Capitolo 2: Coinquilini - ✓

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L'alba non era ancora arrivata. A Washington regnava la pace, la quiete della notte. Il cielo non era nero, falciato dai lampioni; un lieve e fioco blu stava schiarendo l'orizzonte con un fascio arancio, tenue, non vivido. Non era ancora arrivato il momento di svegliarsi, tuttavia in un quartiere lontano dalla movida metropolitana, caratterizzato da una serie di villette a schiera, tra due casette rustiche, separate da un giardino ben curato e da una staccionata non troppo invadente, spiccava una villetta moderna niente male. 

Vi era un viale strutturato a mo' di sentiero con dei ciottoli cementati, a bivio, collegando il marciapiede esterno e lo spazio per parcheggiare una vettura. La facciata principale era decorata da una saracinesca di un garage elettronico e una porta con tettuccio, dotata di due lampadine simili a lanterne per accogliere chi tornava a tarda notte. Le finestre erano scure, coperte dalle tende; nemmeno uno spiraglio di luce poteva intravedersi dalla cucina e dalla stanza da letto principale. Apparentemente dava l'idea di essere disabitata o che i proprietari fossero nel quarto sonno come qualunque essere umano. No. No. Girando sul retro, dove un giardino di fiori ben curato, dei tavoli in metallo, abbinati alle rispettive sedie, ed un barbecue, rappresentavano perfettamente l'alloggio di chi sapeva come tenere in ordine il proprio ambiente, un quadrato proiettava un faro di luce, circondando uno spazio di prato verde.

All'interno, al piano di sotto vi era un openspace; oltre l'ingresso, la cucina era moderna; dai mobili di un legno scuro, era strutturata nella maniera più tradizionale che potesse esistere: al centro vi era un tavolo dalla superficie in vetro e quattro sedie dalle gambe in metallo, davanti al lavello vi era l'enorme finestra che dava all'esterno. Tuttavia questi era pieno di posate, piatti e bicchieri, lasciati senza neanche un filo di acqua che potesse sgrassare quello che, ipoteticamente, poteva essere salsa fredda e secca. Il piano cottura era immacolato, ma il piano da lavoro era stracolmo di briciole e buste di fast-food; era come se aprire lo sportello della spazzatura fosse troppo faticoso per mettere quantomeno un po' di ordine. 

Il salotto aveva una facciata scorrevole in vetro che dava sul retro, coperta da delle tende beige scuro, un tavolinetto basso in legno levigato al centro, posto al di sopra di un tappetino, un televisore a schermo piatto appeso al muro, quadri vari di altre culture, una dispensa di alcool vetrata, un divano a tre posti e due poltroncine per gli ospiti. Sembrava essere immacolato, eppure nascondeva anch'esso delle pecche; il tappeto era stato sporcato da un liquido scuro, una bevanda gassata, e il divano era invaso da briciole di patatine con il suo rispettivo pacchetto, vuoto e abbandonato. 

Il doppio servizio, per fortuna, non era stato usato; era lungo il corridoio, poco prima della porta che conducesse al garage. Un brusio, un picchiettio veloce, proveniva dal piano di sopra; salendo le due rampe di scale, dalle ringhiere in vetro, si arrivava ad una serie di porte chiuse; di fronte alla rampa vi era la camera da letto più grande. Dandole le spalle si apriva un lungo corridoio; a sinistra si trovava la camera degli ospiti, quasi sempre inutilizzata, in fondo a destra vi era il bagno, mentre di fronte la porta della stanza da letto più piccola della casa era chiusa.
Il rumore proveniva da lì, oltre quelle fessure di illuminazione tenue.

Quello era il nucleo del vero e proprio disordine.

Non era così piccola, la camera; in fondo vi era un letto ad una piazza dalle coperte scombinate, a terra, quasi del tutto sradicate dal materasso. Sul muro frontale vi era una piccola finestra aperta, dalla quale entrava una lieve brezza di fine estate; aveva un davanzale ampio, con tanto di cuscini, su cui era stato accostato piccolo armadio; a sinistra vi era un comodino pieno di bicchieri di cartone di bibite finite. Accanto ad esso, una scrivania attaccata al muro, lunga e spaziosa, era stata riempita di residui di cibo di fast-food; una confezione di bocconcini di pollo era ancora piena, appena ordinata pareva; in mezzo a quello schifo spiccava una tastiera meccanica di ultima generazione, dai tasti contornati da luci arcobaleno, così come il case di un computer dalle ventole silenziose; un laptop era aperto, attaccato con un cavo USB al dispositivo fisso. 

MIND OF GLASS: OPERATION Y [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora