Capitolo 3

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Furono pochi attimi. Pochi, interminabili, attimi. I suoi occhi color cioccolato rimasero a fissarmi colmi di stupore, probabilmente per essersi resa conto di averla beccata mentre cantava. Le sue guance arrossirono leggermente, mentre sulle sue labbra dischiuse vi si poteva leggere lo stesso stupore che aveva nello sguardo. Uno sguardo profondo da farmi immediatamente annegare. Uno strano calore mi pervase. Non riuscivo a muovere un muscolo. A stento respiravo. Poi fuggì via, all’interno della piccola casa.

Mi voltai poggiandomi al muretto adiacente e alzando lo sguardo al cielo. Era stata una visione. Quella fanciulla non poteva che essere un angelo. Pensai che potesse avere all'incirca una ventina d'anni o poco più. Tutte le donne che avevo conosciuto erano svanite dalla mia mente, così come era svanita la mia voglia di conoscere la danzatrice di flamenco. Mi voltai nuovamente verso il giardino ma era vuoto. Presi un respiro e m’incamminai sulla strada che avevo percorso poco prima. Mi lasciai distrarre dal brusio delle voci dei passanti, dalle grida dei bambini, da quella brezza fresca che mi riportò coi piedi per terra, insieme a un bicchierino di rebujito servitomi in un’osteria.

In uno dei vicoli che mi accinsi a percorrere, in una piccola area ricoperta da un’aiuola verdeggiante, mi si parò dinanzi la figura di una giovane donna che danzava senza l’accompagnamento della musica. Rimasi ad osservarla. Con un battito di mani e di scarpe, intuii che si dimenava in un passionale flamenco. Quando si voltò nella mia direzione non smise di ballare, piuttosto continuò a smuovere l’orlo della lunga gonna e a lanciarmi sguardi furtivi e libidinosi. Riconoscevo quando una donna mi mangiava con gli occhi. Pensai potesse essere lei la famosa ballerina di flamenco ma, per quanto fosse indubbiamente bella, non attirò la mia completa attenzione. O probabilmente mancava l’atmosfera per renderla così ammaliante da far perdere la testa a chiunque.

Ripresi il cammino ma dopo pochi passi mi sentii chiamare. Mi voltai indietro e lei era a poca distanza da me. Il viso accaldato per aver ballato e il seno prosperoso che si sollevava per l’affanno.

«Siete straniero? Non vi ho mai visto da queste parti» esordì.

La sua audacia non mi sorprese, ma sarei stato scortese ad andare via così.

«Non sono di qui, esatto. Sono di passaggio.»

«Nessuno, però, attraversa mai questi sentieri se non è del posto» mi stuzzicò con fare civettuolo.

«Mi piace esplorare zone solitarie.»

«Se volete posso farvi da guida, conosco questo borgo come le mie tasche. Ci sono nata.»

La sua esuberanza mi lasciò di stucco. Non era di certo inavvicinabile come mi aveva detto Gonzalo. La fissai, la squadrai dalla testa ai piedi e notai quanto ne fosse compiaciuta.

«Se vorrete, potrò tenervi compagnia. Basta che lo vogliate» disse ammiccando. «Magari anche stasera, dopo lo spettacolo, se vi va...»

Lasciò la frase in sospeso ma l’invito era chiaro.

«Dove alloggiate?» mi chiese, sollevando il viso e guardandomi con insistenza.

«Alla locanda, vicino alla piazza principale» risposi senza pensarci su.

In fondo, cosa avevo da perdere? Ero lì anche per divertirmi e sorrisi pensando a quando avrei detto a Gonzalo che la bellissima ballerina era più accessibile di quanto potesse immaginare.

«Sarò lì per le dieci. A proposito, io sono Juanita.»

Mi tese la mano. L’afferrai.

«Sebastian…»

«A stasera, Sebastian!» mi salutò, per poi tornare alle sue prove, mentre io raggiunsi la locanda.

***

La piazza era gremita. Quella sera ci sarebbe stata l’esibizione della più bella e brava ballerina di flamenco. Non vedevo l’ora di gustarmi lo spettacolo e soprattutto ciò che mi aspettava dopo. Quando avevo raccontato a Gonzalo di quell'incontro, era scoppiato in una fragorosa risata. Non mi aveva creduto e aveva continuato ad insistere che non era possibile. Lo avevo lasciato nelle sue convinzioni senza, però, fargli percepire il mio scetticismo. Non ero comunque certo che la danzatrice fosse quella ragazza.

«In ogni caso, stasera ballerà da sola, ma siamo già fortunati a poterne prendere parte, anche se solo come spettatori. Chissà, magari la prossima volta che si esibirà nel flamenco apasionado sarai tu il prescelto.»

Gonzalo non riusciva a non ridere.

«Il ballo non fa per me» risposi deciso.

Non mi piaceva ballare, la trovavo un'espressione femminile e poi mi ricordava tanto mia sorella, anche a lei piaceva danzare, soprattutto quando era felice. A volte mi trascinava con sé, nonostante le mie proteste, e l'accontentavo solamente se non ci fosse nessuno a guardarci.

Un applauso fragoroso e qualche fischio mi fecero capire che lo spettacolo stava per iniziare.

«Ah, ho saputo che stasera canterà anche la Canciòn de los gitanos» mi sussurrò Gonzalo.

«Chi?» chiesi, cercando di buttare lo sguardo al centro della piazza dove sarebbe avvenuta l’esibizione.

«Lei…» Gonzalo mi indicò con un cenno del capo proprio quella direzione.

Capii che qualcuno aveva preso posizione, ma per quanto fossi molto alto non riuscivo comunque a vedere. Il silenzio calò all’improvviso, mentre un canto senza accompagnamento musicale si levò per l’aria fino a giungere a me. E su quelle note dolci ma struggenti, il mio cuore prese a battere più forte. Riconobbi la voce che quel pomeriggio mi aveva ammaliato.

La zingara dell'AndalusiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora