36. Zac

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È tutto il giorno che cucino per i nostri graditi ospiti. Se non mi fanno la riverenza dopo aver mangiato questi piatti giuro che li tiro fuori dalla finestra. Non i piatti, ma gli ospiti, ovviamente. Mike si chiederà che fine ho fatto, ma lo avevo avvertito che sarei passato dai fornitori, quindi me la prendo comoda ancora per un po'.

Verso in una tazza il caffè avanzato dalla mattina e mi prendo un attimo per pensare a quello che è successo la notte scorsa. Mi spunta un sorrisetto imbecille sulla bocca e non so neanche io il perché, ma non voglio cancellarlo. Posso pure girare intorno alla cosa e negarla, ma sta di fatto che con Natalie mi diverto. Con lei non sento il peso di una relazione o qualcosa del genere. Ci sto bene e basta. Sento che ci incastriamo alla perfezione. Forse, dopotutto, il qui presente ha trovato il suo fiore. Ci rido su, poi trangugio l'ultimo sorso e mi infilo il cappotto per terminare le ultime cose prima della grande serata.

Dopo essere stato dai fornitori del ristorante mi è chiara una cosa: la prossima volta ci manderò Mike. Non fai a tempo ad aprire bocca che hanno già un problema pronto da presentarti, "non abbiamo quel tipo di pesce", "i tempi sono lunghi", "non ci hai avvertito in tempo per quel tipo di carne". Vado da loro da quando ho aperto il locale e ancora mi fanno storie per la qualunque.

«Sono arrivato!», annuncio sbuffando quando entro. I ragazzi non sono ancora qui e in effetti per loro è un tantino presto, ma non vedo nemmeno la presenza di Mike nei paraggi. «Mike!», lo chiamo.

Addentrandomi un po' sento un rumore meccanico venire dall'ufficio, apro leggermente la porta e trovo il mio socio affianco alla plastificatrice che lavora a tutto ritmo.

«Zac!», mi saluta come un bambino colto sul fatto mentre mangia il cioccolato di nascosto dai suoi genitori.

«Esattamente io. Che stai facendo?»

«Ehm... Plastifico».

«Lo vedo. Cosa?», faccio per afferrare uno dei fogli, ma Mike me lo sequestra prontamente. Inarco le sopracciglia infastidito, intuendo che qui qualcosa non va. «Mike, vuoi spiegarmi?»

«Sì. Ma prima ti devi sedere. Dobbiamo parlare».

«Parlare di cosa?», domando facendo come mi dice.

«Del fatto che non hai pagato il debito alla banca, per esempio. E che loro oggi si sono presentati qui, per esempio».

È appoggiato alla scrivania con le braccia incrociate e adesso mi sento io quello colto sul fatto.

«È complicato. Volevo farlo...», attacco ma Mike mi interrompe.

«Volevi, ma non l'hai fatto. E non hai pensato a me che sono il tuo socio. Non hai pensato di avvisarmi della situazione. Zac, sai che non me ne intendo di numeri e che ti sei sempre occupato tu di quella parte, mentre io stavo in cucina. Mi hai mentito, mi hai giurato che avevi risolto tutto, ma non è così».

«Oh andiamo! E dove li avrei potuti trovare ventimila dollari da dare alla banca, eh? Forse dovresti crescere ed entrare nel mondo degli adulti, Mike», faccio alzandomi e prendendo a camminare nervosamente. Non posso credere che si sia svegliato adesso, tutto di botto, e si metta a farmi la ramanzina.

«Non mi hai avvertito della gravità della situazione, se avessi saputo di questo debito ti avrei aiutato io!»

«Mi avresti aiutato? Vorrei ricordarti che questo ristorante è anche tuo!»

«Zac, ti rendi conto che se oggi Natalie non fosse stata qui ci avrebbero tolto il locale?»

Le sue parole mi bloccano. «Natalie era qui?»

«Ha pagato il debito».

«Lei cosa?», ribatto furioso.

«Hai capito. Se non lo avessimo saldato entro domani ci avrebbero pignorato. Che cos'è questa storia, Zac? Un finto fidanzamento? Ma perché non mi parli? Da quando ci siamo allontanati così?»

Lo guardo fisso negli occhi senza sapere esattamente come rispondere alla sua domanda. Forse non volevo ammetterlo perché farlo significava ammettere anche di aver fallito. E non potevo farlo. Né a noi, né a mio padre. Un foglio cade dalla stampante e mi chino a raccoglierlo gettandogli distrattamente uno sguardo. «Cos'è?», chiedo confuso.

«Il nuovo menu. So che non avresti voluto, ma ho dovuto. Se tu non vuoi salvare questo posto non posso farci niente, ma non ti aspettare che io me ne resti qui a guardare mentre affondiamo», afferma deciso. Mike non mi ha mai parlato in questo modo. Non con questo tono.

«Lo hai scritto tu?», gli chiedo.

«Mi ha aiutato Natalie. Non te la prendere con lei, voleva solo darci una mano».

Sorrido. Ma non è uno di quei sorrisi che intendono dire "oh, grazie, che dolce", no, è uno di quei sorrisi amari che ti compaiono quando vieni tradito dalla persona di cui avevi iniziato a fidarti.

«Siete stati proprio bravi», ammetto «a fare tutto alle mie spalle. Che bella squadra. Complimenti a entrambi». Gli batto le mani e prima che la delusione diventi troppa in questa stanza gli volto le spalle e me ne vado.

Questo tradimento non me lo sarei aspettato. Da nessuno dei due. Eppure tutti e due lo hanno fatto. Senza interpellarmi minimamente, come se la questione non fosse di mia competenza, hanno cambiato il mio menu. D'altronde sono solo il proprietario, che diritto avevo di saperne qualcosa?! Vorrei mettermi a urlare in mezzo alla strada ma mi contengo e continuo a camminare serrando i pugni. Come ha potuto interferire fino a questo punto, pagando il mio debito di sua spontanea iniziativa? Nessuno glielo ha chiesto. Io non vado in giro a fare il buon samaritano e a pagare i debiti alla gente. Ha davvero oltrepassato i limiti, ben cosciente di quello che stava facendo, perché a meno che ieri sera io non abbia portato a cena una sua sosia, lei sapeva benissimo i motivi per cui non volevo toccare quel dannato menu. Ma l'ha fatto. L'ha fatto lo stesso, sapendo... 

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