Sto per cedere all'impellente voglia che ho di assaporare quelle labbra...

«Chi arriva primo dall'altra parte vince!». Mi becco una spintarella e mi ritrovo solo nel mezzo della pista.

«La metti così, eh!», le grido dietro.

Natale sotto coperturaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora