Capitolo 32

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Sebastian

I miei occhi sono fissi nei suoi, paralizzati per ciò che ho appena appreso. Il cuore sembra essersi fermato, la mia mente è in confusione.

«Mi… mio figlio?» balbetto incredulo.

Leonora tentenna a fare un cenno del capo, sembra essersi immobilizzata a sua volta. Nei suoi occhi scorgo il terrore di una mia reazione negativa; lo percepisco, nonostante io sia ancora frastornato.

«Sì, tuo figlio» conferma con un filo di voce. «Quando lo scoprii lo rivelai soltanto a Pablito; mi confidò che ti eri fermato per un po' a Siviglia. Volevo venire da te per metterti al corrente, pur non avendo idea di cosa sarebbe poi successo, ma lui mi impedì di muovermi, avrei potuto mettere a rischio il bambino nel mio stato cagionevole. Ma non trovò più né te, né il tuo amico.»

La vedo tremare lievemente, i suoi occhi si velano di lacrime.

«Perché piangi?» le chiedo.

«Sei arrabbiato?»

«No, non lo sono. Sono soltanto...» Mi fermo. Vorrei dire “sconvolto”.

Mi implora con lo sguardo di proseguire, di non tacere. E come il sole che spunta all’improvviso durante un temporale, la mia bocca si curva in un sorriso.

«Sono felice!» esclamo poi, sincero.

Vedo rinascere il sorriso anche sulle sue labbra. Le accarezzo una guancia solcata da qualche lacrima fuggita silenziosa. Istantaneamente, si fa largo in me la certezza di aver ritrovato la strada di casa e che questa volta nessuno può mandarmi via. Posso finalmente respirare sotto questo cielo che amo da morire.
Vorrei chiederle come fece a capire sin da subito che il bambino che aspettava era mio, ma per il momento tralascio tutte le altre domande che vorrei farle fidandomi di lei, perché un impulso più impellente si sta accendendo in me.
Senza più esitare, mi getto sulle sue labbra, qui dove ho sognato di ritornare ogni istante della mia vita. Questo bacio, dapprima casto, sa di bentornato. Sento un risolino; è la voce della sua felicità. Le prendo il viso con entrambe le mani, carezzandole le gote con i pollici. Premo la mia bocca sulla sua che prontamente mi accoglie in un gioco disperato di labbra e lingue. Avverto una sua mano risalire sul mio braccio, mentre l’altra mi spinge dalla nuca facendomi completamente perdere la ragione. Porto anch’io una mano tra i suoi capelli, a sostenerle la testa lievemente inclinata all’indietro; con l’altra, invece, le cingo la schiena avvicinandola al mio corpo.
Sono attimi intensi durante i quali i nostri respiri si fondono. Continuo a baciarla con tutta la passione che ho represso e custodito per lei in questi anni. La stringo a me fino poi a distenderla sulla ghiaia, tenendola ancora fra le mie braccia, non staccandomi da lei un solo istante. E la bacio… la bacio fino a non poterne più fare a meno.
Mi stacco solo quando la sento ansimare; le consento di respirare, di recuperare tutto l’ossigeno che le ho tolto. E mi fermo a guardarla.

«Dio, quanto sei bella!!!» esclamo, guardandola negli occhi che mi sorridono felici.

«Non andrai più via, vero?» mi chiede speranzosa.

«Se non mi mandi via tu… no!» le rispondo.

Il suo sorriso la illumina come mai è successo prima.

«Lo vuoi conoscere?»

Capisco subito a chi si riferisce.

«Non vedo l’ora» esclamo sorridendo.

Porta una mano sul mio viso.

«Ti somiglia tanto. È un ruffiano ma è anche dolcissimo. Dovresti sentirlo quando ci rimbecchiamo, mi ricorda noi due» dice, ridendo sommessamente.

La zingara dell'AndalusiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora