34. Zac

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«Sig.ra Dixon?!», chiedo in un misto di astio e nervosismo.

Ha l'aria di essere caduta giù dal letto tanto è sconvolta. E la mia vicina si spaventa in questo modo solo per qualcosa, o meglio, qualcuno: il suo gatto.

Sarà qui per chiedermi qualche stupido favore e infatti non tarda a fare le sue richieste.

«Il mio gatto! Ramòn è... si è... oh mamma santa!», congiunge le mani al cuore.

«Signora vuole un bicchiere d'acqua?», domanda Natalie che adesso è dietro di me.

«No!», la fermo io. Sorrido a denti stretti. «Sig.ra Dixon, si spieghi. Cosa è successo a Ramòn?»

«È salito su un albero!»

«Quale albero?»

«Quello qui dietro. Zac, per favore aiutami a tirarlo giù».

Sta scherzando?

«Si rende conto che è mezzanotte, vero?»

«Ma sono anziana, non riesco a tirarlo giù e sta piangendo da ore. Ahh, non so proprio che fare», spiega abbattuta.

Le sue parole sembrano aver fatto breccia nel cuore della mia impressionabile compagna, tanto che anche lei adesso mi guarda con quella faccia mezza implorante.

Io lo ammazzo quel gatto. Giuro che prima o poi lo ammazzo.

«E va bene!», sbotto esausto. «Salviamo questo gatto».

Scendiamo le scale e la sig.ra Dixon mi conduce davanti a un albero bello alto. «Oh ma dai! Lei vuole dirmi che Ramòn si è arrampicato qui?»

«Sì», è la sua netta risposta.

La guardo accigliato mentre si stringe nella sua vestaglia di pile. «Be', allora signora sono felice di comunicarle che c'è del gene di ragno nel suo gatto».

«Smettila di scherzare e tira giù quel gatto», mi ammonisce Natalie.

Oh, e va bene, tiriamolo giù!

Mi aiuto con delle casse di legno che qualcuno ha lasciato lì e salgo sul primo ramo. Individuo Ramòn che giace placido in uno dei rami più alti. Fottuto bastardo. Lo sa che mi sta rovinando la serata, eh?

Salgo un po' più su e poi comincio a chiamarlo.

«Ehi, gattino, vieni!». Il gatto mi guarda con i suoi grandi occhi grigi e si avvicina. Grazie a Dio. Mi allungo per acchiapparlo e quando sono a dieci centimetri da lui, questo scemo si spaventa e zampetta indietro.

«Ramòn, sono Zac, non aver paura», lo rassicuro sporgendomi verso di lui. Non posso crederci che sto davvero parlando a un gatto.

«Zac, fa in fretta!», mi sento urlare dalla sig.ra Dixon.

«Certo, sì, è che ero così comodo quassù che ho pensato di trattenermi a guardare le stelle!», la apostrofo. «Mi creda, sto facendo il più veloce possibile. Non vedo l'ora di tornare al caldo nel mio appartamento».

«Allora perché non lo prendi?», mi pressa impaziente.

«Perché non è così facile», replico io infastidito.

Dannato gatto dei miei stivali, ora lo porto giù. Succeda quel che succeda. Mi slancio verso di lui, al che una zampa gli scivola dal ramo e cade.

«Ramòn!»

«Zac!»

«Ce l'ho!», avverto gettando un'occhiataccia al gatto che tengo per la coda. Per grazia divina l'ho afferrata per un pelo.

«Oh misericordia!» esclama in lacrime la mia vicina quando glielo metto tra le braccia. «Grazie figliolo. Te ne saremo riconoscenti per sempre. Non è vero Ramòn? Sei stato proprio bravo, stasera sei stato coraggioso, sì, proprio coraggioso...», mugugna mentre si allontana, lasciandomi lì.

«Sei stato grande», mi dice Natalie accarezzandomi il braccio.

Mi schiarisco la voce compiaciuto. «Non lo sapevi? Cuoco di giorno, salvatore di gatti di notte. Ho una vita intensa».

«Sorprendente».

«Entriamo. Sto morendo di freddo». La cingo per la vita e insieme saliamo le scale.

Quando mi chiudo la porta alle spalle le prendo la mano e le faccio fare una giravolta per poi stringerla a me.

«È la quarta volta che cerco di baciarti questa sera. Adesso non ci sono più scusanti. Non puoi più scappare», la avverto.

«E chi ha detto che voglio scappare?»

«Meglio così», le sorrido avvicinandomi e poggiando le mie labbra sulle sue, morbide, profumate, avvolgenti. Ho un'urgente bisogno di baciare ogni parte del suo corpo, non mi fermo e faccio scendere la mia mano fino ai suoi fianchi per avvicinarla ancora di più a me.

«I finti fidanzati non baciano le finte fidanzate», mi ricorda tra un respiro e l'altro. Non le do tregua.

«Allora dovremmo rimediare alla cosa». La prendo in braccio e la porto sul letto. I vestiti diventano un un ostacolo da combattere e ce ne disfiamo velocemente. Si stende pronta ad accogliermi e come fosse la cosa più naturale del mondo mi chino su di lei, scendendo tra i suoi seni, baciandola centimetro per centimetro. I suoi gemiti mi confermano che anche lei prova lo stesso piacere. Dimentico tutte le mie regole, i principi fondamentali del mio modo di vivere l'amore e le relazioni, e mi abbandono senza alcuna resistenza.

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