Una dolce sorpresa

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Questa storia è scritta da :  Koascrive

Quando la porta d’ingresso si chiuse alle sue spalle, Magnus vi si lasciò cadere contro, sospirando stancamente. Amava il Natale a New York, davvero, ma il freddo lo uccideva e la gente faceva cose ben peggiori al suo umore. Il fatto che fosse una scusa per indossare berrettini di lana glitterati o calde sciarpe, per non parlare delle decine di cappotti colorati che aveva nell’armadio, era quell’in più che gli permetteva di sopravvivere ai mesi invernali a Brooklyn. Insomma lui era più tipo da calde spiagge di sabbia bianca o da abbronzarsi al sole mentre un paio di bei fusti gli portavano drink a ripetizione. E in effetti aveva passato Natali simili negli anni '80. Questo però era stato in un’altra vita, prima di Alec Lightwood per la precisione. Prima di Max e Rafe, i suoi figli. Prima che il Natale assumesse effettivamente un senso. Un abete decorato di calde luci bianche con un bel puntale dorato a forma di stella, tante palline scintillanti appese ai rami non era più solo un gesto meccanico, da fare come tutti gli anni perché lo facevano tutti. Era calore, risate e scherzi, era famiglia. La sua famiglia. Max e Rafe con la loro lista di regali, le carole da intonare tutti quanti assieme, con Alec puntualmente il più stonato di tutti. E poi anche i film da vedere stretti stretti sul divano sotto a una calda coperta e… stress! Tanto, tanto stress!

Oh, Magnus amava da morire la sua famiglia e non avrebbe scambiato la vita che aveva ora con quella di nessun altro. Adorava anche lo shopping a dire il vero, ma New York era una città di pazzi. Di pazzi veri. Aveva deciso di iniziare per tempo con i regali, perché la riteneva una cosa saggia e aveva quattrocento anni, avrebbe dovuto essere il più saggio di tutti da quelle parti. Lui e Alec avevano deciso fin da dopo il Ringraziamento che cosa regalare ai bambini, leggendo le loro letterine a Santa Claus e decidendo cosa tralasciare e cosa invece tenere. Insomma, non avevano problemi di soldi, ma Max aveva chiesto una renna e a nessuno era parso davvero il caso di regalargliene una. Però avevano programmato una gita in Lapponia, nel villaggio di Santa Claus, per il giorno della vigilia e immaginava che quello valesse come un regalo. Alcune cose le avevano già acquistate insieme, approfittando di una mattinata in cui Catarina si era offerta di fare da baby sitter, ma ovviamente c’era anche il suddetto dolce fiorellino nell’elenco di persone a cui donare qualcosa. E con lui anche tutta la sua famiglia: Clary, Isabelle, Jace, Simon… Magnus aveva passato un quarto d’ora indeciso se comprare a Maryse un profumo di Chanel o uno di Dior. Alla fine, stremato anche dall’insistenza della commessa che aveva deciso di mostrargli tutto il campionario, li aveva presi tutti e due. Sì, era solo il sette dicembre, ma Magnus Bane già non ne poteva più di girare per negozi. Il che era un’eresia bella e buona, lui che venerava il Dio dello Shopping! Ma New York e Natale nella stessa frase, era troppo anche per i suoi nervi centenari. Era uscito verso le due e rientrava soltanto ora, che erano da poco passate le cinque. La porta gli era apparsa davanti come l’oasi di un assetato nel deserto. Intirizzito, nervoso e stremato aveva varcato la soglia nella speranza di venire subito abbracciato dal suo delizioso cupcake. La casa, però, era immersa nel silenzio.

Le lampade del soggiorno erano spente e l’albero illuminato si rifletteva nei vetri delle porte finestre. Si levò cappellino, guanti, sciarpa e cappotto, facendo sparire i regali nell’armadio con uno schiocco veloce delle dita. Aveva la punta del naso fredda come un pezzetto di ghiaccio, quindi la sfregò con le mani intanto che avanzava nel soggiorno. Soltanto allora fece caso al fatto che delle voci provenivano dalla cucina: Alec e i bambini si perdevano in risate di gioia. Procedette senza far rumore, appoggiandosi allo stipite e incrociando le braccia al petto. Stavano preparando dei biscotti, il profumo che impregnava l’aria era inconfondibile: pan di zenzero.
“Ti sento, è inutile che stai lì, vieni ad aiutare” borbottò Alec, senza alzare gli occhi dal lavoro certosino che stava facendo. All’inizio della loro convivenza si era dimostrato bravino a cucinare, però preparava per lo più piatti basici ovvero quelli atti a sopravvivere tra una missione e l’altra, con il tempo aveva fatto pratica e ora era un cuoco provetto. Sotto Natale, ricordò a se stesso, il suo fiorellino pasticcere dava il meglio di sé.
“Ti ho sentito anch’io, papi” intervenne Rafe, alzando lo sguardo in sua direzione e sfoggiando un gran sorriso. Ovviamente lo avevano fatto, pensò intanto che alzava gli occhi al cielo, non si poteva sperare di farla franca con due Shadowhunters in famiglia. E il piccolo Rafe, nonostante la sua giovane età, aveva comunque i sensi molto più sviluppati di quelli di uno stregone. Aveva anche quel modo di camminare felpato e aggraziato che delle volte, lo ammetteva, lo terrorizzava un tantino. Soprattutto quando gli arrivava alle spalle, appositamente per spaventarlo.
“Ma certo che sì” mormorò, facendosi avanti e oltrepassandoli di modo da dirigersi verso il frigorifero. Aveva bisogno di una bella tazza di cioccolata calda, magari avrebbe riportato la sua temperatura corporea a dei livelli normali. Un tempo avrebbe schioccato le dita e fatto una magia, ma aveva promesso ad Alexander di non usarla per quelle cose. All’inizio gli era pesato, ma con il tempo aveva riscoperto la gioia nel fare le piccole cose, come lo spezzettare il cioccolato con un coltello, il dosare la quantità giusta di latte e, ovviamente, cucinare biscotti con Alexander le cui mani proprio ora erano sporche di farina e briciole. Forse era per il sorriso dolce che aveva, per quello sguardo rubato che gli aveva dedicato, magari era per il maglione nero e bucato che indossava o per l’aria arruffata, ma non era mai stato più bello di così.
“Che fai, papi?” domandò Max, riportandolo alla realtà. Il suo nasino blu, osservò, era impiastricciato di farina bianca.
“Preparo una cioccolata calda, qualcuno la vuole?” chiese, giocando come se già non sapesse che tutti avrebbero risposto di sì.
“Io!” dissero i bambini in coro, ridendo felici. Persino Alec annuì, entusiasta.
“Ce li metti i marshmallow, però?” aggiunse Max.
“Solo se mi dici che cosa state facendo di così importante che nessuno è ancora venuto qui a darmi un bacio.”
“Pan di zenzero” mormorò Alec, alzando il viso e mandandogli un bacio volante. Aveva le guanciotte rosse per l'imbarazzo ed era delizioso.

Soltanto allora, Magnus si concesse di guardare: sul tavolo, oltre al disordine, c’era una teglia di biscotti a forma di omini da infornare. Altri invece erano cotti a puntino, alcuni erano già stati decorati. C’erano anche diverse ciotole contenti glasse di zucchero di differenti colori: bianco, rosso, verde e blu, naturalmente. Facevano sempre omini di pan di zenzero blu per non far sentire Max escluso.
“Bambini, andate a lavarvi le mani che papi prepara la cioccolata per tutti” ordinò Alec, chinandosi sui biscotti e muovendo con abilità la sac-à-poche. Bottoni, occhi, un sorriso sghembo: quello era un omino di pan di zenzero perfetto! I piccoli erano letteralmente volati fuori dalla porta e Magnus ne approfittò per avvicinarsi a suo marito.
“Non mi hai ancora baciato, Bane” gli disse Alec, con tono scherzoso. Oh, beh, se era quello il suo problema… Lo costrinse ad alzarsi, afferrò il suo volto tra le mani e gli baciò le labbra velocemente.
“Contento?”
“Solo se inforni quella teglia e mi aiuti a pulire questo casino.”
“Altro?” chiese, facendo schizzare un sopracciglio verso l’alto.
“Dovresti, ecco, usare la magia per… sai… far apparire delle corna sugli omini blu. Le avevo fatte, ma si sono spezzate e Max c'è rimasto male.” Era chiaro che si sentisse in imbarazzo per quella richiesta, in effetti era insolita per un precisino come lui.
“Solo se mi dai un altro bacio.” Alec sorrise maliziosamente, lo afferrò per il maglione attirandolo a sé e baciandolo con ardore. Fu un bacio lungo, passionale, durante il quale si concesse di stringerlo a sé e mugolare di piacere quando lo sentì lasciarsi completamente andare.
“Quei biscotti hanno un’aria deliziosa, comunque” disse, agitando una mano e facendo apparire delle belle, piccole corna sugli omini già glassati di blu. Ne approfittò anche per dare una ripulita al tavolo e a terra e, quando bambini tornarono, stava già mescolando la sua cioccolata intanto che Alec seguitava a decorare i biscotti. Amava il pan di zenzero, disse a se stesso intingendo un omino nella sua cioccolata, minuti più tardi. E amava anche la sua famiglia: Alec, arruffato e impiastricciato di farina. Max e Rafe eccitati per la loro cioccolata. E sì, amava anche il Natale.

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