37. Natalie

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«Davvero grazioso», osserva mia madre facendo roteare gli occhi da un punto all'altro dell'appartamento senza scomporsi più di tanto. Lei e mia sorella sono arrivate circa venti minuti fa e, fortunatamente, sapevo dove Zac teneva le chiavi di riserva e ho potuto preparare tutto prima che arrivassero. Ma il problema è un altro e cioè Zac. Non si è ancora visto, ma ho notato che ha preparato tutto il cibo e lo ha metodicamente sistemato nel frigorifero. Un'ora fa tra l'ansia di non riuscire a contattare quel volta gabbana del mio finto fidanzato, collocare le foto di coppia messe insieme alla meno peggio con Photoshop, e infilarmi qualcosa di decente, mi sono totalmente dimenticata di tirare fuori i piatti che adesso si stanno scongelando in forno a una velocità record. Se fosse qui mi ammazzerebbe. Spero di non rovinare nulla.

«È di lino?»

«Cosa?», chiedo confusa digitando compulsivamente sul cellulare. Perché non risponde nemmeno ai miei messaggi?

«La tovaglia», precisa mia madre.

«Oh, no, credo sia cotone», dico distrattamente riprendendo a scrivere.

«Zac non viene?», cinguetta acida mia sorella con un sorrisetto. E vorrei vedere.

«Certo che viene! Lo hanno trattenuto al lavoro. Stavo giusto cercando di contattarlo», le restituisco il sorrisetto.

«Mmm, capisco».

Lo chiamo per l'ennesima volta e per l'ennesima volta il cellulare squilla a vuoto. Dannazione, ma dov'è finito?

«Dove eravate in questa foto? Zermatt?». Mia madre afferra una delle foto che ho sistemato sopra alla mensola del salotto dove entrambi siamo in montagna.

«Ehm...», mentre cerco di pensare il cellulare inizia a suonare. «Scusa mamma devo rispondere, è Zac. Vorrà dirmi che sarà qui a momenti». Faccio per allontanarmi e nel frattempo rispondo «Amore miooo». Mi metto dietro alla porta del piccolo corridoio che da alle camere e abbasso la voce. «Dove diavolo sei? Mia madre e mia sorella sono arrivate, perché non sei qui?»

«Hai una bella faccia tosta a chiedermelo», mi dice con voce dura.

«Cosa?», chiedo senza capire.

«Ti aspetti che io venga lì dopo che oggi ti sei data alla scrittura creativa?».

Cerco di pensare velocemente a quello che intende perché onestamente in tutto il giorno il mio unico tamburellante pensiero è stata questa maledetta cena. «Non capisco cosa tu intenda, ma ne parleremo dopo, adesso...»

«Dopo?», ripete arrabbiato. «Forse non mi hai capito. Io non vengo, Natalie. Né stasera, né mai più. Qualsiasi cosa ci fosse o non ci fosse tra noi, è finita».

«Ma che stai dicendo?»

«Non far finta di non capire, smettila con i tuoi giochetti. Siamo abbastanza grandi, tu che dici?»

«Ma qual è il tuo problema?» chiedo di rimando infastidita dal suo improvviso modo di parlarmi.

«Bene, visto che sei così infantile da non volerlo ammettere te lo spiego io. Il mio problema è che oggi ti sei messa in mezzo ai miei affari, quando invece dovevi starne fuori. Ti sei sentita in diritto di pagare il mio debito senza il mio consenso e per di più hai anche messo le mani sul menu, ben sapendo i motivi per cui non volevo toccarlo. Mi ero aperto con te, cazzo!»

La sua voce dura, intrisa di rabbia e delusione mi fa tremare e a stento trattengo le lacrime. «Non sapevo cosa fare, tu non c'eri e la banca era lì, dicevano che avrebbero chiuso il ristorante. Non sono tua nemica, l'ho fatto per te. Perché non hai incassato l'assegno che ti ho dato?»

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