35. Natalie

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Ok. Sono andata a letto con Zac. E sì. Non doveva succedere.

Ma c'è un grande "ma" e cioè che era un bisogno che avevamo entrambi. Che senso aveva reprimerlo? Nessuno. Siamo adulti e perfettamente coscienti delle nostre azioni. Più o meno. Si arriva mai a un punto in cui se ne è pienamente coscienti? E non è forse questo il bello della vita? Perdere per un po' quella coscienza sapientona che ci perseguita ad ogni passo e lasciare che siano i sentimenti a guidarci?

Ieri sera tra un bacio e l'altro ha detto che dobbiamo risolvere la questione dei finti fidanzati e in preda all'eccitazione non ci ho più di tanto fatto caso, ma questa mattina quando mi sono svegliata e l'ho guardato mentre dormiva ho ripensato a quelle parole e a cosa volesse dire esattamente.

Sono le sette e sto preparando il caffè e non posso non osservare che mi sembra di vivere la scena di un film. Io qui a preparare la colazione con la sua camicia addosso, lui di là che dorme. Sono serena, ma quella punta di paura di essere presa in giro è sempre lì, dietro l'angolo che mi spia. Prendo un respiro profondo decisa a scacciarla via.

Quando entro in camera Zac è sveglio.

«Ah, ecco dov'eri». Mi prende i caffè dalle mani per poggiarli sul comodino, poi mi afferra per i polsi attirandomi verso di sé.

«Zac...»

«Mmm...», biascica baciandomi lentamente.

«Devo andare al lavoro», lo avviso ridendo.

«Nooo», si lamenta lui. «Perché rovinare questo momento?»

«Perché la vita chiama».

«Allora stacca la linea».

Rido di nuovo. «Non è così semplice».

«Io dico che lo è», afferma sicuro facendomi rotolare sotto di lui.

«Non mi stai ascoltando», dico debole. Quando sono con lui ho notato che la mia forza di volontà si prende una bella meritata vacanza.

«Ti ho ascoltato anche fin troppo», mi blandisce mordicchiandomi le labbra.

«Zac, sono quasi le otto, devo andare», dico scostandomi controvoglia e dispiacendomi per il suo lamento. «Devo proprio, scusami. Vieni a prendermi al lavoro più tardi?»

«Non posso, ho una giornata infernale. Devo occuparmi degli ordini del ristorante e della cena di stasera», si scusa.

«Allora accompagnami adesso. Usciamo insieme», propongo raccattando i miei vestiti da terra.

«Nats, devo confessarti che odio nel profondo gli ospedali. Se posso non avvicinarmi a quel posto lo faccio più che volentieri. Non volermene, ma mi ricordano troppo mio padre e i giorni che ho passato lì, seduto, aspettando che qualcuno mi dicesse che...»

Lo interrompo avvicinandomi a lui. «Ehi, ehi. Non fa niente. Lo capisco. Gli ospedali non sono per tutti. Va bene. Ci vediamo stasera, ci aggiorniamo più tardi», poggio un bacio sulle sue labbra e mi lancia un cenno di ringraziamento con gli occhi.

Esco di fretta diretta al mio infinito turno che finisce alle quattro del pomeriggio. Passo per casa a farmi una doccia veloce e riesco ad arrivare al lavoro con soli quindici minuti di ritardo. Un record!

«Sei in ritardo», mi fa notare Patrick quando entro.

«Già. Questa mattina ho avuto problemi con l'impianto idraulico», farfuglio tenendo un passo sostenuto per scrollarmelo di torno.

«Te ne approfitti solo perché sai che sei la migliore Henderson», mi urla dietro mentre io mi chiudo la porta dello spogliatoio alle spalle.

Una cosa buona di questo lavoro è che il tempo passa abbastanza in fretta. Si è sempre così presi da mille cose che non ci si rende nemmeno conto che il turno è finito se non fosse per le occhiaie che iniziano a marcarti il viso.

Natale sotto coperturaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora