Capitolo 18

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Mi resi conto di aver esagerato. Avevo davanti una ragazza che sicuramente aveva dei valori, che era cresciuta come si conviene ad una vera donna. Il mio era stato un azzardo e non volevo, per altro, che lei si spaventasse, che pensasse che volessi approfittare di lei.

Presi la coperta ripiegata sul lettino e me l’avvolsi intorno al corpo.

«Scusami!» esclamai, riaccovacciandomi dinanzi al braciere.

Avendo notato che avevo preso la coperta, si voltò. Nei suoi occhi lessi rassegnazione. Sospirò, prima di calare nuovamente lo sguardo su di sé.

«Forse… hai ragione» disse impacciata. «I vestiti, così, non si asciugheranno mai ed io… sto morendo di freddo.»

Il suo sguardo era sempre basso. Tremava di nuovo, non so se più per il freddo o per l’imbarazzo.

«Facciamo così, io non ti guardo, mi giro, tu ti… togli i vestiti bagnati e ti copri con questa coperta» le suggerii, senza, però, usare toni sfacciati. Per quanto adoravo prenderla in giro, in quel momento non potevo rischiare che davvero si raffreddasse, per cui, nonostante la situazione imbarazzante, cercai di mantenere un certo contegno.

«E tu come farai?» mi chiese, indicando la coperta e arrossendo.

«Ah!» Finsi di pensarci. «Potremmo condividerla.»

Di nuovo quella voglia di prenderla in giro mi assalì. Vidi il suo sguardo terrorizzato. Cominciai a ridere.

«Stavo scherzando. Rimetterò i pantaloni.» La tranquillizzai subito e nel dirlo mi alzai riprendendo i calzoni ancora umidi e indossandoli con non poca difficoltà, mentre all’istante lei, ancora una volta, mi diede le spalle.

«Fatto!» L’avvisai, una volta essermi rivestito. «Vado fuori.»

Riposi la coperta sul letto e le lasciai tutto il tempo necessario per sistemarsi.

Dopo un po’ bussai alla porta per rientrare. La trovai seduta a terra accanto al braciere completamente avvolta nella coperta. Notai che sulla sedia, dove poco prima avevo sistemano i miei pantaloni, c’erano tutti i suoi indumenti: la gonna, la camicetta e una sottoveste. Deglutii nel pensarla con addosso soltanto la biancheria. Lei non osava alzare lo sguardo dalle fiamme. Sicuramente stava morendo di vergogna.

«Potresti indossare questa» le consigliai, porgendole la mia casacca che avevo recuperato fuori insieme a quella che ci aveva lasciato Pablito.

Mi guardò e indicò quella dell’amico.

«La mia è più lunga. Ti coprirà di più» le specificai.

«Va bene!» acconsentì senza protestare. «Puoi uscire?»

«Di nuovo?!»

«OVVIO!» disse, scandendo bene quella parola e guardandomi truce.

Sorrisi furbescamente.

La lasciai di nuovo qualche istante sola e quando rientrai la ritrovai nella stessa posizione di poco prima, con la coperta che le avvolgeva, però, solamente le gambe. Mi sedetti di fronte avvicinandomi il più possibile al braciere. Leonora mi osservava e sembrava volesse dirmi qualcosa. Le chiesi se si sentisse meglio, se stesse prendendo calore.

«Io sì, ti ringrazio! Tu… tu hai freddo?» mi chiese poi titubante.

«Un po’, ma non importa» risposi sincero, osservando le fiamme.

«Se vuoi… potremmo condividere la coperta» esclamò, visibilmente nervosa.

«Sei sicura?» le domandai. Effettivamente, in quel momento, quello che tremava ero io.

La zingara dell'AndalusiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora