28. Zac

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«Ciao raggio di sole! Sai, sto cominciando ad odiare il tuo capo. Tenerti qui rinchiusa tutto il giorno e privare New York di vederti passeggiare per le strade dovrebbe essere considerato un reato», dico allungandomi sul bancone della reception della palestra con aria affabile.

«Dai Zac, smettila!», mi risponde Alicia arrossendo per l'imbarazzo.

«Dico sul serio, invece. Sai, credo che dovresti uscire di più, vedere il mondo, passeggiare sotto le stelle... Se vuoi ti ci posso accompagnare io»

«Lo sai che sono fidanzata...»

«Ah, lo dimentico sempre. Chissà perché questo particolare della tua vita mi sfugge. Non dire che non ci ho provato, almeno», le strizzo l'occhio.

«Non lo direi mai». Si sposta una ciocca dietro all'orecchio e mi sorride sciolta. Perfetto. È cotta a puntino. È il momento di sparare.

«Senti tesoro, posso lasciarti qui un po' di volantini? Mi servono per pubblicizzare il ristorante e solo tu mi puoi aiutare. Dovresti consegnarli alla gente che passa di qui e, magari, se tu volessi spendere anche qualche parola a mio favore...», incurvo l'angolo sinistro della bocca con fare furbo lasciando la frase in sospeso. «Sei la mia unica speranza», aggiungo tanto per essere sicuro che abbia colto il messaggio secondo il quale lei sarebbe la sola e ultima persona che può salvarmi dal fallimento. Che poi, in effetti, è proprio così. Magari non proprio l'ultima, ma è comunque deprimente.

«Oh certo, va bene. Li prendo tutti e li metto qui», afferma togliendomeli dalle mani e posizionandoli in bella vista a fianco alla locandina per le promozioni natalizie.

«Ottimo. Grazie». Le mando un bacio ed esco dalla palestra.

Dopo l'altra sera ho capito che dovevo fare qualcosa o il mio tanto amato ristorante sarebbe diventato un ritrovo di tombola per anziani in quattro e quattr'otto. Quindi ho preso in mano la situazione e ho realizzato che Mike aveva ragione e avevamo bisogno di pubblicità. Mi sono fatto stampare cinquecento volantini con cui ho intenzione di tappezzare ogni centimetro libero dei dintorni. Ho iniziato dalla palestra, territorio conosciuto, ma ne ho altri quattrocentocinquanta da distribuire, il che significa, che facendo due conti rapidi, sono già in ritardo. Spero davvero che il mio socio abbia ragione e che un po' di "advertising", come lo ha chiamato il tipo che mi ha stampato i volantini, sia quello che ci vuole.

Dopo cinque ore di ininterrotto volantinaggio posso finalmente dire che le vie di New York gridano il nome del mio ristorante.

Fiero di me stesso, mi guardo intorno e penso che dovrei tornare al lavoro, anche se al solo pensiero mi prende una fitta allo stomaco. Sì, perché se anche gli affari cominciassero ad ingranare, sarei costretto a chiudere ugualmente per via del grosso debito con la banca.

Ok, lo ammetto. Non ho incassato l'assegno.

Ma ci ho provato, lo giuro! Da quando sono tornato da Londra mi sono ritrovato più volte di fronte all'entrata della banca per incassarlo e finalmente dire addio alle mie preoccupazioni, ma la verità è che non ci riesco. Forse è per via di Natalie. All'inizio l'idea di farmi pagare per fingermi il suo ragazzo mi sembrava un miracolo caduto dal cielo, ma poi l'ho conosciuta e mi sono fatto prendere dalle emozioni. Avrei dovuto essere professionale e attenermi al mio, punto. E invece quello che ha detto Vincent quella sera in cucina mi martella in testa a intervalli più o meno regolari e non riesco a dimenticarlo. "Si vede che è innamorata di lei" ha detto. Ha detto proprio così e io, come uno scemo, non ho detto niente. Nemmeno a Natalie, figuriamoci, avrebbe negato fino alla morte tanto è orgogliosa. Che poi, magari, il maggiordomo è solo vecchio e ha le traveggole, anche perché finora non mi pare che lei mi abbia cercato. E non che io voglia che lo faccia! Non provo nulla per lei, e per nessuno. Soprattutto per lei. Sono stato chiaro fin dall'inizio, niente amore, solo divertimento. Io sono così e non ho intenzione di cambiare. Ciò non toglie che la sua presenza un po' mi manca. Lievemente, si intende. E la cosa è alquanto snervante perché magari lei se la starà spassando, felice e lontana dalla sua famiglia, mentre io sono qui che rimugino se incassare uno stupido assegno che mi spetta o meno. E non fa parte di me. Io non rimugino. Io vado avanti.

Comunque è ancora presto per tornare al locale. Magari mi faccio una corsetta in palestra.

Quando entro, corro in punta di piedi approfittando del fatto che Alicia è girata, e mi infilo negli spogliatoi. Apro il mio armadietto dove tengo sempre una tuta di riserva e me la infilo. Ho voglia di farmi una bella sudata che mi schiarisca bene le idee, così che io capisca che tra me e lei c'è stato solo un puro e semplice contratto verbale e che incassando quel denaro io sto solo adempiendo al mio dovere.

Quando apro la porta della sala mi dirigo subito verso il tapis roulant e dopo averlo impostato inizio a correrci sopra tenendo un ritmo sostenuto. Una bella corsa per tornare in forma e tutti i pensieri se ne vanno. O almeno spero.

Cazzate! Sto correndo da quindici minuti e l'unica idea che si è fatta chiara nella mia testa è che proprio non ho il fiato che avevo tre anni fa. Fanculo! Scendo subito dal macchinario e mi lascio cadere sulla panca esausto. Ho ventisette anni e il fiato di un ottantenne con l'angina.

Espiro rumorosamente guardandomi intorno e vedo Drew, intento a potenziare i suoi già smisurati bicipiti. Anche lui mi nota e mi fa un cenno con la mano entusiasta. Adesso ha poggiato i pesi e sta venendo verso di me. No, no, no, no...

«Drew!»

«Zac, qua la mano, amico! Sei sceso di nuovo in pista, eh?». Credo alluda al piccolo incidente che mi ha causato. Non ne sembra particolarmente pentito.

«Già, in pista», dico sforzandomi di essere positivo.

«Mi sembri un po' giù, è successo qualcosa? Hai una faccia...»

Ah, tanto vale ammetterlo. «È per via del locale, ho perso un po' di clientela», confesso sconsolato.

«Ahio, mi dispiace. Ho sentito che altri due ristoranti hanno chiuso da quelle parti, deve essere la zona», afferma pensoso, «sì, è sicuramente la zona», conclude poi convinto.

«Non è la zona!», ribatto io.

«No?». Ora sembra confuso.

«No, è...è che abbiamo fatto poca pubblicità».

«Ma all'inizio mi dicevi che era sempre pieno. Dici che le persone se ne sono dimenticate? Non è una bella cosa se la gente si dimentica quanto bene mangia in un ristorante».

Un'altra cosa che detesto di Drew è questa: la sua connessione cervello-bocca è senza filtri, perciò ti getta addosso qualsiasi cosa gli passi per la mente con la massima innocenza. Quindi non riesci neanche ad incazzarti.

«No, presumo non sia una bella cosa. È che non so come rimediare».

Si picchietta l'indice sul mento come a voler trovare una soluzione e la sua espressione concentrata mi strappa un sorriso. «Non devi risolvere i miei problemi Drew, vedrai che con un po' di pubblicità le cose si risolveranno».

«Sicuramente ti aiuterà, ma qui ci vuole qualcosa di più... Facciamo così: se mi viene in mente qualcosa te lo dico, ok?»

«Ok», dico ridendo. «Sei un amico».

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