Una vacanza da ricordare

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Questa storia è scritta da : Koascrive

Quando Magnus espirò, emettendo uno sbuffo di fiato caldo, i vetri della finestra alla quale stava appoggiato si appannarono. Afferrò con le dita i lembi della manica della vestaglia di seta e li tirò così da poter improvvisare uno straccio, quindi ripulì la superficie. Non che servisse a qualcosa, non si vedeva più molto là fuori. Sebbene fossero a malapena le cinque del pomeriggio, a dicembre diventava buio presto e già a quell’ora il cielo era scuro. Quell’anno aveva fatto le cose per bene, d’altra parte era il loro primo Natale insieme. Aveva affittato uno chalet in Svizzera sperduto tra i boschi, incastonato tra le montagne e le nevi invernali. C’era un paesino da qualche parte, a cinque o sei chilometri di distanza. Non sarebbe mai stato capace di arrivarci a piedi, in effetti non c’erano ancora mai stati. Non che fosse difficile comprendere per quale motivo una giovane coppia innamorata non si decideva a uscire dalla camera da letto. Avevano oltrepassato il portale da tre giorni, ma ancora non avevano realizzato che fuori c’era effettivamente un mondo che non aspettava altro che d’essere visto. Eppure, a lui e ad Alec pareva non importare proprio. Mangiavano biscotti sul divano, sbriciolando tra i cuscini e intervallando baci a gocce di cioccolata. Facevano l’amore per ore e ore e ridevano come matti le volte in cui Alec improvvisava una zuppa con i pochi ingredienti di quel frigorifero. Per Lilith, avrebbe ricordato per secoli la vellutata di funghi di Alec Lightwood come una delle cose più abominevoli che avesse mai mangiato. Quando l’aveva sputata nel piatto, trattenendo per sé male parole, aveva temuto di offenderlo. Così non era stato, al contrario avevano riso entrambi. Cucinare insieme li divertiva. In effetti sarebbero dovuti uscire da lì e andare in un ristorante e mettere nello stomaco qualcosa che fosse effettivamente commestibile, pensò in quel tardo pomeriggio stirando un sorriso. Alec se la cavava, ma non era un cuoco fenomenale. Quel paese a cinque chilometri era anche un bel posto, aveva buttato lì Magnus quel mattino. Avrebbe potuto anche aprire un portale, aveva aggiunto. Non c’erano andati, si erano persi in una sessione intensa di massaggi che era finita con un’altrettanto intensa sessione di sesso.

Non era ancora Natale. Sarebbe arrivato tra un paio di giorni e Magnus aveva nascosto in valigia un regalo per Alec, ma non faceva che chiedersi se gli sarebbe piaciuto o meno. Non avevano neanche parlato di regali. Sospirò di nuovo, i vetri si appannarono ancora. Quella finestra gli piaceva, osservò. Aveva un ampio davanzale interno che avevano arredato con morbidi cuscini e anche una coperta. Erano troppo alti per stare sdraiati, ma se si rannicchiava riusciva a mettersi seduto godersi il paesaggio. Il vetro era freddo, gli dava quasi fastidio appoggiarci la fronte sopra. Eppure non riusciva a staccarsi da lì. Sebbene non ci fosse poi molto da vedere, se non un manto che si estendeva per chilometri tra le bianche colline, alberi innevati e fiocchi grossi come nocciole che si depositavano a terra. Non aveva mai realmente smesso di nevicare, ma andava bene così. A Magnus non era mai davvero piaciuta la neve, da piccolo non l’aveva conosciuta né ci aveva giocato e a un certo punto le meraviglie del mondo avevano perso ogni attrattiva. Avere attorno Alec voleva anche dire sospirare guardando un paesaggio invernale e pensare a quanto belle fossero le luci calde dell’abete decorato che si riflettevano sui vetri.
“Eccomi!” lo sentì dire tutto d’un tratto e allora si voltò di poco in direzione della sua voce. Alec era uscito dalla cucina reggendo un paio di tazze di cioccolata. Già riusciva a sentire il profumo nell’aria.
“Ci hai messo tantissimo tempo” notò, guardandolo di sbieco e osservando l’orologio a cucù appeso alla parete che segnava già le cinque e un quarto. Il suo fiorellino sbuffò nel sentirlo parlare in quel modo, secondo Magnus era ancora più carino quando fingeva esasperazione. Aveva addosso un buffo maglione natalizio con una renna dal naso rosso che lo faceva sembrare un elfo di Santa Claus. Era stata un’impresa convincerlo a metterlo, ma ne era valsa la pena.
“Il solito esagerato, saranno appena dieci minuti” replicò lui, divertito, posando entrambe le tazze sul davanzale. “Attento che scotta, conviene aspettare qualche minuto.”
“Mh, hai qualche idea di cosa potremo fare nel frattempo?” chiese, mordendosi il labbro con fare malizioso. Baciarsi era sempre un bel modo per passare il tempo.
“Non saprei” fece spallucce Alec. “Che facevi? Guardavi la neve?”
“Già” replicò Magnus portando di nuovo le proprie attenzioni là fuori. Niente baci per il momento, chissà magari avrebbero potuto tenerli in serbo per dopo. “Ti posso svelare un segreto? Adoro i pupazzi di neve, anche se non credo di averne mai fatto uno in tutta la vita.”
“Davvero?” replicò Alexander, spalancando i suoi occhioni blu. “Persino noi li facevamo, a New York, andavamo a Central Park appositamente. Max li adorava mentre con Isabelle e Jace trasformavamo le battaglie di neve e guerre vere e proprie.”
“Shadowhunters” sorrise scrollando il capo. “Chissà magari ne farò uno anch’io, prima o poi.” Vide Alec annuire e sorridere intanto che gli porgeva la tazza. Scoprì che ci aveva messo del peperoncino, il suo occhi blu non smetteva mai di sorprenderlo.

Il mattino lo trovò riposato e felice. Lui e il suo pasticcino avevano dormito abbracciati e si svegliava sempre di buonumore quando succedeva. Uscì dal bagno avvolto da una nuvola di vapore, stretto in un morbido accappatoio. Così come succedeva spesso di recente, venne attirato verso la cucina dal profumo del caffè. Non era solo per quello che affrettò i passi, Alec non si era fatto trovare a letto e a suo modo di vedere era una cosa gravissima. Come minimo lo avrebbe abbracciato e baciato per sette minuti e poi… Il disappunto si dipinse sul suo volto quando si rese conto che non c’era. Non era nemmeno in soggiorno né in camera e siccome uno chalet piccolo come quello non aveva altre camere, si chiese dove accidenti fosse andato. Magari era uscito a prendere della legna? Si chiese, salvo poi trovare subito la risposta. Il caffè era appena fatto, Alec aveva sistemato un bigliettino sotto a una tazza, la sua calligrafia appuntita era il segno che avesse scritto quel messaggio di fretta: Fai colazione, poi vestiti pesante ed esci. Il suo fiorellino gli aveva fatto una sorpresa? Oh, sì, gliel’aveva fatta eccome! Pensò, tutto eccitato. Non aveva mai amato le sorprese, ma quelle del suo pasticcino sì. Le sue erano speciali. Venne quasi tentato dallo spiare già fuori, ma non voleva deluderlo quindi ingurgitò una bella tazza di caffè, scottandosi la lingua perché non stava più nella pelle e poi volò in camera da letto, dove scelse i vestiti più pesanti che aveva. Specchiandosi, si ritrovò ad andare particolarmente fiero del cappellino rosa glitterato che aveva comprato apposta per l’occasione. Quindi indossò parka e stivali ed uscì.

Lui lo vide tra la neve, poco più tardi, Magnus non era riuscito ad andare oltre il patio. Si era fermato sulla porta ancora aperta e fissava dritto avanti a sé con la bocca spalancata e il cuore che palpitava per l’emozione. Aveva smesso di nevicare, tanto per cominciare, e un pallido sole illuminava un paesaggio che pareva cristallizzato nel tempo. I rami degli alberi erano appesantiti dalle abbondanti nevicate, erano spiacevolemente piegati all’ingiù e li facevano sembrare quasi affaticati. Alec era là tra la neve. Con le guance arrossate, gli occhioni blu e un sorriso dolce a tendergli le labbra. Attorno a lui decine di pupazzi di neve, forse venti o anche di più. Erano alti poco più di un metro ed erano tutti diversi, ognuno aveva dei rami al posto delle braccia, ma soltanto due erano davvero completi. Erano i soli ad avere delle carote al posto del naso. Uno aveva un cappellino sopra la testa e l’altro una sciarpa annodata al collo. Sorrisi sghembi fatti con dei sassolini e bottoni al posto degli occhi.
“I-io” lo vide balbettare, sempre più rosso. Sguardo basso e mani a grattarsi la nuca, imbarazzato. “I-io non avevo abbastanza carote” lo sentì mormorare. E allora Magnus rise, rise di cuore. Come mai aveva riso in tutta la sua lunga vita.
“Ti amo, Alec Lightwood, non sai neanche quanto” sussurrò sulle sue labbra, dopo essergli corso incontro e averlo abbracciato di slancio. Lo baciò una, due volte. Stringendolo a sé e di nuovo ridendo. Quella mattina, fecero quanti più pupazzi di neve poterono. Magnus si aiutò con la magia, materializzando davanti a loro almeno una trentina di carote, o forse di più. Tutti quegli omini di neve alti un metro o poco più avrebbero avuto sorrisi fatti con i sassi, bottoni al posto degli occhi, ma sciarpe e cappelli glitterati.

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