29. Natalie

4.3K 153 3
                                    

Questa mattina mi sono svegliata con un mal di testa da Guinness dei primati. È come se avessi dentro un gruppo di elefanti che ballano il tip tap. E la cosa peggiore è che non riesco a farlo smettere. Ho preso due pastiglie, ma il dolore non demorde. Non so più cosa provare se non il lancio dalla finestra.

Mi verso una tazza di caffè e guardo l'ora: le cinque e trenta di mattina.

Ho passato tutta la notte a tormentarmi di pensieri, e tra un "sono una pessima amica" e l'altro, credo di essermi addormentata per mezz'ora. Alla fine ho ceduto e mi sono alzata.

Il mio turno in ospedale inizia tra quaranta minuti, perciò finisco il caffè gettando un'occhiata distratta alla confusione che regna nel mio appartamento e prendo le mie cose per uscire.

Quando entro c'è già parecchia fermentazione. Grace, il medico con cui mi scambio i turni, viene verso di me accompagnata da due occhiaie da panda e la faccia stanca. «Grazie a Dio sei qui. Ci sono stati due incidenti questa notte, sette feriti, di cui tre gravi»

«Perché non mi avete chiamato?», chiedo allarmata.

«Ce la siamo cavata lo stesso. Ma ti lascio le loro cartelle», afferro i documenti che mi consegna e inizio a darci un occhiata. «Tienili sotto controllo. Io vado a casa a farmi una doccia e a riposare un po', ma sarò di ritorno dopo pranzo».

«Ci penso io, riposati», le dico.

Sto leggendo gli esami dei feriti quando una mano mi afferra il gomito e mi trascina in disparte. «Che fai?», chiedo rivolta a Patrick.

«È un disastro. Mi mancano medici e tutti si dileguano con la scusa del Natale. È un po' che non ti vedo, dove sei stata?»

«A Londra dalla mia famiglia, ti avevo avvisato».

«Davvero?», mi chiede diffidente.

«Sì, Patrick». Sta scherzando?

«Comunque, adesso vedi di recuperare. Basta ferie, farai i tuoi turni e forse anche degli extra. Steve, aspettami devo dirti una cosa!», si dilegua in un nanosecondo, prima che io possa controbattere. E vorrei. Vorrei eccome. Tanto per cominciare io l'ho avvisato e se lui non presta attenzione a quello che gli dico non è un problema mio, e poi ho sempre fatto i doppi turni in ospedale, non so se lo rammenta. Ad ogni modo sembro una stupida a starmene qui a contraddirlo mentalmente mentre lui se n'è già andato.

Dopo aver visionato i feriti dell'incidente notturno, vado a fare un giro di controllo anche all'entrata del pronto soccorso, dove ci sono i pazienti meno gravi. Sembra andare tutto bene, le infermiere gli somministrano gli antinfiammatori agli orari giusti, perciò mi tranquillizzo un po', ma solo un attimo, perché quando vedo la ragazzina che è arrivata stamattina ubriaca spolpa e a cui abbiamo dovuto fare una lavanda gastrica mangiucchiare patatine come fosse niente, per poco non mi metto a urlare in preda alla disperazione. Mi fiondo su di lei e le strappo dalle mani il pacchetto di morte certa. «Non ci tieni alla tua vita?», la ammonisco.

«Sono solo patatine, calmati», risponde lei con aria serafica, come se la schizzata fossi io.

«Per me sono patatine, per te sono deleterie! Mi sbaglio io, o stamattina ci siamo viste per qualcosa di poco piacevole per entrambe?», le ricordo inarcando un sopracciglio.

Lei di tutta risposta sbuffa scocciata e incrocia le braccia. Ma come fanno le madri? Be', non fanno, ecco qual è la risposta. Sua madre in questo momento è al reparto psicologia adolescenziale con Greg che tenta di farle capire che se sua figlia ha tendenze suicide non è perché ha fallito nel compito di madre.

Sentendo il taschino vibrare prendo il cellulare e quando leggo il nome di mia madre lo metto a tacere e lo rimetto al suo posto.

«Allora ci siamo capite? Niente più questa roba, intesi?»

«E va bene! Adesso posso avere la mia privacy?»

La osservo un attimo e poi sospiro tirando lo tenda divisoria per concederle la sua "privacy".

Il cellulare si mette a vibrare di nuovo, così lo prendo e innervosita dalla sua insistenza rispondo.

«Mamma, che vuoi?»

«Si risponde così a tua madre?». Non credo capisca che è fortunata anche solo del fatto che le abbia risposto per come mi tratta.

Mi calmo, conto fino a tre e ricomincio. «Hai ragione, perdonami. Ciao mamma, come stai?»

«Bene, ti ringrazio», fa lei e poi tace.

...

Io spezzo il silenzio. «Ottimo, allora se stiamo tutti bene, direi che possiamo sentirci un altro giorno», sto per attaccare, quando mi interrompe.

«Mi sembrava giusto avvisarti che io e Amber partiremo per New York domani per un incontro con dei clienti e abbiamo pensato di venire a trovare te e Zac a casa vostra. È stata un'idea di Amber, in realtà, ma poi ho pensato "perché no?", dopotutto non ho mai visto dove vive mia figlia».

New York. Mi sono fermata alla parola New York, tutto il resto si è dissolto come fumo al vento. Non capisco più niente e mi gira un po' la testa. «Scusa», deglutisco a fatica, «credo di non aver sentito bene...tu...»

«Sì, la linea è un po' disturbata. Ti dicevo che io e Amber verremo a New York domani. Ti mando un messaggio quando atterriamo. Mandami l'indirizzo di casa vostra, ci vediamo direttamente lì, d'accordo?»

No. Non può essere. Avevo capito bene allora. Nemmeno i miei incubi più oscuri si sono mai spinti a questi livelli. Colta dal panico, porto il pacchetto di patatine che tengo in mano davanti al microfono del telefono e inizio e stritolarlo pronunciando spezzoni di parole a casaccio. «Io cre....sabato...ospedale...for...lontano...abb...nut...cisterna», chiudo in fretta e furia la chiamata e resto immobile. Ferma in mezzo all'atrio mentre inconsciamente prendo atto delle parole di mia madre. Sento che potrei svenire, ma questa volta per davvero.

Giunti a questo punto direi che posso uscire e prendermi almeno il privilegio di scegliermi la bara. È questione di giorni e scopriranno tutto. Ho mentito a tutti, ho trascinato con me un ragazzo conosciuto in un locale e l'ho pagato una cifra esorbitante perché si fingesse il mio fidanzato davanti agli occhi della mia famiglia. L'ho costretto a fingersi un avvocato e ho detto alla mia famiglia che siamo una coppia affiatata e viviamo insieme in una casa fantastica. Direi che sono i primi attacchi di una crisi psicologica. Forse farei meglio a farmi internare subito così la smetterei di combinare disastri.

Adesso come faccio?

Non posso dirgli che non esiste nessun fidanzato. Ma non posso nemmeno dirgli che esiste. Dirò che è partito. Che è andato in Canada a pescare salmone. Ok, mi rendo conto che sto toccando i limiti del ridicolo, ma che altro posso fare? Non posso mica andare da Zac a offrirgli altri soldi per continuare la farsa!

O sì?

Natale sotto coperturaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora