31.

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La mattina del trenta maggio, mi svegliai a causa del campanello di casa, che suonò all'impazzata, rendendo causa del mio risveglio nervoso.
Strizzai gli occhi e scesi giù, ancora in pigiama e con gli occhi gonfi, dai pianti dei giorni precedenti, alla quale non risucivo a smettere di pensare all'accaduto nel giorno del mio ritorno.
Abbassai la maniglia, tenendo una ciocca di capelli tra le dita e aprendo così la porta principale della mia casa, con gli occhi socchiusi dal sonno.
"Ci.." la persona lì in questione non fece in tempo a concludere la frase che io, chiusi la porta, in faccia all'individuo.
Portai la schiena contro la parete, lasciandomi cadere finoa ad arrivare con il sedere a terra.
"Merda" sussurrai, ricordando l'immagine vista pochi secondi prima...capelli castani, rasatura su entrambi i lati della testa, statura media, occhi marroni e un abbigliamento classico.
Dal legno della porta dietro alle mie spalle, sentii le sue mani posarsi su di esso, imponendomi di aprire nuovamente la serratura. "Catherine, ti prego!" gridó lui, continuando a supplicarmi, mentre io, mi abbandonai sul parquet, respirando a bocca aperta, con un nodo in gola.
"Sei solo un calciatore, che ha troppo da fare e troppe ragazze da badare" dissi io, dall'altra parte della porta, appoggiando la testa su di essa.
Lui sospiró, "Ma cosa stai dicendo, Cath?" con un tono incredulo, probabilmente di se stesso.
"Non pensavo saresti più tornata, okay?"
A quelle parole, rimasi a riflettere, ripetendomi quella frase un centinaio di volte nella mia mente.
"Sarebbe stato molto meglio" risposi, realizzando che se non avessi fatto ritorno in Spagna, lui non mi avrebbe più cercata. "Non mi hai degnata di uno sguardo, Pablo".
"Io ti chiedo di perdonarmi, va bene? Non volevo, desideravo stringerti un'altra volta a me ed abbracciarti. Per me sei una persona importante, Catherine, non pensar non sia così." tiró tutto di un botto, rimanendo senza fiato.
"Mi devo sempre scusare io, ma non ti bastano mai tutte le volte che dimentico i torti che mi fai?" tirai un pugno sul legno, alzandomi di scatto.
"Sono a conoscenza di ció, ma se lo farai una volta per tutte, ti prometto che non te ne pentirai."
mi supplicó, arretrando sullo zerbino, scendendo uno scalino.
Io, rimasi follemente innamorata quando vidi la sua sagoma dallo spioncino, restando con tali occhioni ingranditi e le mani tremolanti dall'ansia.
Cosa dovevo fare? Qual era la cosa giusta?
Non ne avevo idea.
Mi girai, poggiando delicatamente la mano sulla maniglia, ancora con lo sguardo fisso sulle sembianze del calciatore, che proprio in questo momento era con lo sguardo rivolto verso il basso.
"Che vuoi?" chiesi bruscamente, incrociando quegli occhi nocciola, così carini da farmi tenerezza, quasi da farmi venire un nodo in gola.
Lui a primo impatto lo vidi distante, come se fosse in una dimensione completamente diversa dalla mia o su un altro pianeta, infatti tardò a parlare. "Mi sei mancata" guardó in basso dispiaciuto.
Io rimasi in totale silenzio, con le braccia conserte, seppur dentro stessi morendo, forse dall'ansia o da qualcos'altro che non riuscii però, a trasformare a parole. "Eppure al Camp Nou non mi hai guardata" sbottai schietta, squadrandolo con una certa arroganza nel mio sguardo.
"Era una ragazza con cui ti scrivevi" continuai, vedendolo nervoso alle mie parole.
Tentennò prima di replicare, guardandosi intorno, come se avesse trovato la risposta nel mio giardino, "Okay, era un'amica di mia sorella, mi ha cominciato a scrivere lei e giustamente...mia sorella mi disse di darle corda" si giustificó, gesticolando con le mani.
"Basta, Pablo, mi sono scocciata" strinsi i denti, cercando di non far notare il rancore che stavo portando e il mio orgoglio, sempre presente.
"Vuoi ricominciare da capo? Okay, lo faró" il calciatore unii le mani in segno di preghiera, avvicinandosi a me.

Millions -'ღ'- GaviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora