Quella sera non riuscivo a chiudere occhio. Sentivo ancora il respiro di Leonora sul mio viso, il calore della sua pelle sotto le mie mani, quel leggero tremolio che avevo percepito quando l’avevo stretta a me. Avvertivo ancora i suoi occhi sprofondare dentro ai miei, avevo avvertito la gratitudine e il disagio, nonostante lei non si fosse allontanata subito. Era rimasta come intrappolata fra le mie braccia, incatenata al mio sguardo. Poi, tutto d’un tratto si era resa conto che quell’atteggiamento non era più consono, l’esibizione era finita; non eravamo più la coppia che aveva ballato quel flamenco apasionado, era finita la magia, quel rincorrersi l’un l’altro tra battiti di mani e piedi. Fine. Aveva messo la parola fine a quell’unico momento in cui, in qualche modo, era stata mia.
Presi sonno molto tardi, quasi all'alba, e quando mi svegliai era mattina inoltrata.
Nella locanda non c’era nessuno, se non l’oste che riassettava la piccola sala. Mi salutò e mi riferì che il mio amico era già uscito da un po’ dopo avermi aspettato abbastanza. Lo ringraziai ed uscii anch’io. Arrivato in piazza mi guardai attorno. Non c’era più nulla che riportasse alla sera
precedente, come se lo spettacolo non avesse mai avuto luogo. Buttai lo sguardo sulla chiesa poco distante; era chiusa. Pensai a Leonora, chissà se anche quella mattina all’uscita dalla Messa si era guardata intorno come sempre. Mi chiesi ancora una volta se era me che cercava o se il suo sguardo vagava curioso senza uno scopo.M’incamminai pensando che forse avrei dovuto lasciare quel piccolo borgo e rimettermi in viaggio. Ormai lo conoscevo a memoria, percorrevo ogni giorno le stesse stradine, per quanto ogni volta mi apparisse davanti un nuovo scorcio. Come accadde quella mattina. Non mi ero ancora accorto di un sentiero quasi nascosto da vecchi arbusti; era largo circa un paio di metri e ai lati s’innalzavano delle mura in pietra che lo separavano dalle abitazioni adiacenti. Mi accinsi a percorrerlo curioso di vedere dove portasse. Non ci misi molto ad arrivare alla fine. Svoltai attraversando un piccolo ponte e mi trovai sulla riva di un fiume. Mi fermai meravigliato ad ammirare quello scorcio della natura. Non c’era nulla, eppure quell’angolo di pace aveva un qualcosa di magico. Il fiume scorreva indisturbato tra le due insenature; dal lato dove mi trovavo vi era una sorta di piccola spiaggetta, stretta, ma che consentiva di potersi sedere sulla ghiaia e starsene in pace. Sull’altro versante, invece, iniziava quello che sembrava un boschetto; gli alberi parevano volersi gettare in quel corso d’acqua rimanendo, però, in bilico ben radicati nel terreno.
Avanzai di qualche passo per sedermi ad ammirare quello spettacolo. Mi bloccai quando davanti ai miei occhi si palesò una figura umana seduta sulla sponda del fiume. Pochi secondi e la riconobbi. Leonora.
Avevo paura ad avvicinarmi. Temevo la sua reazione. Forse sarebbe scappata o forse avrebbe fatto l’indifferente. La osservai per un po’, cercando di non muovere nemmeno un muscolo. I suoi piedi sfioravano l’acqua, non vi erano dighe che arginassero un eventuale straripamento. Le gambe erano leggermente piegate e la lunga gonna che indossava era sollevata fino alle ginocchia affinché non si bagnasse. Sicuramente non pensava che qualcuno potesse osservarla e sorrisi. Sembrava così innocente, quasi una bambina mentre di tanto in tanto tirava qualche sassolino in acqua. Poi si fermava a contemplare lo scorrere del fiume chinandosi di poco in avanti e circondando le ginocchia con le braccia.
Non so quanto tempo rimasi fermo a guardarla. Era così bella che cercai di fissare nella mia mente ogni suo dettaglio.
Avanzai lentamente e quando lo scalpiccio delle mie scarpe non poté più nascondermi lei si voltò. Sussultò nel vedermi e immediatamente si sollevò sistemandosi la gonna che andò a coprirle le caviglie. La vidi indietreggiare turbata. Allora mi fermai.
«Tranquilla, non voglio infastidirvi» le dissi calmo.
«Come siete arrivato fino a qui?» mi chiese sorpresa.