Capitolo 4: Una semplice giornata di lavoro - ✓

182 16 44
                                    


Il mattino arrivò lesto per Dave Morrison. Non gli dispiacque; dopo essere tornato alle cinque del mattino, aveva puntato la sveglia per le sette, godendosi due ore di sano riposo. Fu difficile svegliarsi, non poté negarlo, tuttavia il successo della notte prima lo aveva caricato a tal punto da non risentire del sonno neanche un po'. Un braccio pronunciato, dai muscoli tonici, sbucò dalle lenzuola leggere; il condizionatore aveva abbassato la temperatura estiva. Premette il pulsante della sveglia digitale, dal suono davvero troppo assordante per i suoi gusti. 

Avrebbe dovuto cambiarla con qualcosa di più rilassante, anche se avrebbe rischiato di riaddormentarsi di nuovo. Supino, come era solito dormire, scostò le lenzuola con un gesto sicuro. Sollevò le braccia per stiracchiare i muscoli con esagerata enfasi, godendosi il fioco fascio di luce che penetrò le serrande per imbattersi paradossalmente sui suoi zigomi pronunciati e caratterizzati da una lieve barbetta incolta; si mise seduto e sbadigliò, voltandosi per scendere dal letto. A piedi nudi, camminò con addosso il completino che usava a casa, pantaloncini e canotta, dirigendosi in bagno; si grattò il retro del collo, i ciuffetti biondi totalmente scompigliati. Tuttavia, prima di svoltare verso il bagno, doveva sostare in un'altra stanza. 

Ghignò, roteando gli occhi al cielo per l'ipotesi di qualche ora prima, rivelatesi esatta; non decise di bussare.
No.
Aprì direttamente la porta, illuminando la tana del lupo con la solarità del suo carisma.

«Raise and shine, jalapeño! È tempo di andare a lavoro!» gioì con tono acuto, in una piccola cantilena che enfatizzasse la provocazione diretta.

Un agglomerato di coperte gli stava dando le spalle, fronteggiando il muro pur di non guardare la porta. Era totalmente sommerso, sebbene non ci fosse freddo, che a stento Dave riconobbe la nuca ricciolina sbucare con qualche ciuffetto pazzerello: un animale in letargo. Ovviamente non poté non tralasciare lo schifo cui si imbatterono le sue iridi marroni. Gli scarti di cibo dei giorni precedenti erano ancora lì. Per non parlare del tanfo di chiuso che si era insinuato nelle sue narici. La finestra era sigillata, come se avesse patito il freddo di una giornata invernale. Si era già fatto un'idea di come aveva reso la sua camera da letto Noah, eppure aveva sottovalutato il problema; era peggio di quel che si era aspettato. Fece una smorfia di disgusto, allontanando il busto per evitare di essere travolto da quell'ondata maleodorante di sporco. Un barbone viveva in condizioni di pulizia migliori, ci avrebbe giurato. Ancora di spalle, l'agglomerato di lenzuola si mosse senza avere intenzione di rivelare il diretto interessato, emettendo un ringhio impastato.

«Hai rotto il cazzo con quel nomignolo di merda.» provenne dall'involucro, un tono nervoso, ma sussurrato. «Get out.»

Dave scosse la testa, schioccando la lingua con divertimento. «Come volevasi dimostrare, non riesci neanche ad alzarti. – commentò, udendo un'ulteriore lamentela esasperata. – Oggi non tollero ritardi, quindi-oh!» dai riflessi pronti, si scostò, schivando di striscio una scarpetta da ginnastica che gli sfiorò la spalla. «Potevo morire. Come osi attentare alla mia vita?»

Noah si era girato, rimanendo ancora immerso nelle coperte; tuttavia il suo braccio mingherlino stava penzolando dal letto, in direzione dell'altra scarpa ai piedi del letto. Dave gli puntò il dito.

«Don't you dare.» lo avvertì.

Ma il ragazzo non lo ascoltò nemmeno. «Get the fuck out.» ribadì, lanciando la calzatura.

Dave l'evitò nuovamente, non contenendo una risata. «I videogiochi non sono così male: hai una mira micidiale, pur non vedendomi.»

«È impossibile non immaginare la tua faccia da culo.» Noah gli diede le spalle, nascondendosi. «Ti lancerò la lampada se non chiudi la porta.»

MIND OF GLASS: OPERATION Y [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora